Gli italiani e la ricchezza

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E’ stato pubblicato il secondo Rapporto AIPB-Censis «Gli italiani e la ricchezza.

Affidarsi al futuro, ripartire dalle infrastrutture». L’approfondimento  analizza in primo luogo come si è evoluta la ricchezza finanziaria delle famiglie nell’economia post crisi e di come il risparmio viene considerato e utilizzato, fino alla verifica del permanere nella cultura sociale collettiva di una percezione positiva della ricchezza, allorquando crea sviluppo, anche in un contesto economico e di sentiment sociale deteriorato rispetto allo scorso anno; la maggioranza degli italiani reputa la ricchezza un’opportunità per l’Italia, se si stimolano i detentori a investirla bene, creando nuova ricchezza da ridistribuire.

Un secondo tema è quello del rapporto tra ricchezza e Paese, concentrandosi sul posizionamento e sulla percezione dei benestanti rispetto al contesto socioeconomico nazionale e su come questo influisce sulla propensione agli investimenti nell’economia reale. In particolare, ci si è chiesto se i gruppi benestanti sono disposti a utilizzare il proprio patrimonio solo per sé stessi, con lo scopo di salvaguardare e accrescere il patrimonio personale, o hanno anche altri valori, aspettative e interessi, come la voglia di dare il proprio contributo anche a finalità di natura sociale, che possono andare a vantaggio di tutta la comunità.

Dall’indagine emerge nettamente la propensione dei clienti private a valutare le opportunità di investimento diretto nell’economia reale, ed in particolare in attività produttive, in quanto generatrici di occupazione e reddito; potente è la consapevolezza di poter giocare un ruolo importante nelle dinamiche di sviluppo del paese o anche nel sostegno alla comunità locale di appartenenza e trova, infine, ampi spazi anche la sensibilità sociale e ambientale.

L’investimento in infrastrutture, infine, costituisce il tema monografico del Rapporto di quest’anno. In un recente studio della McKinsey si stima che l’Italia, per colmare il gap infrastrutturale, dovrebbe investire, nel periodo 20172035 risorse aggiuntive pari uno 0,2% del PIL in più rispetto a quanto è stato speso nel 2010-2015 (2,3% del PIL).

Quali sono le principali evidenze ?  La ricchezza finanziaria complessiva delle famiglie italiane non è ancora tornata ai livelli pre-crisi. Alla fine del 2018 ammontava a 4.218 miliardi di euro: -0,4% in termini reali rispetto al 2008. Molta la ricchezza ereditata dal passato, poca la nuova aggiunta di recente. Nella composizione del portafoglio delle attività finanziarie degli italiani vince la voce contante e depositi bancari, con 1.390 miliardi di euro, pari al 33% del totale e una crescita del 13,7% rispetto a dieci anni fa.

Boom anche delle riserve assicurative, pari al 23,7% del portafoglio, con un aumento del 44,6% in dieci anni. Crollano invece titoli obbligazionari (pesano per il 6,9% del portafoglio, erano pari al 21% dieci anni fa) e azioni (-12,4% dal 2008). In questo quadro, sono 500.000 le famiglie italiane che detengono patrimoni finanziari superiori a mezzo milione di euro (circa il 2,5% delle famiglie). E ammonta a circa 850 miliardi di euro il portafoglio di risparmi per investimenti affidati al private banking.

Secondo il 76,8% degli italiani, contante, soldi tenuti fermi sui conti correnti bancari e investimenti finanziari non devono essere tassati in misura maggiore delle risorse che invece vengono investite nell’economia reale.

Le idee degli italiani sul risparmio prevedono una difesa intransigente della libertà di scelta del risparmiatore e ancora una predilezione per il contante: amatissimo strumento contro l’insicurezza.

Se l’economia reale vuole attirare risparmio deve rendersi allettante, e non per effetto di una tassazione aggiuntiva sulla liquidità. Tra i risparmiatori vince poi una crescente diffidenza verso lo Stato: il 61,2% degli italiani non utilizzerebbe i propri risparmi per acquistare Bot, Btp o altri titoli del debito pubblico.

È la fine dei «Bot people», quando il risparmio privato alimentava una esplosiva spesa pubblica, che a sua volta foraggiava redditi privati e un sistema di welfare pubblico molto generoso.

Nella percezione delle persone più ricche esiste poi un rischio-Paese per l’Italia. Per il 53,4% di loro pensare al futuro del Paese desta preoccupazione, per il 23,4% curiosità e solo nell’8,3% suscita un senso di sfida. Sono stati d’animo che non incentivano a investire, soprattutto nel lungo periodo.

Tuttavia, il 68,2% dei ricchi non ha alcuna intenzione di andarsene dall’Italia: perché il 42,2% afferma che in Italia ha le proprie radici e il 26,0% ritiene che il nostro sia uno dei Paesi in cui si vive meglio al mondo. Le infrastrutture sono considerate poi per l’89,3% degli italiani investimenti strategici.

Per il 50,7% bisogna investire nella messa in sicurezza del territorio contro frane, inondazioni e terremoti, per il 39,3% nelle energie alternative, per il 33,2% nella ristrutturazione di monumenti, chiese, opere d’arte, siti archeologici, per il 22,5% nelle ferrovie e nei treni locali, per il 22% in collegamenti stradali e ferroviari tra il Tirreno e l’Adriatico, per il 20,8% nella connessione internet veloce ovunque e per il 20% nei trasporti pubblici delle grandi città.

Se in Italia le infrastrutture si annunciano e poi non si portano a termine, per il 57,9% degli italiani ciò dipende dalla corruzione, per il 54,1% da regole eccessive e burocrazia lenta, per il 33,7% da controlli insufficienti sulle imprese che realizzano i lavori, per il 31,7% dalla politica che cambia idea sulle opere da realizzare.

Proprio le ragioni che bloccano o rallentano i cantieri dissuadono gli italiani dall’obiettivo di investire i propri soldi negli strumenti di finanziamento delle infrastrutture. Anche tra i clienti del private banking (i ricchi) il 56,7% opta per altri investimenti dai rendimenti più sicuri e il 55,7% teme ritardi o blocchi delle opere. Nonostante tutto ciò, il 35,3% investirebbe in infrastrutture