Allianz GI: il percorso di riequilibrio dell’area euro sembra andare avanti

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Il periodo successivo all’inizio del 2022 è stato particolarmente difficile per l’economia dell’area euro. L’eccezionale inasprimento della politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea (BCE), volto a contenere la minaccia di un aumento sostenuto dell’inflazione al di sopra del proprio obiettivo, sulla scia dell’invasione dell’Ucraina, ha prodotto un pesante rallentamento dei consumi. L’economia ne è uscita privata di qualsiasi fonte significativa di crescita della domanda interna, mentre i livelli di inflazione hanno talvolta tardato a decelerare.

In attesa della pubblicazione dei dati sul PIL per il primo trimestre del 2024, esaminando lo stato del riequilibrio in corso possiamo concludere che vi sono speranzosi segnali di miglioramento su vari fronti. Sulla base dei dati già diffusi da Francia e Spagna (le cui economie rappresentano circa un terzo del valore della produzione economica dell’area euro) appare probabile che il deflatore del PIL, vale a dire la misura più ampia dell’inflazione generata a livello nazionale che interessa famiglie, governi e imprese, scenderà a circa il 4% nel primo trimestre, dopo essere stato superiore al 6% fino allo scorso autunno. Al contempo, la crescita dei consumi sembra destinata ad accelerare leggermente fino a circa l’1,5% annuo: se si realizzasse, rappresenterebbe il ritmo di crescita più solido registrato dalla primavera del 2022.

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Poiché la ripresa dell’attività economica avviene in concomitanza con un calo del tasso d’inflazione, non vediamo in questi dati alcun elemento che possa dissuadere la BCE dall’iniziare a ridurre i tassi di interesse a giugno. I membri del Consiglio direttivo hanno già accennato all’opportunità di eliminare l’inasprimento “precauzionale” di 25 pb che ha caratterizzato l’ultimo rialzo dei tassi del ciclo precedente. In ogni caso, dopo 18 mesi di crescita praticamente nulla, la domanda interna dovrebbe essere in grado di espandersi senza alimentare i timori di una ripresa dell’inflazione.

Questa combinazione di crescita in aumento e inflazione in calo rappresenta spesso la fase più favorevole del ciclo per gli investitori e dovrebbe quindi essere accolta con grande favore.

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Quale potrebbe essere il ritmo dei tagli dei tassi della BCE dopo giugno?

Stando alle dichiarazioni rese note, sembrano esserci due scuole di pensiero all’interno della BCE. Da un lato, c’è chi ritiene esista un significativo margine di manovra per l’allentamento monetario: l’assenza di crescita economica dimostra che la politica monetaria è stata restrittiva, mentre il calo dell’inflazione dimostra che è stata anche efficace; nel momento in cui l’inflazione si riavvicina all’obiettivo, è necessario ridurre i tassi di interesse se si vuole evitare che la politica monetaria ostacoli l’auspicata ripresa della crescita. Dall’altro lato prevale invece un atteggiamento di cautela e la ragione principale è da ricercarsi nell’entità dello shock inflazionistico a cui l’economia è stata esposta, oltre che nella percezione della facilità con cui l’inflazione potrebbe semplicemente rimanere bloccata ad un livello superiore all’obiettivo. La necessità di avere maggiori prove del calo dei salari e dell’inflazione nel settore dei servizi giustifica la lentezza nella riduzione dei tassi, il che porta a mantenere una politica moderatamente restrittiva, impattando sull’andamento dell’inflazione.

Questo dibattito secondo noi troverà la propria risoluzione nei dati sia dell’area euro che degli Stati Uniti. Da un lato, i progressi interni nella riduzione dell’inflazione assumono importanza per convalidare le previsioni della BCE, che sembrano aver svolto un ruolo importante nel mantenere la banca centrale sulla strada del taglio dei tassi a giugno, nonostante i dati poco incoraggianti sull’inflazione di inizio anno; dall’altro lato, i risultati dell’inflazione negli Stati Uniti sembrano poter influenzare il ritmo con cui la BCE si sentirà a suo agio nel ridurre i tassi di interesse. Sebbene l’area dell’euro sia di dimensioni sufficienti per poter condurre una politica monetaria indipendente, la BCE sembra intenzionata a gestire l’entità della divergenza rispetto ai tassi d’interesse statunitensi, richiedendo conferme più forti del tasso di disinflazione interna, forse per timore che altrimenti l’euro possa deprezzarsi rapidamente e compromettere il processo di ritorno dell’inflazione all’obiettivo prefissato.

La settimana prossima

Considerata la portata del loro impatto sugli asset finanziari (statunitensi e non), i dati CPI e PPI statunitensi della prossima settimana avranno con ogni probabilità un effetto molto significativo. La delusione di gennaio e febbraio in particolare fa sì che i segnali di un’inflazione persistentemente al di sopra dell’obiettivo siano il timore predominante. Non sembra esservi alcuna possibilità realistica che, in assenza di uno shock significativo, la Federal Reserve (la banca centrale statunitense) sia nella posizione di abbassare i tassi di interesse già a giugno. Tuttavia, il corso futuro della politica monetaria della Fed durante l’anno sarà oggetto di attenta analisi e genererà di conseguenza effetti a catena diretti per le banche centrali dei mercati emergenti – e, in misura minore, per la BCE e le altre banche centrali delle economie sviluppate. Inoltre, la settimana prossima gli Stati Uniti pubblicheranno i dati relativi alle vendite al dettaglio e alla produzione industriale, nonché alcune indagini sulle imprese a livello regionale.

Oltre ai dettagli sui dati del PIL del 1° trimestre descritti in precedenza, nell’area euro saranno pubblicati i regolari sondaggi mensili di ZEW per l’intera area e per la Germania.

Nel Regno Unito i dati sul mercato del lavoro si sono di recente rivelati deludenti. Visti i segnali di ripresa dell’attività nel primo trimestre, ci aspettiamo una stabilizzazione dell’occupazione e del tasso di disoccupazione, mentre l’andamento delle retribuzioni medie dovrebbe rimanere al ribasso.

In Cina infine, dato il maggiore ottimismo circa il potenziale coinvolgimento del governo per stabilizzare il mercato immobiliare e quindi potenzialmente aumentare l’upside della ripresa economica di inizio anno, al centro dell’attenzione saranno i regolari comunicati mensili relativi alla produzione industriale, alle vendite al dettaglio e agli investimenti in immobilizzazioni.

Pur esprimendo soddisfazione per il riequilibrio dell’area euro in corso, ricordiamoci che il livello di entusiasmo dipenderà dai prossimi dati sull’inflazione negli Stati Uniti.