Mercati finanziari: cosa potrebbe cambiare a breve

Legg Mason -

Dei cambiamenti importanti nel Congresso statunitense, nella Federal Reserve e nella leadership degli Stati Uniti, potrebbero avere ripercussioni sulla crescita globale?

I democratici hanno conquistato la maggioranza alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, nonostante ciò il sistema di governo è stato progettato per gestire tali situazioni di stallo politico. La struttura organizzativa è stata concepita per limitare la facoltà di attuare dei cambiamenti radicali, da parte di uno qualsiasi dei tre rami del governo, senza disporre di un sostegno bipartisan.

Questa dinamica influisce sulla capacità del ramo esecutivo nel proseguire con le disposizioni presenti nell’agenda di governo a favore della crescita del paese, almeno per i prossimi due anni tale potere è stato limitato, se non completamente arginato. Si parla di un sostegno bipartisan per le infrastrutture pubbliche di grandi dimensioni, ma è difficile credere che i senatori repubblicani tradizionali non siano già nauseati dal peso di questo governo e dal debito pubblico. Sembra poco probabile che i repubblicani del Senato possano approvare nuovi programmi di spesa provenienti dalla Camera, a guida democratica, senza ricevere alcuna compensazione.

La buona notizia per gli investitori è che lo stallo a Capitol Hill potrebbe porre fine all’attuale confusione nella Federal Reserve (Fed) nel momento più propizio.

Poche settimane fa, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha fatto un dietrofront sulla politica monetaria, dichiarando: “probabilmente, siamo molto lontani da un atteggiamento neutrale” di conseguenza il mese di ottobre ha visto crescere la volatilità dei mercati. La politica monetaria aggressiva ha colto alla sprovvista il mercato, dopo la riunione di settembre del Federal Open Market Committee (FOMC), tenutasi solo un paio di settimane prima di tale dichiarazione, gli operatori avevano avuto l’impressione che la banca centrale fosse più vicina ad un atteggiamento neutrale.

Powell non è un economista, né è un seguace di una particolare scuola di pensiero in materia economica, è un pragmatico, il che probabilmente spiega il suo cambiamento di rotta nella politica monetaria. Gli ultimi dati hanno riportato un prodotto interno lordo (PIL) più alto rispetto alle stime e un aumento dei salari, una condizione che ha rafforzato la sua fiducia nell’idea che i tassi siano troppo bassi rispetto alla crescita e che vi sia la necessità di un ulteriore rialzo, invertendo di fatto la direzione che sembrava volesse intraprendere la Fed solo un mese fa.

Il rialzo dei rendimenti obbligazionari verificatosi durante l’anno potrebbe essere un altro fattore dietro il cambiamento di rotta. Negli ultimi 10 anni, i rendimenti obbligazionari hanno espresso debolezza ad ogni minima oscillazione del mercato azionario, la Fed potrebbe interpretare il cambiamento nella correlazione con il mercato azionario di quest’anno come la fine dell’era dei tassi di interesse ultra-bassi e l’inizio di una rapida normalizzazione. Tutto ciò si basa sulla sostenibilità della crescita degli Stati Uniti e il rischio di inflazione. Storicamente, per la banca centrale, è sempre stata una sfida ottenere il giusto equilibrio sui tassi d’interesse, questa volta la Fed sta rendendo le cose più difficili cercando, allo stesso tempo, di alleggerire il bilancio.

La maggioranza delle persone concorda sul fatto che sia ormai tramontata l’era dei tassi di interesse ultra-bassi a livello globale, il punto di domanda che resta riguarda la velocità di normalizzazione dei tassi. Negli Stati Uniti, i tagli alle imposte contenuti nell’agenda di Trump hanno complicato la questione dando una forte spinta al PIL americano, il che potrebbe incoraggiare la Fed a pensare che sia appropriata una rapida normalizzazione.

Le tempistiche della normalizzazione

Abbiamo molte ragioni per ritenere che la normalizzazione sarà attuata in un arco di tempo molto lungo, forse anni.

Nell’economia globale c’è ancora una grande propensione al risparmio e una carenza d’investimenti.

Il crollo della spesa delle famiglie statunitensi e il crollo della richiesta di credito, avvenuti un decennio fa, hanno portato al calo dei rendimenti dei titoli obbligazionari. La Cina non ha più avuto la forte richiesta per il proprio surplus dei risparmi, quindi si è indebolita la struttura dei tassi a livello globale. Nei 10 anni seguenti la crisi, le famiglie statunitensi non hanno mai recuperato la loro propensione al debito. La crescita del credito delle famiglie è ancora al di sotto della crescita del reddito personale una caratteristica che ha prevalso nella depressione di tutte le precedenti recessioni degli ultimi 50 anni, e la propensione al risparmio delle persone è rimasta elevata.

Né vi è alcuna mancanza di risparmio nel settore delle imprese statunitensi riguardante i margini di profitto. Il tasso di risparmio della Cina è rimasto elevato anche durante gli ultimi 10 anni, costringendo i responsabili della politica economica a cercare degli usi alternativi del proprio surplus, dato che la crescita interna è scesa da un incremento a due cifra ad una crescita a cifra singola. La maggior parte degli sforzi per assorbire tale surplus del risparmio interno hanno visto come attore primario il debito pubblico, ciò ha portato a un aumento del rapporto debito/PIL, ad un costante aumento del deficit di bilancio e ad una riduzione del surplus delle partite correnti. Pechino non è soddisfatta di questa tendenza e cerca di sfruttare ogni ripresa economica per invertire il trend.

Nel frattempo, non vi è alcun segno di assorbimento in nessun’altra parte del mondo. La tendenza del surplus delle partite correnti Europee è in aumento costante dal 2008, a seguito della spinta verso l’austerità guidata dalla Germania. La partita corrente del Giappone è tornata vicino ai massimi storici e vale lo stesso per il suo PIL. Per quanto riguarda i paesi emergenti, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) riporta che nel 2015 il saldo medio delle partite correnti di 12 paesi in deficit hanno visto un dimezzamento del debito collettivo per oltre il 3% del PIL.

Il debito diffuso in tutto il mondo è troppo elevato per credere che i tassi possano normalizzarsi rapidamente senza ripercussioni sull’economia.

Lo stress nei mercati emergenti di quest’anno ha nuovamente rivelato una debolezza delle imprese appartenenti a queste aree, debolezza causata dal deficit in valuta statunitense. Ciò che è diverso da 10 anni fa, è che il mondo in via di sviluppo contribuisce al PIL mondiale con un fattore oltre il 60%, quindi una crescita più lenta in queste regioni ha ripercussioni a livello globale. I livelli del debito delle famiglie in Canada, Svezia, Australia, Norvegia e Nuova Zelanda sono di gran lunga superiori ai livelli che esistevano prima del crollo del mercato immobiliare statunitense. Le misure macroprudenziali hanno ridotto il tasso di crescita del settore immobiliare, si tratta di mercati che non dispongono dei margini di manovra per aumentare significativamente i costi dei finanziamenti o per ridurre i prezzi degli immobili, ciò che avverrebbe con una risposta politica troppo pesante. In Europa, le banche commerciali e le economie periferiche rimangono gravate dall’eccesso di debito pubblico. La Banca centrale europea ha lasciato i tassi ad un livello inferiore rispetto ai tassi di crescita della maggior parte dei paesi, non potendo alzare i tassi prima che siano risolti i problemi con il debito, come osservato di recente in Italia.

Normalizzare significa comprimere non solo i rendimenti delle azioni ma di tutti gli asset di rendita con delle potenziali contrazioni del patrimonio netto.

Le maggiori criticità emerse in un contesto di tassi ultra-bassi sono state espresse dai prezzi degli asset; la via più veloce per rallentare la crescita consiste in una grande compressione del patrimonio netto. La normalizzazione non lascia spazio per nascondersi agli investitori e la volatilità di ottobre ha fornito un’anticipazione di ciò che accadrebbe se la normalizzazione sarà attuata con un ritmo sostenuto. 

Gli Stati Uniti sono in crescita mentre il resto del mondo rallenta – per quanto tempo continuerà così?

Nonostante le argomentazioni a favore di una lenta normalizzazione, l’attenzione della Fed si concentra sul taglio delle tasse grazie al sostegno della crescita del PIL e dell’inflazione salariale. L’economia globale subisce la pressione della Fed che sta attuando una politica monetaria più aggressiva: la liquidità in dollari sta diventando sempre più scarsa e costosa. Una dinamica che non va bene per tutti i paesi, la crescita sta rallentando quasi ovunque nel mondo tranne che negli Stati Uniti. Questa divergenza nella crescita tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, specialmente nei confronti della Cina, è forse l’aspetto più sorprendente dell’attuale macro-profilo globale, la Fed sta aumentando i tassi mentre la Cina li sta tagliando. Finora Powell ha reagito con un’alzata di spalle e disinteressandosi del rallentamento nel resto del mondo come se non fosse un suo problema, ma tra un anno gli Stati Uniti e l’economia globale potrebbero scambiarsi i ruoli.
L’economia degli Stati Uniti non è un’isola, i mercati dei capitali reagiscono alle divergenze e la contrazione dall’economia globale è già iniziata. A ottobre, il mercato azionario statunitense si è unito alle svendite che si erano diffuse nel resto del mondo. I ciclici economici sono stati calpestati a favore della sicurezza, gli investitori hanno segnalato che la crescita degli Stati Uniti potrebbe aver raggiunto il suo apice. L’indebolimento del rapporto azionario-obbligazionario è stato dimostrato anche da un calo dell’indice manifatturiero ISM, un indicatore sulla crescita del PIL.

L’inflazione interna potrebbe sorprenderci con un dato al ribasso, a causa di un dollaro forte e una ritirata dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Quest’anno, l’indice CRB Raw Industrials ha perso quasi il 10%, spesso tale dato è interpretato come un segnale del raggiungimento dell’apice dei profitti. La Fed raramente aumenta i tassi quando questo indice è in contrazione, ma non ha mai cambiato la propria linea, e durante l’anno ha proseguito con la sua politica.

Le divergenze si sono sviluppate sia a livello nazionale che a livello globale. L’immobiliare è il settore principale che influisce sul’andamento dei tassi di interesse, l’attività in questo ambiato si è arrestata nonostante la domanda latente che si riflette sulle nuove costruzioni. Rispetto allo scorso anno le vendite di nuove abitazioni sono diminuite del 13% e il tasso di crescita delle vendite in attesa di essere liquidate è stato negativo dall’inizio del 2017. Le vendite di auto negli Stati Uniti sono rimaste invariate dalla fine del 2015, da quando la Fed ha iniziato a innalzare i tassi. Gli aumenti dei prezzi della benzina e del petrolio sono stati degli ulteriori ostacoli al potere d’acquisto e, dopo gli effetti iniziali dei tagli fiscali, sembrano contrarsi anche gli investimenti delle imprese. 

Cosa dobbiamo aspettarci

Tutto questo ci suggerisce che ci sono buone possibilità che gli Stati Uniti e l’economia globale possano invertirsi i ruoli entro il prossimo anno. Lo stallo del Congresso riduce le probabilità che il governo degli Stati Uniti reagisca ad un rallentamento della crescita interna con ulteriori misure di stimolo. Quindi una crescita più contenuta potrebbe spingere la Fed verso un ritmo della normalizzazione dei tassi più rilassato, se non ad una ritirata completa dall’alleggerimento del bilancio. Qualsiasi allentamento del prezzo o scarsità della liquidità del dollaro statunitense darebbe una grande spinta alla crescita globale, mentre sullo sfondo resta ancora in gioco la politica di stimolo cinese. Nel caso in cui il presidente Trump e il presidente Xi riuscissero a recuperare i rapporti nell’incontro di Buenos Aries, i mercati finanziari potrebbero considerarsi al sicuro per il prossimo anno.