Covip, un 2016 in netta crescita per la previdenza complementare.

Walter Quattrocchi -

La Relazione annuale dell’Authority che vigila sui fondi pensione certifica il mutamento nelle abitudini previdenziali degli italiani rispetto agli anni precedenti

Nel 2016 la percentuale dei lavoratori che ha aderito alla previdenza complementare è cresciuta del 7,6% rispetto al 2015, scelta premiata dal rendimento dei fondi pensione che nello scorso anno ha raggiunto il 2,7% a fronte dell’1,5% del Tfr.
Il dato emerge dalla Relazione Annuale della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione.
I Commissari della Covip hanno calcolato che alla fine del 2016 gli iscritti effettivi al sistema della previdenza complementare sono stati circa 7,2 milioni, che rappresentano il 27,8% delle forze di lavoro.
In realtà iI numero di iscritti risulterebbe superiore, 7,8 milioni, ma vi sono compresi circa 620.000 casi di lavoratori che aderiscono contemporaneamente a più di una forma pensionistica.
Nei fondi pensione aperti ( SGR, Banche, SIM e Assicurazioni) l’aumento nel numero degli iscritti è stato del 9,5%, il più elevato degli ultimi anni, mentre i PIP “nuovi” ( riforma 252/2005) hanno registrato una crescita del 10,3%; includendo anche i vecchi PIP, il segmento dei prodotti assicurativi raggiunge il 42% degli iscritti complessivi.
La maggior parte dei lavoratori che hanno scelto di aderire alla previdenza complementare sono dipendenti, 5,8 milioni, dei quali 200.000 del settore pubblico, e 2 milioni di lavoratori autonomi. Il tasso di adesione permane sensibilmente più basso tra le donne e i giovani, al Sud e nelle Isole.
Nel complesso l’età media delle adesioni è 46,1 anni, rimanendo nella sostanza stabile nel confronto con il 2014.
Nel corso del 2016, su circa 1,97 milioni di posizioni non sono stati effettuati versamenti contributivi, 225.000 in più rispetto al 2015, facendo salire la percentuale dei non versanti dal 24,2% del 2015 al 25,3% del 2016.
Il fenomeno dei non versanti risulta stabilmente più diffuso tra i lavoratori autonomi ( circa il 42 per cento di non versanti) che tra i lavoratori dipendenti ( il 19 per cento).

Rendimenti
Nel 2016 i rendimenti delle forme pensionistiche complementari sono stati positivi per tutte le tipologie di forma e di comparto, grazie, secondo la Covip, al buon andamento dei titoli azionari e obbligazionari. I rendimenti medi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si sono attestati al 2,7% nei fondi negoziali e al 2,2% nei fondi aperti; per i PIP “nuovi” di ramo III (piani individuali pensionistici di tipo assicurativo), il rendimento medio è stato anche migliore, raggiungendo il 3,6%; le gestioni separate di ramo I hanno reso il 2,1%. In ogni caso si tratta di rendimenti superiori al Tfr, che è stato rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,5%.
I fondi pensione battono il Tfr anche su di un orizzonte pluriennale. La Covip nella relazione fa un confronto tra rendimenti dei fondi pensione e rendimento del Tfr su un arco di tempo più lungo compreso tra il 2008 e il 2016: anche in questo caso vince la previdenza complementare.
Infatti il rendimento netto medio annuo, tra il 2008 e il 2016, dei fondi pensione negoziali è risultato del 3,4%, quello dei fondi aperti del 2,9%; nei PIP è stato del 3% per le gestioni di ramo I e del 2,2% per le gestioni di ramo III. La rivalutazione del Tfr si è fermata invece al 2,2%.
I Pip risultano però i prodotti più onerosi: su una distanza di dieci anni l’ISC (indicatore sintetico dei costi) è in media del 2,2%; nei fondi pensione negoziali è dello 0,4%, mentre nei fondi pensione aperti dell’1,3%.

Dove investono i fondi pensione
La previdenza complementare investe soprattutto in obbligazioni. Il 61% del patrimonio dei fondi pensione è investito in titoli di debito, per i tre quarti costituiti da titoli di Stato. Il 16,3% è costituito invece da titoli di capitale e il 13,5% da OICR. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, rappresentano il 3,3% del patrimonio e riguardano quasi esclusivamente i fondi preesistenti. Gli investimenti in attività domestiche ammontano a circa 35 miliardi di euro pari a poco meno del 30%. Gli investimenti in titoli emessi da imprese italiane rimangono però limitati: 3,4 miliardi di euro, circa il 3% delle attività, di cui 2,3 miliardi formati da obbligazioni e 1 miliardo da azioni.