Salgono i tassi, salgono le correlazioni

Erik Knutzen -
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Non è il momento di battere in ritirata, ma di passare a un’asset allocation più intelligente.

Per chi avesse dimenticato lo scorso febbraio, l’ultima settimana ci ha ricordato che siamo entrati in un contesto di maggiore volatilità, in cui azioni e obbligazioni stanno diventando sempre più correlate e, pertanto, i titoli di Stato potrebbero fornire minore diversificazione nei confronti delle azioni.

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La flessione del 2-3% registrata mercoledì scorso da tutte le piazze azionarie globali ha segnato semplicemente la peggiore giornata di contrattazioni di un’intera settimana di ribassi. Nel 2017, l’S&P 500 non ha mai perso più del 2% in una singola giornata, mentre quest’anno ciò è già accaduto sette volte. Qual è stato il fattore che ha innescato il crollo dell’azionario? La corsa al rialzo dei rendimenti obbligazionari che ha toccato l’apice il 3 ottobre.

L’Asset Allocation Committee Quarterly Outlook, che sarà pubblicato nei prossimi giorni, esaminerà più da vicino le tensioni e i fattori che alimentano l’attuale volatilità. Per ora, tuttavia, è importante sapere che quando obbligazioni e azioni perdono terreno all’unisono bisogna porsi tre domande. Quanto durerà questa fase di correlazione? Segnala la fine del ciclo economico? Come possono gli investitori mantenere un certo grado di diversificazione all’interno dei portafogli?

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Regime di correlazione

Riteniamo che questa variazione delle correlazioni sia destinata a perdurare se non ad intensificarsi nel 2019. Storicamente, le ultime fasi dei cicli economici hanno evidenziato correlazioni positive. La storia suggerisce che, agli attuali livelli di crescita e inflazione negli Stati Uniti, potremmo assistere a una correlazione azioni/obbligazioni di circa lo 0,15-0,20, un cambiamento significativo rispetto alle correlazioni negative a cui sono abituati gli investitori. Ci aspettiamo una crescita moderatamente solida, un aumento dell’inflazione per tutto il 2019 e un conseguente incremento delle correlazioni.

Sul versante obbligazionario, oltre all’aumento delle aspettative inflazionistiche, gli investitori stanno richiedendo premi più alti per le obbligazioni a lunga scadenza, che compensino la crescente incertezza circa la politica della Federal Reserve. Se le stime del mercato sull’andamento dei tassi sono corrette, il rendimento decennale statunitense faticherà a superare la soglia del 3,5%. Tuttavia, la politica della Fed di Powell, guidata più dai dati che dalle previsioni, e l’intensificarsi del dibattito sul tasso terminale, hanno accentuato il rischio.

Sul fronte azionario, non possiamo non notare la netta differenza tra la situazione odierna e quella di febbraio. Allora, la crescita globale era forte e sincronizzata, mentre oggi è debole e concentrata negli Stati Uniti. Gli stimoli fiscali erano freschi di introduzione, mentre ora i loro effetti stanno per svanire. I dazi commerciali erano una mera preoccupazione, oggi sono realtà. Nel 2019 difficilmente assisteremo a una replica della crescita degli utili di quest’anno, pertanto ogni eventuale ripresa dei mercati azionari si preannuncia verosimilmente meno rapida e convincente rispetto a quella dello scorso febbraio.

Con ciò non intendiamo sostenere che l’aumento delle correlazioni segnali un’imminente recessione. Se gli Stati Uniti rimarranno la locomotiva solitaria della crescita, costringendo la Fed a muoversi in modo aggressivo prima che le altre banche centrali siano nelle condizioni di seguirla, l’aumento dei tassi USA e l’impennata del dollaro sarebbero certamente in grado di smorzare la vitalità del ciclo economico globale. Come sosterremo con chiarezza nel prossimo Asset Allocation Committee Quarterly Outlook, monitoreremo attentamente questo scenario. Tuttavia, la scorsa settimana il nostro scenario di base di un allungamento del ciclo ha ricevuto sostegno da diversi fattori, tra cui l’allentamento dei dati sull’inflazione statunitense, la calma mostrata dal dollaro dinanzi alle turbolenze dei mercati obbligazionari e azionari e i crescenti sforzi della Cina per mantenere condizioni espansive, liquide e a sostegno della crescita.

Il rompicapo dell’asset allocation

Ciononostante, l’aumento delle correlazioni è reale e rappresenta una sfida non da poco per i responsabili dell’asset allocation nei periodi di volatilità come quello attuale.

In ambito obbligazionario, preferiamo evitare la parte lunga della curva, tuttavia la parte a breve continua a offrire opportunità di rendimenti positivi. Scorgiamo inoltre altre opportunità di valore: il debito in valuta forte dei mercati emergenti, ad esempio, ha registrato performance alquanto positive la settimana scorsa avendo già pagato pegno durante l’estate, e i rendimenti sono interessanti rispetto al profilo di rischio, specie nel segmento a breve scadenza. I titoli indicizzati all’inflazione dovrebbero risultare più compatibili con le dinamiche di fine ciclo rispetto alle obbligazioni nominali.

In ambito azionario, i titoli ciclici e value come quelli finanziari e delle materie prime potrebbero conseguire migliori risultati rispetto ai titoli growth di qualità. I “FANG” hanno perso circa il 15% dai picchi estivi, a causa del forte rialzo dei rendimenti obbligazionari. In aggiunta a ciò, gli investitori potrebbero puntare ad assumere un’esposizione azionaria meno volatile ma senza il rischio di tasso d’interesse associato ai tradizionali titoli difensivi, ad esempio tramite la vendita di opzioni put collateralizzate o mediante strategie azionarie long-short.

Per riassumere, a nostro avviso la settimana scorsa non ha rappresentato un segnale di ritirata. Si è trattato, tuttavia, dell’ennesimo promemoria circa il fatto che dobbiamo diventare tutti più attenti e più creativi quando decidiamo la nostra asset allocation.


Erik Knutzen – Chief Investment Officer – Multi-Asset Class – Neuberger Berman