Con o senza leva: il fisco e i certificati

di EuroTLX - redazione@lamiafinanza.it -

Le plusvalenze derivanti dalla cessione o dalla liquidazione di questi strumenti di investimento sono soggette ad un’imposta sostitutiva pari al 26%. Qui tutti i dettagli

L’investimento in certificati, strumenti finanziari derivati cartolarizzati che replicano, con o senza effetto leva, l’andamento di un’attività sottostante, è stato illustrato nelle sue linee essenziali in queste pagine.
Un ulteriore approfondimento sui titoli a leva, proposto qui completa la panoramica dedicata a questi particolari strumenti, ormai presenti anche sul nostro mercato.
Ricordiamo brevemente che mentre i certificates con leva si adattano maggiormente ad investitori con una buona preparazione tecnico-finanziaria che tendono ad avere una strategia di investimento altamente speculativa ed un orizzonte temporale mediamente di breve periodo, i certificati privi di leva rispondono a logiche di investimento più conservative e orientate al medio-lungo termine.
Per chiudere il cerchio della conoscenza di questi strumenti, almeno nelle loro linee fondamentali, è utile analizzarne ora gli aspetti fiscali.

La fiscalità
Per quanto riguarda la tassazione, i certificati rappresentano una peculiare forma di contratto a termine di tipo “traslativo”, da distinguersi dai contratti a termine di tipo differenziale, come ad esempio i cross currency swap o gli interest rate swap), essendo riconducibili ai rapporti da cui deriva l’obbligo di ricevere o effettuare a termine pagamenti collegati all’andamento di strumenti finanziari, valute estere, metalli preziosi o merci sottostanti.
Ai fini fiscali, quindi, i certificati si possono ricondurre ai contratti derivati ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c-quater) del D.P.R. 22 Dicembre 1986 n. 917 (TUIR), e del Decreto Legislativo 21 Novembre 1997 n. 461.
I proventi scaturenti dall’operatività in derivati sono qualificati come redditi diversi di natura finanziaria ex art. 67 del TUIR, la cui produzione è contraddistinta dall’aleatorietà, ovvero, frutto dell’attività di negoziazione, nei quali l’impegno del capitale, ove previsto, non comporta la certezza del risultato.

Se l’investitore è residente in Italia ed è:
– una persona fisica che opera al di fuori di un’attività d’impresa;
– una società semplice o un’associazione di cui all’art. 5 del TUIR;
– un ente privato o pubblico, diverso dalle società, che non abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
– un soggetto esente dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche

le plusvalenze derivanti dalla cessione o dalla liquidazione dei certificati sono soggetti ad un’imposta sostitutiva pari al 26% (a partire dal 1° luglio 2014) e sono sempre compensabili con minusvalenze pregresse già realizzate.
Il percipiente può optare per i tre diversi criteri di applicazione dell’imposta sostitutiva di seguito elencati:

1) Secondo il cosiddetto “regime della dichiarazione”, che è il regime fiscale “naturale” applicabile in assenza di opzione per gli altri regimi impositivi. L’imposta sostitutiva è applicata cumulativamente sull’importo complessivo delle plusvalenze, al netto delle eventuali minusvalenze realizzate, in relazione a tutte le vendite o i rimborsi dei certificati effettuati nel corso di un determinato periodo di imposta. Gli investitori sono tenuti ad indicare le plusvalenze complessive – realizzate nel periodo di imposta, al netto delle relative minusvalenze – nella dichiarazione annuale dei redditi ed a versare la relativa imposta sostitutiva, unitamente alle altre imposte sui redditi dovute per il medesimo periodo d’imposta. Se, in relazione allo stesso periodo d’imposta, le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze, l’eccedenza è riportata in deduzione dalle plusvalenze realizzate nei quattro periodi di imposta successivi.

2) In alternativa al regime della dichiarazione, gli investitori possono optare per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze realizzate in occasione di ciascuna vendita o liquidazione dei certificati, nell’ambito del cosiddetto “regime del risparmio amministrato”.

3) Le plusvalenze realizzate dagli investitori che abbiano affidato la gestione del loro patrimonio finanziario, compresi i certificati, ad un intermediario autorizzato, optando per il cosiddetto “regime del risparmio gestito”, sono incluse nel calcolo del risultato maturato della gestione. Sul risultato annuale di gestione è applicata un’imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze realizzate dal 1° luglio 2014, che deve essere prelevata dall’intermediario incaricato della gestione. Nel regime del risparmio gestito, eventuali differenziali negativi nel risultato annuale della gestione, possono essere dedotti dagli incrementi di valore registrati nei periodi successivi, non oltre il quarto. Ai fini del regime del risparmio gestito, l’investitore non è tenuto ad indicare i redditi derivanti dalla gestione patrimoniale nella propria dichiarazione dei redditi annuale.

Quando, infine, l’investitore italiano è una società o un ente commerciale, o una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente alla quale i certificati siano connessi, le plusvalenze derivanti dagli stessi strumenti non sono soggette ad imposta sostitutiva, ma devono concorrere a determinare il reddito imponibile dell’investitore ai fini IRES.