Secondo semetre 2019: la prudenza è il rimedio ad un ottimismo eccessivo

Team Multi-Asset - Unigestion -
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Riteniamo che gli asset di crescita siano vulnerabili a un cambiamento del sentiment dei mercati, data la forza del rally del primo trimestre e il crescente rischio di recessione, in particolare nell’Eurozona.

Da tempo sosteniamo che l’attuale rallentamento globale rappresenti un rischio significativo per i mercati legati alla crescita. Ma il gap di valutazione che si è verificato alla fine dello scorso anno, combinato con il cambiamento di politica monetaria della maggior parte delle banche centrali, ha dimostrato che abbiamo avuto un rally dei mercati nel momento in cui le obbligazioni producevano rendimenti positivi.

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Tuttavia, oggi riteniamo improbabile che questo rallentamento della crescita, che è stato finora continuo e significativo, si interrompa. L’Eurozona è particolarmente a rischio, e persino la Germania ha mostrato segnali significativi di un deciso rallentamento. Questa situazione è stata ampiamente riconosciuta dalle banche centrali, il cui cambio di orientamento ha rilanciato i mercati azionari e obbligazionari.

Per il secondo trimestre riteniamo che le valutazioni azionarie siano a rischio, perché sono molto più elevate rispetto allo scorso dicembre e la prossima stagione degli utili porterà probabilmente un susseguirsi di notizie e forward guidance deludenti. Ne corso dei secondi tre mesi dell’anno, il sentiment di mercato probabilmente prenderà il sopravvento e questo ci spinge ad avere un atteggiamento difensivo. Inoltre, vediamo un numero limitato di fattori che potrebbero invertire questa situazione. Valutazioni azionarie più elevate in un contesto di macro decelerazione suggeriscono che i mercati sono eccessivamente ottimisti, perciò preferiamo restare prudenti.

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Il Paesi sviluppati stanno rallentando

Sin dall’ultimo trimestre del 2018 abbiamo prospettato un outlook abbastanza negativo per l’attuale ciclo economico. La nostra view si basa principalmente sull’output di un insieme di indicatori economici proprietari – c.d. Growth Nowcasters – progettati per valutare il rischio di recessione in tempo reale.

Possiamo trarre tre conclusioni sui mercati sviluppati:

  1. Abbiamo assistito a un lungo periodo di forte crescita: il nostro Growth Nowcaster ha registrato un picco straordinario nel febbraio 2018. La crescita del PIL nel 2018 nei paesi OCSE ha superato il 3,5%, un livello che raramente si vedeva dalla fine della grande crisi finanziaria.
  2. I fattori di crescita sono scesi da questi livelli più elevati in modo costante dal febbraio 2018 e con una notevole consistenza tra i mercati sviluppati che monitoriamo.
  3. Questo rallentamento riflette sia una domanda più lenta, sia una decelerazione della maggior parte di fattori economici in molti Paesi.

I mercati hanno iniziato a prezzare questo rallentamento nel quarto trimestre dell’anno scorso, con l’indice MSCI World che ha perso circa il 18%: un calo significativo. Da allora, l’indice MSCI World ha registrato un recupero impressionante di entità paragonabile alla perdita. Il ritmo e la portata di questa ripresa potrebbero essere facilmente paragonati alla ripresa del 2009. Ma i recuperi sono simili? Rispondere a questa domanda è fondamentale per anticipare le prossime mosse.

Grazie Mr. Powell

Il 2019 è iniziato con quello che chiamiamo un “gap di valutazione”, vale a dire che a gennaio le valutazioni azionarie sono state molto convenienti, soprattutto quelle dei mercati sviluppati, come tende ad accadere dopo un rallentamento. La differenza fondamentale oggi, tuttavia, è il fattore scatenante della ripresa: nella maggior parte dei precedenti rallentamenti, è avvenuta sulla base di un forte miglioramento delle condizioni economiche. Ma la situazione odierna è molto diversa: la crescita è discreta ma in decelerazione. Questa volta quindi non è all’origine della ripresa.

In secondo luogo, il fattore scatenante della ripresa nel primo trimestre è stato il significativo cambiamento di atteggiamento adottato dalla maggior parte delle banche centrali dei mercati sviluppati. Sia la FED che la BCE hanno riconosciuto il rallentamento. Con l’abbassamento dei tassi, le azioni sono cresciute.
Questa situazione è problematica per due motivi: primo, è probabile che le valutazioni siano ora molto sensibili a qualsiasi cambiamento di sentiment e, secondo, il cambio di atteggiamento delle banche centrali deve essere sufficiente a compensare la direzione dei dati macro affinché i mercati rimangano dove si trovano per ora. Entrambi gli elementi sono a rischio, come spieghiamo di seguito.

Una ripresa fragile

Con valutazioni così elevate, è essenziale confrontare le aspettative dei mercati in termini di crescita degli utili per il 2019 con le aspettative degli analisti.

Gli operatori di mercato si aspettano ora un aumento del 14% rispetto all’anno precedente dei profitti delle società S&P 500. Nel caso dell’Euro Stoxx 50, questa cifra raggiunge il 9%, mentre è ancora negativa nel caso dell’indice azionario FTSE 100, del TOPIX e dell’indice azionario EM. Per l’indice MSCI World, quest’anno si prevede una crescita degli utili dell’11%.

Le aspettative di crescita degli utili hanno iniziato l’anno a circa il 5%, il che implica un tasso di crescita nominale mondiale di circa il 3%. Da allora, e alla luce del macro deterioramento, questo numero è stato continuamente rivisto al ribasso fino al 2% a fine marzo. Esiste quindi una chiara discrepanza tra le aspettative degli analisti e i mercati di riferimento.

I mercati dovrebbero essere quindi a rimanere delusi, in quanto la stagione degli utili ci porta al nostro secondo argomento chiave: le banche centrali possono sostenere ancora una volta le economie nel mezzo di un rallentamento?

Un’altra “svolta ad U” per il ciclo?

A nostro avviso, il 2018-2019 è più una storia europea. I nostri Nowcaster relativi a crescita e inflazione nell’Eurozona mostrano costantemente segnali che la regione è sull’orlo di una recessione, dato che il rallentamento è stato forte e continuo ed ha colpito tutte le economie dell’area, Germania compresa.

Da febbraio 2018, in media, circa il 65% dei dati ha registrato livelli più bassi. In un certo senso, sembra la decelerazione dell’Eurozona nel 2011, con alcune differenze: in primo luogo, la crescita è stata molto più forte nel 2010 rispetto al 2018, raggiungendo il 2,4% contro l’1,1%. In secondo luogo, la Germania è stata al riparo dalla decelerazione del 2011 e continuava a crescere del 2,4%, mentre nel 2018 è cresciuta solo dello 0,6%. Infine, nel 2011 la BCE non aveva avviato il QE, mentre oggi detiene circa il 20% dei mercati obbligazionari e ha recentemente avviato un nuovo ciclo di operazioni di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO). Vi è ora un margine di manovra limitato per dare una risposta significativa in materia di politica monetaria.
Negli ultimi due trimestri, la BCE ha riconosciuto che l’area sta rallentando rapidamente: noi siamo preoccupati e la BCE è preoccupata, ma i mercati al momento non lo sono. Come mai?

Ci sono tre ragioni che potrebbero portare i mercati a ritenere che il rallentamento della zona euro devii da questo percorso recessivo.

In primo luogo, quando si confrontano i diversi settori che compongono l’economia della zona euro dal febbraio dello scorso anno, la domanda è stata un’anatra zoppa. Una possibile spiegazione di ciò è l’impatto dell’aumento dei prezzi del petrolio sulla domanda nel 2017 e nel 2018, aumentato del 92% (WTI) da metà 2017 a settembre 2018. Tuttavia, il recente calo dei prezzi potrebbe avere l’effetto opposto: da ottobre 2018 a dicembre 2018, è sceso del 45%, il che implicherebbe un aumento della crescita del PIL. Abbiamo delle riserve su questo scenario: il calo è ancora fresco e si è verificato in un periodo breve. Per influenzare positivamente la crescita, i prezzi del petrolio devono rimanere bassi per un periodo più lungo, ma da gennaio sono aumentati del 40%.

In secondo luogo, una parte della decelerazione tedesca deve essere attribuita al deterioramento dei dati sui consumi in Cina e all’inasprimento delle condizioni di credito nel Paese asiatico. Senza il significativo round di stimoli governativi che ha ricevuto, l’economia cinese sarebbe in pessima forma come l’Eurozona. Nel corso del primo trimestre, il governo cinese ha impiegato circa il 3% del suo PIL in stimoli, inferiore a quello del 2015, ma comunque significativo. Ciò potrebbe avere un impatto sul commercio estero della Germania. Ma lo stimolo è ancora fresco, essendo stato lanciato all’inizio di quest’anno e i suoi effetti sull’economia cinese e sul mondo si manifesteranno soprattutto nei prossimi due trimestri.

In terzo luogo, il commercio mondiale è a rischio. Anche se l’85% del commercio estero dei membri della zona euro viene effettuato all’interno dell’area, una contrazione del commercio mondiale sarebbe una cattiva notizia. L’OCSE prevede che una guerra commerciale a oltranza implicherebbe un calo del 2% del commercio mondiale.

Secondo i nostri calcoli, questo calo potrebbe portare a un contributo negativo dello 0,4% alla crescita dell’Eurozona. Una soluzione positiva della questione lascerebbe invariata la situazione della zona euro. Un peggioramento di questa situazione compenserebbe chiaramente sia l’impatto positivo del calo dei prezzi del petrolio che dello stimolo cinese.

La zona euro è al centro delle nostre preoccupazioni da un punto di vista macroeconomico, ma non è l’unico blocco che sta rallentando. Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: ogni settore economico ha rallentato in modo coerente negli ultimi 12 mesi. Anche in questo caso, la Fed sta diventando prudente, non solo noi.

La prudenza è il miglior rimedio all’eccessivo ottimismo

Per queste ragioni, vediamo un limitato potenziale di rialzo nell’azionario. I mercati hanno messo fine al rallentamento dei prezzi, mentre la bassa inflazione limiterà un’ulteriore stretta delle banche centrali. Prevedere una recessione è sempre difficile, tuttavia è innegabile che molte nuvole si stanno accumulando, in particolare sul cielo dell’Eurozona. Quest’area non è un’isola e commercia attivamente con molti partner, esportando il suo rallentamento. Nemmeno la stabilizzazione della crescita renderebbe i mercati azionari più interessanti, in quanto è sempre più probabile che dipendano dal sentiment del mercato, componente tipicamente volatile.

Dato il rally osservato finora, sottopesiamo gli asset di crescita. La maggior parte di questo sottopeso si concentra sul credito, dato che se il rallentamento persiste nel corso dell’anno, gli spread creditizi sono solitamente i primi ad aumentare. Preferiamo anche i titoli di Stato (in particolare statunitensi, canadesi e australiani) poiché assicurano ancora un livello di protezione elevato in caso di recessione, continuando ad offrire un carry positivo. È da un po’ di tempo che teniamo una posizione prudente e, a nostro avvivo, questa si rende oggi ancora più necessaria di quanto non lo fosse lo scorso dicembre.