7 luoghi comuni su bitcoin (e come sfatarli)

Conio -

Bitcoin consuma troppa energia e dunque inquina il pianeta. È il luogo dove alligna indisturbata la mafia con i suoi loschi affari. E, ancora, è un’azione di un’azienda che non produce nulla e non ha un valore sottostante. È legata a tether (su cui il procuratore di New York ha i fari accesi da anni) e sta per morire per mano della Cina. I piccoli risparmiatori devono stare attenti (potrebbero perdere tutto o essere diventati milionari con 100 euro, se ci avessero creduto per tempo). Proviamo a mettere in fila tutte le bufale sulla regina delle cripto e a dare una spiegazione – basata su numeri e fatti – che le smonta una a una.

1 – Bitcoin è il paradiso dei criminali finanziari

3 ottobre 2013: l’Fbi chiude un traffico online di droga – Silk Road – e sequestra 3,6 milioni di dollari in bitcoin facendone crollare il prezzo in poche ore. Da lì in poi bitcoin viene indicato come la via maestra per coprire traffici della criminalità organizzata. Ad aprile 2021 il segretario del Tesoro Usa Janet Yellen torna sul tema sottolineando come sia necessario aprire un’indagine sul bitcoin che è canale privilegiato del riciclaggio.
I numeri però raccontano un’altra storia:

  • il report annuale di Chainalysis, società di forensica che è punto di riferimento per le forze dell’ordine, sostiene che “nel 2020, la quota illecita di tutte le attività di criptovaluta si è attestata allo 0,34%, o 10 miliardi di dollari in volume”.
  • Lo UK risk assesment of money laundering 2020 inquadra i cryptoasset nel rischio medio contro il rischio elevato attribuito all’industria bancaria.
  • Michael Morrell, ex direttore della Cia, sostiene poi come “sia più facile tracciare le attività illecite transnazionali usando bitcoin (le cui transazioni sono immutabili, ndr) che inseguendo le transazioni bancarie o in contanti”.

La sintesi? Truffe e illeciti collegati a bitcoin sono residuali (0,34% delle transazioni) e i rischi di utilizzo in tal senso, data la caratteristica tracciabilità delle sue transazioni, sono infinitamente inferiori rispetto a quelli della finanza tradizionale.

2 – Bitcoin è l’industria più energivora del pianeta e inquina

Il tema è diventato di tendenza il 13 maggio scorso con Elon Musk. Da lì in poi si è trasformato in trend topic: bitcoin consuma energia preziosa e inquinante. Ma anche in questo caso, i numeri non la pensano così. Secondo il Cambrigde Center for Alternative Finance, il consumo annualizzato di energia di bitcoin è di circa 70 terawattora: ovvero lo 0,28% della produzione globale e lo 0,32% del consumo complessivo. Più o meno una quantità simile a quella che viene usata dall’intera Austria o dalla Colombia. I dati sono aggiornati all’11 luglio 2021, e c’è da dire che risentono del blocco cinese (vedi punto 3) in quanto in precedenza il consumo era di 150 twh (0,6 della produzione energetica e 0,69% del consumo). Ma anche in quel caso equivaleva a circa la metà di quanta ne consuma l’industria bancariasecondo il report, ricco di dati, di Galaxy Digital.

Senza voler negare che bitcoin consumi energia – lo fa – perché si dà per scontato che sia da fonti fossili? Se la quantità dipende dall’hashrate (cioè, dalla potenza di calcolo combinata totale utilizzata per estrarre le monete), facilmente misurabile, lo sono meno le emissioni di carbonio, calcolabili solo se si conosce il mix delle fonti utilizzate. Diversi studi hanno mostrato che per il mining di bitcoin è in aumento la quota di elettricità che si origina da fonti rinnovabili: hydro, solare ed eolico.  Si tratta di stime, tuttavia, molto variabili (in alcuni paesi l’utilizzo di energia da rinnovabili è al 20 fino ad arrivare al 70%). Considerando un valore mediano – il 45% circa – si tratterebbe di un’incidenza pari al doppio di quella consumata negli USA. Il mining di bitcoin è estremamente competitivo e incentiva la costante ricerca dell’energia al più basso costo possibile. E lo può fare anche perchéè un’industria mobile (può localizzarsi attorno alle fonti di energia più economiche del mondo, come impianti geotermici, eolici o dighe, la cui energia in eccesso non può essere trasportata). Queste ragioni lo rendono il candidato ideale per l’ottimizzazione del mix energetico che prediligono fonti rinnovabili.

3 – Bitcoin è morto (la Cina lo ucciderà)

Da quando è nato bitcoin è stato dato per morto centinaia di volte. L’ultima nelle scorse settimane quando la Banca Centrale Cinese ha chiesto alle banche statali e alle società di pagamento di interrompere qualsiasi servizio correlato alle criptovalute. Ricordiamo il contesto: il governo di Pechino sta lavorando allo yuan digitale ed è probabilmente il paese più avanti nel tentativo di sostituire il denaro tradizionale. Sgombrare il campo dai concorrenti è pratica usuale nella Repubblica Popolare. Potrebbe trattarsi quindi di pura strategia: indebolire bitcoin (colpendo i servizi) di fatto ne riconosce l’importanza. Dopo il bando dei servizi, Pechino ha deciso inoltre di sospendere le attività di mining (65% delle estrazioni avvenivano qui in precedenza e a questo è dovuto il calo del consumo energetico di cui parliamo nel punto precedente). Questo ha portato i minatori di criptovalute verso Nord America, Russia, Kazakistan e Indonesia. Insomma: la decisione cinese rischia di dare maggiore forza al sistema perché ne consolida la decentralizzazione. Infatti, nonostante in Cina si concentrasse il 65% della potenza di calcolo, l’esodo dei miner verso altri luoghi non ha comportato un problema per la rete: non ci sono stati gravi rallentamenti e le commissioni sono rimaste abbastanza stabili. Viceversa, la ridistribuzione geografica degli impianti di mining garantirà maggiore decentralizzazione e, dirigendosi verso gli USA, andrà in una direzione di maggiore sostenibilità energetica.

4 – È un’azione che non corrisponde al valore sottostante

Si sente dire spesso: dietro a bitcoin non c’è nulla. È l’azione di un’azienda che non crea valore. Partiamo da qua: la logica dell’asset è diametralmente opposta rispetto a questo punto di vista. Se si possiede un’azienda, si possono emettere azioni o obbligazioni e raccogliere fondi da utilizzare per svilupparla: dunque si raccolgono fondi per compiere un’attività. I bitcoin invece vengono emessi a fronte della prestazione di un servizio del miner che effettua la verifica delle transazioni. Il processo del mining è invertito rispetto all’emissione di azioni e bond: il miner prima sostiene il costo di emissione e solo nel momento in cui estrae il blocco ottiene la remunerazione per l’attività realizzata. L’emissione di nuovi bitcoin è assimilabile al pagamento di un servizio.

E dunque, dov’è il valore di bitcoin? Sta proprio nel suo fattore termodinamico: ogni bitcoin è protetto dalla quantità di potenza computazionale, quindi di energia elettrica, consumata da tutta la rete. Più potenza impiega, più è difficile manometterla. Capiamo perché: bitcoin è una rete di nodi che validano una catena di blocchi rappresentante la storia delle transazioni della rete. Ogni qualvolta un nodo costruisce e propaga un blocco valido, gli altri nodi lo verificano ed aggiungono alla propria copia della catena di blocchi. La verifica è un processo molto rapido ed economico mentre la costruzione del blocco richiede una quantità di potenza variabile in base alla potenza totale della rete. Poiché non esiste un coordinatore centrale come una Banca, i nodi devono raggiungere autonomamente e in modo decentralizzato il consenso su quale sia la catena di blocchi lecita. Per farlo, i nodi scelgono la catena di blocchi in cui è stata spesa più potenza computazionale.

Per dimostrare che è nel giusto, un nodo deve dare prova di qualcosa, preferibilmente una risorsa che non può essere falsificata. Se questa risorsa è la potenza computazione si parla di proof of work: maggiore è la potenza computazionale del nodo, più è elevata la probabilità di riuscire a costruire un blocco prima degli altri nodi e propagarlo alla rete, ricevendo in compenso nuovi bitcoin. Al crescere della potenza computazionale della rete cresce anche la garanzia che la catena di blocchi non venga manomessa per disincentivi economici. Il nodo malevolo dovrebbe controllare la maggioranza della potenza della rete per assicurarsi di poter costruire una catena di blocchi manomessa che sia più lunga di quella lecita, legittimandone quindi la validità. Il gigantesco dispendio di energia e impiego di costoso hardware rendono economicamente improbabili attacchi di questo tipo. L’energia rappresenta dunque la garanzia di immutabilità delle transazioni di bitcoin e quindi la sua sicurezza come sistema di pagamento P2P.5

5 – Bitcoin è solo per ricchi

Se avete meno soldi di Elon Musk fate attenzione con i bitcoin”: secondo Gates l’andamento fortemente altalenante di bitcoin dovrebbe tenere alla larga dall’investimento in bitcoin chi non ha un sacco di soldi. In quelle stesse settimane la cripto stava volando verso il record di 60mila dollari: oggi vale circa la metà. E dunque sì, è vero, si tratta di un asset volatile. Non è una notizia.

La notizia è che – come sostiene l’aggiornamento sul mercato cripto che Dgi, think tank di ricerca sull’oro digitale, compie trimestralmente – se si compara bitcoin con i quattro best performing asset azionari, ovvero Tesla, Amazon, Apple e Netflix, si evince che bitcoin li ha sovraperformati tutti, mostrando una volatilità simile. E dunque, come nell’azionario, quello che paga per il piccolo investitore squattrinato che voglia inserire bitcoin in portafoglio sono due cose: puntare una piccola percentuale del suo patrimonio complessivo e adottare una visione di lungo periodo. Abbiamo fatto due conti: un investimento complessivo di 3600 dollari versato in frazioni mensili di cento dollari da inizio 2018 a fine 2020, oggi ne varrebbe 18mila. La stessa cifra investita tra il 2015 e il 2017, varrebbe oggi 270mila dollari. Chiunque abbia avuto la stessa idea nel 2011, con soli 2400 dollari versati in due anni oggi avrebbe in tasca 12 milioni. Bitcoin è per tutti ed è anzi un asset dove è più facile vincere che perdere (se si seguono le regole del gioco).

6 – Ha una tecnologia che progredisce troppo lentamente e non potrà mai avere un uso pratico

Sarà rilasciato a novembre Taproot, l’atteso aggiornamento tecnologico di bitcoin, il primo dal 2017, che renderà la rete più attenta alla privacy, più scalabile e sicura. L’aggiornamento migliorerà anche la capacità transattiva della rete, riducendo lo spazio occupato nei blocchi dalle transazioni.

Nonostante apportare modifiche a bitcoin sia difficile, per la natura stessa del consenso condiviso e disintermediato della rete, nei suoi oltre 10 anni di operatività ha subito alcune modifiche. Nei primi mesi di vita sono stati risolti bug del codice. Nel 2017 la discussione dei miner intorno alle dimensioni dei blocchi ha portato alla biforcazione della blockchain di bitcoin ed alla nascita di bitcoin cash. Nello stesso anno, i nodi della rete bitcoin hanno implementato Segregated Witness (SegWit) tentando di rendere la cripto scalabile e di abbassare le commissioni separando la firma di sblocco dal resto delle informazioni della transazione.

L’aggiornamento Taproot porterà diversi benefici alla rete: nasconderà le parti mobili delle transazioni complesse facendole sembrare transazioni singole standard peer to peer. E semplificherà le firme. A renderlo possibile è la firma di Schnorr: algoritmo sviluppato da Claus Schnorr nel 1980 per produrre firme digitali in crittografia.

Questa funzionalità aumenta la privacy, ma il suo principale vantaggio è che la quantità di dati per effettuare transazioni complesse sarà drasticamente ridotta. Quindi le commissioni di transazione per l’utilizzo di funzionalità di portafoglio bitcoin più complesse, come il multi-sig o il blocco temporale, diminuiranno significativamente. Con Taproot, ad esempio, un nodo completo bitcoin potrebbe convalidare mille firme quasi nello stesso tempo necessario per convalidare una firma Ecdsa.

7 – Lo stablecoin principale di riferimento è sotto assedio

La notizia arriva direttamente dall’account Twitter di Tether: a fine maggio 2021 la capitalizzazione della stablecoin aveva raggiunto i 60 miliardi di dollari, dagli 8 di un anno prima. Qualche settimana prima, il New York General Attorney, bestia nera del mondo cripto, aveva dato notizia del patteggiamento per 18,5 milioni di dollari con l’emittente di tether, per aver dichiarato il falso sulle riserve. Perché, cioè, dietro Usdt, la stablecoin che dovrebbe scambiare uno a uno con il dollaro, non ci sono biglietti verdi equivalenti: è nero su bianco e certamente non è una bella notizia per il mondo cripto. Ma cos’è tether e cosa c’entra con bitcoin? La valuta è emessa da Bitfinex, che proprio sulla scorta delle riserve in dollari equivalenti all’attività di trading dovrebbe mantenere un prezzo di cambio stabile con il biglietto verde e viene scambiata – alla pari con il dollaro Usa – in almeno tre borse: Bitfinex, Bittrex e Poloniex.

E bitcoin? Il legame è stato indagato nel 2018, nello studio “Is Bitcoin Really Un-Tethered?”, dell’Università del Texas. Si evince che 87 ore di trading (pari all’1% dell’attività di trading totale) di tether potrebbero essere state responsabili di un aumento del 50% del prezzo del bitcoin a fine 2017, quando il valore toccò 20mila dollari (per poi perdere rapidamente la metà).L’ipotesi è che Bitfinex stampi tether in misura minore della domanda di mercato e che questo eccesso di offerta crei un’inflazione nel prezzo poiché gli emittenti di tether si avvantaggiano comprando e vendendo al momento giusto. Bitfinex ha sempre smentito: tuttavia, l’ipotesi che abbia sfruttato i movimenti di bitcoin per colmare il buco contabile che aveva nel 2017 è circolata. E poiché i token Usdt venivano emessi, con ogni probabilità, senza le riserve in dollari anche allora, di fatto erano collateralizzati dai bitcoin. Il legame dunque è eterodiretto.

Ciò detto, tether ha una formidabile tecnologia di base, e serve a fare arbitraggio tra diverse borse: bitcoin ha valori diversi sugli exchange, che dipendono da affidabilità e solvibilità degli stessi. Le differenze sono piccole, ma sufficienti per consentire agli arbitraggisti di guadagnare sfruttandole nelle compravendite e fornendo un servizio al mercato (perché mettono a fuoco il valore vero di bitcoin). Inoltre, trasformare bitcoin in stablecoin conviene anche da un altro punto di vista: consente trasferimenti immediati, al contrario dei tre quattro giorni che sono necessari se si usa la valuta Fiat.