Il settore energetico al bivio tra rinnovabili e combustibili fossili
In questo 2020 il settore energetico ha dovuto sopportare un’estrema volatilità, e rimane comunque la possibilità di nuove scosse, visto anche che l’entità e le tempistiche della ripresa sono ancora oggi oggetto di discussione. Il sentiment degli investitori rimane basso ripercuotendosi sul mondo dell’energia con una bassa valutazione relativa delle azioni e delle obbligazioni del settore.
Lo scatto verso la Green Energy
L’energia rinnovabile, a cui spesso ci si riferisce con l’appellativo di “green energy”, può essere definita a grandi linee come l’energia derivata da fonti naturali, come il sole, il vento, l’acqua, le piante e il suolo (geotermica). Anche se riteniamo che le tradizionali fonti energetiche, come il petrolio e il gas naturale, continueranno a soddisfare la maggior parte della domanda di energia nei prossimi anni, è evidente come molti paesi si stiano muovendo rapidamente verso la green energy. Per quanto riguarda gli USA, pensiamo che, nel medio termine, sia la politica dei singoli stati che quella federale continuerà ad andare verso sistemi di produzione di energia che permettano una riduzione delle emissioni, puntando a raggiungere progressi importanti per il raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni. Tuttavia, a nostro avviso, è prematuro pensare ad un vero declino del petrolio e del gas nella composizione del paniere energetico.
Le implicazioni della transizione verso la green energy continuano comunque a influenzare il comportamento degli investitori e l’attività dei mercati. L’universo obbligazionario del settore si è notevolmente ridotto, con il segmento investment-grade che rappresenta solo il 6,7% dell’indice Bloomberg Barclays US Credit, mentre il segmento high-yield è sceso al 13% dell’Indice BofA US High Yield, con un calo, rispettivamente, di 166 e 400 punti base negli ultimi cinque anni. Questa tendenza è già stata osservata nei mercati azionari, in cui i titoli energetici rappresentato ora solo il 3,6% dell’indice S&P 500, in netto calo dal 15% del 2014.
La politica dell’energy in America
La politica energetica degli Stati Uniti è a un punto di svolta e molto dipende dall’esito delle elezioni. Negli ultimi quattro anni, sotto la presidenza Trump, le politiche energetiche hanno sostenuto l’industria petrolifera e del gas per perseguire l’obiettivo dell’”indipendenza e sicurezza energetica degli Stati Uniti”, incoraggiando lo sviluppo di risorse interne per l’autosufficienza energetica e la crescita guidata dalle esportazioni. L’amministrazione Trump, tramite l’Environmental Protection Agency, ha annullato parte delle regolamentazioni a cui era soggetto il metano, ha ridotto gli standard per le emissioni e l’efficienza del carburante per l’industria automobilistica, oltre ad aver ampliato l’accesso alle terre e alle acque federali, velocizzando anche processi di autorizzazione. In ogni caso, indipendentemente dal risultato elettorale, il sentiment degli investitori e dei consumatori spinge verso una maggiore tutela dell’ambiente: un cambio di atteggiamento che riteniamo permanente nel panorama dell’energia.
Il programma di Biden su questi temi rappresenterebbe un sostanziale allontanamento da quanto fatto negli ultimi 4 anni. Immediatamente Biden rientrerebbe negli accordi di Parigi, impegnando gli Stati Uniti a ridurre le emissioni di gas serra insieme ad altri obiettivi. Innanzitutto, l’attenzione si concentrerebbe sull’obiettivo più raggiungibile, ovvero gli sforzi per sostituire le fonti più inquinanti con energie rinnovabili. Durante la campagna elettorale Biden ha introdotto ambiziosi obiettivi politici, incentrati su un sistema elettrico a zero emissioni di carbonio entro il 2035, e zero emissioni nette entro il 2050. Questi obiettivi sarebbero raggiunti attraverso uno standard nazionale di efficienza energetica e di energia pulita (ancora da definire). Ciò richiederebbe circa 2 trilioni di dollari di investimenti in energia verde, nuove tecnologie e ampie infrastrutture “green”, cosa che comporterebbe potenziali sussidi e incentivi al settore.
Una svolta verso un “Green New Deal” particolarmente aggressivo è possibile e dipende da quanto progressista sarà il nuovo Segretario per l’energia. Crediamo che molto dipenderà dal fatto che i Democratici abbiano o meno un pieno controllo sul Congresso. Anche se non stati chiaramente esplicitati, i mezzi necessari per finanziare un piano del genere richiederebbero probabilmente una carbon-tax nazionale. Tuttavia, riteniamo probabilmente si dovrà attuare in parallelo un controllo dei costi più approfondito visto che, come tutte le tasse, anche la carbon tax avrebbe un impatto sui prezzi a discapito dei consumatori.
Al netto delle incertezze elettorali, negli ultimi anni il settore registra importanti spinte per una transizione. Lo shock senza precedenti della domanda e dell’offerta ha alzato l’attenzione dei manager verso la gestione delle proprie aziende, controllando ciò che possono controllare in un contesto macro difficile. Data la limitazione dei capitali, il settore al momento presenta bilanci al limite della sostenibilità, e forza una gestione particolarmente oculata visto che i ricavi sono sotto pressione.
Tuttavia, non tutto è perduto poiché un settore più snello può ancora avere dei vantaggi. Dal punto di vista di un investitore, una disciplina del capitale più rigorosa e una riduzione delle spese in conto capitale sono in corso da tempo, con le aziende che danno priorità alla riduzione del debito e al miglioramento dei bilanci. Le prospettive dell’arrivo di una maggiore regolamentazione dovrebbero anche accelerare il consolidamento del settore, per arrivare a una riduzione dei costi e aumentare scala e attrattività nei confronti degli investitori.
Inoltre, è improbabile che la transizione energetica avvenga dall’oggi al domani; è probabile che sia caratterizzata da un approccio più metodico e graduale, soggetto anche alla domanda dei consumatori. D’altra parte, la crescita economica globale e una maggiore prosperità economica richiedono una maggiore quantità di energia e le fonti meno costose sono le prime a essere consumate. Il passaggio a forme di energia più costose potrebbe infatti ostacolare le economie (in ripresa) e, nel breve termine, frenarle. Il ritmo con cui avverrà questa transizione resta oggetto di dibattito. Inoltre bisogna tenere a mente che per raggiungere gli obiettivi climatici dichiarati, le scelte politiche potrebbero stressare la catena del valore delle materie prime aggiungendo inavvertitamente maggiori costi alla transizione tramite una maggiore volatilità dei prezzi. Riteniamo dunque che in termini assoluti i livelli di consumo di combustibili fossili potrebbe non cambiare nel breve e medio termine, ma prevediamo che la composizione del paniere delle fonti energetiche continuerà a mutare con lo spostamento verso le risorse rinnovabili.