Nomi, cose, città: a qualunque lettera c’è un robot

Gianluca Dotti per Credit Suisse Asset Management -

A volte sembra quasi che il cinema, la fiction e la narrativa vogliano fare di tutto per screditare i robot. Distopie in cui gli automi prendono il sopravvento sugli esseri umani. Strani esseri metallizzati mossi dalle più crudeli intenzioni. Disastri dovuti a errori di valutazione da parte di un’intelligenza artificiale. O minuscoli chip utilizzati per malefatte che spaziano dal terrorismo al controllo delle masse. E poi, come se non bastasse, siamo circondati da vere e proprie bufale: prima fra tutte la teoria che l’automazione ruberà il lavoro alle persone, anziché sottolineare come semmai permetterà di risparmiarci mansioni ripetitive, alienanti o pericolose. Lasciando a donne e uomini la possibilità di focalizzarsi su attività a valore aggiunto, o più semplicemente di fare meno fatica.

Oggi la robotica è un tema così ricco di possibilità e applicazioni che è diventato persino difficile darne una definizione. Chiamiamo robot quell’oggetto che ci aiuta a preparare una ricetta in cucina, e diamo lo stesso nome al braccio industriale che muove oggetti e adopera utensili a una velocità impressionante. È un robot quello a forma di disco a rotelle che ci tiene puliti i pavimenti, e lo è pure quello quadrupede che va a esplorare ciò che resta dei reattori di Černobyl’ per saggiare i livelli di radioattività. È un robot quello che ci opera agli occhi per correggere la miopia, e lo è pure quello che smuove i pacchi nei grandi magazzini della logistica o mette il blister di pastiglie nelle mani del farmacista, prelevandolo dal giusto scaffale. Insomma, si potrebbe proseguire all’infinito con gli esempi, dalla casa all’industria, dall’ospedale alla raccolta differenziata, dalla guida autonoma all’agricoltura di precisione.

Chiunque sia mai incappato in una puntata della serie-documentario canadese “How it’s made” – “Com’è fatto” nella versione italiana – non ha certo alcun dubbio su quanto l’automazione oggi sia già una presenza fissa in una qualunque filiera che va dalla materia prima fino all’imballaggio del prodotto finito. Da un certo punto di vista, però, è preistoria.

Far entrare la robotica nei processi produttivi del Ventunesimo secolo significa adottare il modello di industria 4.0, in cui alla forza e alla precisione della macchina si unisce la potenza dei dati e l’intuito degli algoritmi di apprendimento automatico. Ma vuol dire, tra le righe, che oggi un robot non è solo un ausilio fisico, ma pure cognitivo, che può apprendere ed essere usato anche per mansioni flessibili, e che richiede molto meno sforzo rispetto al passato per l’installazione e la preparazione.

Più che una rivalità umano-robot, che nemmeno il più pessimista degli scienziati contempla come possibile, quella che si va prospettando è una forma di simbiosi. Un sapiens e un automa possono condividere le mansioni, e le ultime generazioni di robot arrivate sul mercato possono interagire con le persone senza rappresentare un pericolo per la loro incolumità.

Ciò di cui si parla troppo poco, poi, sono i nuovi aiuti che un robot può dare all’umanità in campi che fino a pochi anni fa sembravano pura fantascienza, e che ora sono davanti agli oggi di tutti. È sufficiente pensare alla sicurezza e alla tracciabilità delle filiere alimentari, o alla macellazione automatizzata che abbassa il rischio di incidenti e di possibili contaminazioni. Oppure al mondo dell’intelligenza di business e della gestione aziendale, con robot di natura più software che hardware, capaci di aumentare la produttività azzerando i lavori routinari. E ancora, oggi il mondo della ricerca scientifica lavora sempre più con sistemi di laboratorio automatici, preziosi per esempio in biologia e in medicina, e che abbiamo imparato a conoscere più da vicino con la pandemia.

Non basta? Ci sono ancora almeno un paio di esempi notevoli. Il primo è quello del robot soccorritore, o del robot esploratore: che sia sul fondo dell’oceano, sotto una valanga di neve o sull’esterno di una base spaziale, possiamo permetterci di tenere al sicuro le persone e mandare in avanscoperta le macchine, che peraltro non soffrono dei limiti umani per le temperature o le pressioni, quindi riescono dove nemmeno gli eroi dei film potrebbero mai. E poi il robot empatico, capace non tanto di provare sentimenti ma di capire quelli altrui e mostrarsi comprensivo. Siamo solo agli albori di questa prossima rivoluzione high tech, ma gli impieghi sono infiniti. Risolvere crisi nervose d’urgenza, assistere un anziano o un malato di patologia degenerativa, fare compagnia a chi è solo: è l’ennesimo modo in cui la robotica potrà migliorare la qualità della nostra vita.

Di fronte a un simile panorama di applicazioni e possibilità, forse è persino superfluo dibattere su dove andrà il mercato. Si può discutere sulle percentuali, sui tassi di crescita e sulle stime a 5 o a 10 anni, ma non c’è alcun dubbio che i robot faranno parte del futuro dell’umanità, su questo pianeta e non solo. Nemmeno un campo del vivere umano sarà escluso da questo trend: da quello che mangiamo ai film trasmessi in tv, dalla cura della nostra salute alle faccende di casa, dai trasporti alla pubblica amministrazione e allo shopping. Più che domandarsi dove la robotica potrà esserci d’aiuto per il nostro futuro, bisognerebbe piuttosto chiedersi quali siano i settori – sempre che ne esistano – dove automazione e tecnologia siano inutili o controproducenti. Anche perché la robotica è uno dei pilastri dell’innovazione, e se c’è una cosa certa sull’umanità è che continuerà per sempre a innovare.