Rame, ieri highlander oggi protagonista
Il rame è stato uno dei due metalli, assieme all’oro, a chiudere il 2023 in positivo; l’unico tra quelli che trovano un largo impiego nel comparto industriale. Eppure, anche questa commodity ha subito l’effetto del prosciugamento delle riserve e della crisi immobiliare cinesi e di un generale rallentamento delle attività produttive, ma nonostante tutto ha resistito.
Ciò che gli ha permesso di sopravvivere è il ruolo che si è ritagliato nel mercato della transizione energetica, dove il rame gioca un ruolo che gli anglofoni definiscono “Jack di tutti i semi”. Per capire cosa significa basta pensare che è un elemento essenziale nella costruzione di pale eoliche (a seconda delle dimensioni, sono necessari dai 950 chili alle 5 tonnellate di rame), ma anche nella mobilità elettrica (la quantità di rame presente in un EV, è di quattro volte superiore a quella di un ICE), ma anche nell’energia solare (per la connessione delle griglie e lo sviluppo di componenti) e in molto altro. Inoltre, il settore delle tecnologie per l’abbattimento delle emissioni di CO2 si è anche profondamente trasformato e, fortunatamente, le nuove soluzioni hanno vissuto un vero e proprio rally, crescendo del 50% su base annua e aggiungendo 510 GW alla produzione di energia rinnovabile totale. Tutto ciò ha naturalmente fatto registrare un aumento della domanda di metalli, che per il rame si è attestata a un +4% a livello globale e a un +9,5% in Cina, dove alla transizione energetica si è affiancato il boom dei veicoli elettrici (+22%) e ibridi (+83%). Questi trend stanno progressivamente riducendo l’elasticità della domanda verso i cicli economici tradizionali.
Ma allora perché, nonostante i solidi fondamentali appena descritti, il valore del rame non si è innalzato come può aver fatto l’oro, ma è a malapena riuscito a mantenere la stabilità (+0,54% annuo)? La risposta sta nel mancato contributo della Cina, il più grande acquirente di metalli al mondo, che ha preferito fare affidamento sulle riserve accumulate. Tuttavia, oggi gli stoccaggi sono tornati a registrare livelli molto bassi e anche l’attività estrattiva delle miniere è andata avanti con notevole ritardo, registrando appena un +1% nei primi 10 mesi del 2023, nonostante ne siano state aperte di nuove. Queste difficoltà sono da imputare alle interruzioni delle operazioni registrate negli Stati Uniti, a Panama, in Indonesia, in Cile e, successivamente, anche in Perù. Queste problematiche di output stanno iniziando a farsi sentire anche sulle attività di altri player della catena di approvvigionamento e sulla domanda stessa, con imprese quali le raffinerie che per poter operare necessitano di concentrato di rame, che sta diventando sempre più difficile da reperire. Ciò ha portato a una contrazione dei margini “TC/RC” di quasi il 50%. Questa combinazione di fattori ha spinto la Cina a riprendere gli acquisti, concentrandosi in particolar modo sul rame già raffinato e, nonostante non siano ancora disponibili i dati numerici esatti, possiamo affermare con sicurezza che ha importato un quantitativo superiore al surplus disponibile sul mercato ex-China.
Tutti questi fattori costituiscono un supporto al prezzo del rame e noi di Ofi Invest AM riteniamo che ne vedremo gli effetti alla fine del mese di febbraio, dato che i primi mesi dell’anno sono dedicati alla creazione di riserve e che, in occasione del Capodanno (10 febbraio) l’economia cinese proseguirà a rilento, in concomitanza con le usuali due settimane di vacanza. Tuttavia, non appena queste saranno trascorse, è probabile che assisteremo al rally, dato che Pechino ha annunciato di voler introdurre nuove tecnologie per la transizione energetica, che comprenderanno, tra gli altri, investimenti di circa 70 miliardi di dollari in nuove griglie.
Infine, è opportuno spendere qualche parola sulla politica monetaria dei paesi occidentali, che presto potrebbe diventare meno aggressiva e permettere al settore manifatturiero di riprendersi attorno alla seconda metà di quest’anno, spingendo il mercato del rame in deficit e il prezzo ancora più al rialzo. Alla luce di ciò, la nostra previsione è che questo arriverà a toccare la soglia di 10mila dollari per tonnellata (+15% annuo), ma solo nel prossimo semestre.