Smart working per smart energy companies: quale sarà il futuro del lavoro green?
I termini Smart Working e Smart Management sono entrati ormai a pieno regime tra le espressioni più ricorrenti nel linguaggio aziendale, in particolare dalla passata primavera e dall’inizio della pandemia. Tuttavia il settore energy – attraverso i codici ATECO che hanno permesso in una prima fase di lockdown di continuare ad operare tradizionalmente all’interno degli uffici – è sembrato in una prima fase il meno impattato dal nuovo sistema lavorativo, divenuto invece l’unico per moltissime imprese.
Nelle fasi successive, tuttavia, la situazione è radicalmente cambiata. È stato necessario rivedere gli approcci e il modo di lavorare anche in quei settori che, in prima battuta, non avevano avuto la necessità di introdurre modalità di lavoro agili ed ottimizzati. A causa dell’emergenza pandemica, anche le aziende non avvezze al remote working, si sono dovute adattare a questa nuova realtà nel giro di pochissimi giorni, ripianificando le attività e cambiando radicalmente la gestione dell’operatività e dei team.
“Quando parliamo di remote working – afferma Davide Boati, Executive Director di Hunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale altamente qualificato – non dobbiamo limitarci a pensare che basti chiudere gli uffici e far lavorare tutte le persone dalle proprie abitazioni. Remote working significa revisione delle politiche aziendali o delle attività per portare avanti i task quotidiani, ma anche potenziamento delle infrastrutture IT per poter lavorare in totale sicurezza e adozione di nuovi strumenti di comunicazione. Ma significa soprattutto richiedere ai propri collaboratori di acquisire nuove competenze o di adattarle al nuovo contesto per rimanere produttivi e raggiungere gli obiettivi prefissati. L’emergenza legata al Covid-19, che speriamo termini nel più breve tempo possibile, ha segnato profondamente il nostro modo di lavorare e dobbiamo necessariamente imparare a muoverci in questo nuovo equilibrio. Le aziende dovranno riadattarsi per accogliere il lavoro del futuro che si sta aprendo”.
Secondo una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working della School Of Management del Politecnico di Milano, durante la fase più acuta dell’emergenza coronavirus, il remote working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili (un dato oltre dieci volte più alto dei 570 mila censiti nel 2019). Si stima che, al termine dell’emergenza, i lavoratori agili, che lavoreranno almeno in parte in remote working saranno complessivamente 5,35 milioni, di cui 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920 mila nelle Pmi, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle Pubbliche Amministrazioni.
Si tratta di una nuova normalità che non possiamo non considerare: fino al 76% degli impiegati globali sarebbe desideroso di continuare a lavorare da casa (anche pochi giorni alla settimana) anche quando le distanze sociali non saranno più obbligatorie. Indipendentemente dal fatto che queste stime vengano confermate, il nuovo paradigma del lavoro da casa giocherà un ruolo importante ed avrà notevoli impatti anche a livello sociale, ambientale ed aziendale. Pensiamo ad esempio, al numero di auto che non congestioneranno le nostre strade, alla riduzione delle emissioni di Co2, ma anche alla diminuzione dei costi di gestione degli uffici (affitto, pulizia, manutenzione e così via).
“Lavoro a distanza e lavoro da casa – aggiunge Davide Boati – sono spesso usati come sinonimi, ma in realtà non lo sono. Entrambi, però, portano allo stesso risultato: la possibilità di lavorare lontano dall’ufficio. Una condizione che richiede un cambio di mentalità, sia da parte dei lavoratori sia da parte delle aziende. Ai primi sono richiesti un solido atteggiamento imprenditoriale, la capacità di organizzarsi e di gestire il tempo, ma anche una buona dose di competenze tecnologiche per usare efficacemente i nuovi strumenti di lavoro. Alle aziende, invece, sono richiesti una sempre maggiore flessibilità, una maggiore sicurezza informativa e una serie di soluzioni adeguate al fine di portare avanti il lavoro virtuale e nuove soluzioni per lo scambio di informazioni/comunicazioni e per svolgere riunioni virtuali quando necessario. Nel settore energetico, probabilmente più che in altri, sarà possibile coniugare le competenze tecnologiche con quelle personali e organizzative, atte a costruire una modalità di lavoro sana e solida, spesso in un contesto fortemente competitivo e complesso. Magari anche a distanza”.