L’azionario europeo alla prova dell’inflazione

-

Il dibattito oggi è dominato dall’inflazione. Da molti anni, e soprattutto in Europa, siamo in un contesto in cui l’inflazione è stata estremamente bassa: ci sono molte ragioni alla base di questo. La prima e più ovvia è il progresso tecnologico che abbiamo raggiunto. La tecnologia è deflazionistica, lo vediamo con i nostri computer portatili, gli smartphone e i dispositivi elettronici, con prezzi in forte calo ogni anno. Pertanto, la tecnologia è stata un fattore di riduzione dell’inflazione per molti anni. Ma non è l’unica ragione. Anche la demografia ha sostenuto la bassa inflazione, dato che abbiamo assistito a un notevole invecchiamento della popolazione, e la globalizzazione ci ha permesso di gestire una catena di approvvigionamento più efficiente. Ora però stiamo entrando in un mondo, se ci atteniamo al consenso degli analisti, dominato da un periodo di aumento dell’inflazione. Tra i motivi sicuramente abbiamo da una parte la ripresa legata alle riaperture post-Covid, che ha creato un’inflazione a livello di commodity, mettendo pressione sui costi di input per tutta una serie di aziende. A nostro avviso, sarà un fenomeno temporaneo, un rimbalzo legato all’uscita dalla crisi che non verrà sostenuto nel tempo.

Tuttavia, ci sono altri driver più sostenibili legati all’aumento dell’inflazione, come lo stimolo governativo e di budget, per la creazione continua di denaro da parte delle banche centrali. E naturalmente uno spostamento verso la de-globalizzazione, con l’inversione delle supply chain e delle efficienze di molti anni verso atteggiamenti più protezionisti. Aziende come Intel hanno deciso di costruire una fonderia negli Stati Uniti, che vogliono disporre di una propria fornitura di chip e non vogliono più dipendere da Taiwan per le importazioni, dove ci sono i fornitori principali come TSMC. Ci sono dunque pressioni inflattive, che creano attese sul mercato per un rialzo dei tassi di interesse.

Cosa significa tutto ciò? In teoria significa che gli asset di qualità a lunga duration sottoperformano, e questa è la spiegazione principale della rotazione verso il value che ha penalizzato i titoli growth in apertura d’anno. Il rialzo dei tassi ha un impatto automatico sulle compagnie che hanno dei flussi di cassa di lungo termine. Un tipico modello Dcf distingue i primi tre anni, poi quello da sei a dieci e infine uno terminale oltre i dieci: le aziende quality hanno un altissimo valore nel periodo terminale. Aumentando il costo del capitale, tale valore scende maggiormente in un contesto di tassi elevati. Gli asset di lunga duration del food, del settore farmaceutico e dei beni di largo consumo hanno dunque sottoperformato. Le attese sull’inflazione portano a pensare che possa sostenere aziende di bassa qualità. Nel caso di un’azienda operante nel settore delle materie prime, questa potrebbe trarre vantaggio dall’aumento dei costi.

Nel passaggio alla pratica, un rialzo dei tassi d’interesse è negativo laddove c’è un forte debito. Crediamo che il CFO di un’azienda preferirà avere un bilancio pulito, piuttosto che uno troppo indebitato. Il miglior modo per vedere l’impatto del rialzo dell’inflazione, che mette pressione sui costi e sui salari, è quello del potere di pricing. Un gruppo come LVMH, proprietario di Louis Vuitton, nel primo trimestre ha segnato un rialzo nei prezzi tra il 4% e il 7% in tutti i suoi brand. Può farlo perché la domanda per i suoi prodotti rimane sostenuta nonostante i rialzi, e anzi in molti casi insieme ai prezzi è cresciuta anche la domanda. È un comportamento intrinseco nel settore del lusso, ma un altro esempio è Linde, un provider industriale di gas, per il quale la componente prezzo riflette una media ponderata dell’inflazione, con dei prezzi destinati a crescere in presenza dell’inflazione. Questo è possibile perché compagnie del genere offrono un servizio unico, e i clienti sono disposti a continuare a spendere per avere gli stessi fornitori, anche con prezzi in rialzo. Un comportamento inverso a quello delle commodity.

Al momento il value continua a sovraperformare sui mercati, ma nel lungo periodo il valore reale si manifesterà con il growth. È il caso di ASML, un produttore di macchinari per realizzare semiconduttori venduti non solo a Intel, ma anche a TSMC e Samsung. Macchinari tanto complessi da richiedere centinaia di milioni di euro in sviluppo, con anni di lavoro. Il risultato è che il loro prodotto è unico, inimitabile e l’azienda vende l’unità a 200 milioni di dollari, essendo praticamente l’unico fornitore di questa tecnologia. In questo contesto inflattivo il potere di pricing è ancora più forte. In aggiunta, la pandemia ha funzionato da acceleratore per le tendenze preesistenti, che si trattasse del settore dell’ecommerce, del cloud computing a livello aziendale o di farmaci biologici e tecnologie green. Tali tendenze hanno preso abbrivio uscendo dalla crisi. Alcuni ambiti hanno visto l’evoluzione con maggiore lentezza sia nell’ingresso che nell’uscita dalla crisi, come nel settore della produzione di carta, dove gli effetti si stanno vedendo ora con la chiusura di alcuni impianti in Europa.

L’accelerazione di tali tendenze di lungo termine si è intensificata dalla domanda di innovazione e trasformazione digitale, che a sua volta è in ulteriore accelerazione, e ha favorito realtà come Accenture, leader nella consulenza tecnologica, che ha preso ulteriori quote di mercato e più velocemente rispetto al periodo pre-Covid. Sono cresciuti anche realtà come Teleperformance, con i call center favoriti dalla crescita dell’ecommerce. Nel settore del lusso invece c’è stata una forte separazione tra chi era già forte, e chi invece si è indebolito ulteriormente. Hanno sofferto anche i nomi legati ai settori della ristorazione, del fast fashion e del viaggio aereo, che continuano a risentire degli effetti delle restrizioni pandemiche.