Digitalizzazione e ibridazione dei modelli scolastici. Il futuro di istruzione e ricerca post Covid

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Potenziamento del sistema scolastico e dei processi di apprendimento grazie alla tecnologia per migliorare la didattica in presenza e abilitare quella a distanza. Snellimento ed efficientamento delle attività burocratiche. Garantire l’inclusione e la partecipazione di tutti gli studenti. Aumentare i livelli occupazionali giovanili post-laurea. Trasformare le competenze della ricerca in un asset strategico per migliorare il Sistema Paese e attirare capitale estero.

Devono essere questi gli obiettivi delle nuove politiche di innovazione della Scuola e della Ricerca Universitaria, due grandi leve a disposizione per rilanciare la nostra economia e puntare a una crescita più virtuosa e sostenibile. Per realizzare questi obiettivi sono due le priorità: spingere sulla virtualizzazione ed ibridizzazione dei modelli scolastici e continuare a promuovere la ricerca, una distintiva eccellenza italiana.

Ibridare i modelli scolastici. Il nuovo Coronavirus ha sconvolto la vita di tutti. E finché non ci sarà un vaccino efficace, non si può escludere la possibilità di un ritorno a forme di lock-down. Un’ipotesi spiacevole, che, però, si può trasformare in opportunità di promozione della virtualizzazione del sistema scolastico. Senza una copertura nazionale delle infrastrutture digitali, non si può garantire il diritto all’istruzione che, in questi mesi, è stato reso possibile proprio grazie alle tecnologie digitali (il Piano Nazionale Scuola Digitale 2020 prevede la messa a disposizione di €1,1mld per migliorare la connessione alla rete delle scuole e formare il personale alla didattica digitale). Come è noto, infatti, durante la pandemia non tutti hanno avuto le stesse possibilità di accedere alle tecnologie e alla connessione. In certe zone, il digital divide ha intensificato le diseguaglianze sociali preesistenti. Pur non avendo difficoltà specifiche con il mondo digitale e valutando positivamente l’impatto della scuola durante il lockdown, quasi il 40% dei Gen-Z ha avvertito una nuova forma di stress, amplificata da un modello didattico completamente a distanza (Deloitte Millenial Survey, 2020), senza tener conto della percezione degli insegnanti. Che si torni o meno a un nuovo lockdown, è chiara la necessità di sviluppare modelli scolastici ibridi, in cui il mondo digitale e quello tradizionale convivono e si completano e in cui il rapporto umano tra insegnate e alunno è al centro dell’esperienza formativa. I nativi digitali, infatti, chiedono più investimenti per ridurre il “digital divide”, ma ribadiscono che niente può sostituire le relazioni umane (The future We Want, Unicef, 2020).

Promuovere la ricerca universitaria. È indubbio che la possibilità di ritornare alla normalità dipende anche dalla capacità dei ricercatori di sviluppare un vaccino contro il Covid-19. Questo semplice e attualissimo esempio è sufficiente a dimostrate l’importanza strategica della ricerca: investire nella formazione e valorizzazione del capitale umano è determinante per far emergere il valore inespresso del Paese e rafforzarne la propria posizione di leadership. I benchmark internazionali lo dimostrano: la Silicon Wadi israeliana, ad esempio, è oggi il centro di Cyber Security più avanzato grazie ad un modello di sostegno alla ricerca e collaborazione da parte dello Stato (il 4,25% del PIL è speso in R&S – più del doppio rispetto media europea del 2%), delle aziende (insediati gli hub R&S di IBM, Oracle, CISCO, Microsoft, Citibank, Intel e Amazon) e delle Università (7 università di ricerca, 2 delle quali tra le migliori 100 al mondo). Una tale propensione alla promozione della ricerca c’è anche a Londra, capitale del Fintech con 2 top atenei e corsi intensivi d’informatica e programmazione alle scuole superiori, e in Nuova Zelanda, uno dei principali attori nello scenario Agritech, con un nuovissimo Istituto di Innovazione e Biotecnologie tra i top 100 al mondo (Deloitte, 2020).

Come risulta evidente da questi esempi, le competenze e conoscenze dei ricercatori sono un asset di immenso valore per il nostro Paese. Ma sostanziali passi in avanti devono essere fatti: l’intensità della R&S in Italia è stata pari all’ 1,39% del PIL, ben al di sotto della media EU di 2,06%, del 3% di Germania e Svezia (Istat, 2020). A tal fine è essenziale non solo incentivare la collaborazione delle università pubbliche con le aziende private tramite l’istituzione di centri di ricerca e poli innovativi, ma anche investire in talenti specializzati, che al momento scarseggiano. Come dimostrato dai dati dell’esclusiva ricerca dell’Osservatorio della Fondazione Deloitte, in Italia quasi un’azienda su quattro (il 23%) non riesce a trovare i profili professionali STEM di cui ha bisogno. Nel nuovo contesto Covid, investire per valorizzare il capitale umano è una sfida strategica da cogliere e vincere per il futuro del Paese.