Davos, gli scenari prospettati al Forum

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Si è respirato cauto ottimismo nell’aria fina di Davos la settimana scorsa. Il buon tono dei mercati finanziari ha certamente contribuito ad alimentare la fiducia alla 53° edizione del World Economic Forum a Davos. Ma al netto dell’ottimismo, spesso ingannatore, la vera domanda è se nel 2023 avremo la recessione fortemente annunciata o un “soft landing”. La diminuzione dell’inflazione e dei prezzi del gas cambiano le prospettive dell’anno, la riapertura della Cina è la wild card che può far vincere la mano.

La mappa dei rischi che il World Economic Forum presenta per il nuovo anno non sorprende, i maggiori rischi percepiti sono quelli ambientali, il fallimento nel contrasto al riscaldamento globale, eventi climatici estremi, le tensioni geopolitiche, il ritorno del confronto nucleare. Semmai salta all’occhio che nell’elenco dei rischi quelli di natura economica non sono tra i primi dieci. Il primo rischio di natura economica è all’undicesimo posto e riguarda la sostenibilità del debito. I timori sui livelli insostenibili dei debiti si accompagnano con quelli relativi alla bassa crescita e alla de-globalizzazione, come se fossimo all’inizio di una fase di declino dopo quarant’anni di sviluppo.

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C’è una guerra in mezzo all’Europa continentale, le relazioni tra Cina e Occidente sono a un punto di minimo, Stati Uniti ed Europa stanno riorganizzando le catene dell’approvvigionamento, il mondo di Davos cambia e cambia anche Davos, nella capitale ideale della globalizzazione quest’anno di è parlato di de-globalizzazione, di fragilità dei sistemi democratici.

Eppure, parafrasando Mark Twain, a nostro modesto parere la notizia della fine della globalizzazione è fortemente esagerata. Lo storico Niall Ferguson ne parla come di un “miraggio”, non c’è nessuna de-globalizzazione in corso ha detto al Forum, “è così che funziona la storia, ci sono cose che non sono così ovvie, convergenza economica, cambiamenti tecnologici, che stavano chiaramente per cambiare il modo in cui funziona l’economia globale”.

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Gli eventi degli ultimi anni, per quanto imprevedibili e gravidi di conseguenze non sono altro che il flusso della storia che comporta continui cambiamenti nella società e nel funzionamento dell’economia mondiale. È vero, sono diminuiti il commercio globale e i flussi di capitale, l’America perde il primato culturale ma, nella sostanza, Ferguson vede cambiamenti, non rivoluzioni paradigmatiche, la de-globalizzazione è un “miraggio” perché le economie di scala del sistema industriale cinese sono difficilmente replicabili, la Apple continua ad esempio ad assemblare i suoi IPhone in Cina.

La Cina chiude il 2022 con una crescita attorno al tre percento, la seconda più debole dal 1976, molto al disotto dell’obiettivo stabilito per il 2022 e della media di lungo periodo. Gli analisti prevedono un forte recupero dell’economia cinese nel 2023 per compensare il 2022, per mantenere la crescita media annua nell’intorno del cinque percento.

Al Forum il vicepremier cinese Liu He ha ribadito la sua fiducia sul fatto che “la crescita tornerà molto probabilmente al suo trend normale e che nel 2023 l’economia cinese migliorerà in modo significativo”. Liu non ha però affrontato le questioni spinose, quelle che si frappongono al miglioramento delle relazioni diplomatiche ed economiche con l’Occidente, la guerra in Ucraina e la relazione con la Russia di Putin, il confronto tecnologico con gli Stati Uniti.

Un aspetto paradossalmente positivo nella debolezza dell’economia cinese è che può giocare a favore di un appeasement, Pechino ha bisogno di relazioni positive con il mondo se vuole rilanciare un’economia ancora fortemente dipendente dalle esportazioni, in dicembre crollate del dieci percento rispetto ai dodici mesi precedenti.

L’ottimismo di Davos è stato aiutato anche dai mercati finanziari che sembrano però scontare uno scenario riccioli d’oro: l’inflazione continuerà a diminuire (verosimile), le banche centrali saranno costrette a tornare sui loro passi (più realistico un rallentamento che una inversione), l’economia non entrerà in recessione ma in rallentamento pilotato (soft landing, presto per poterci scommettere).

È probabilmente ragionevole pensare che il picco sia alle spalle, con i dati a disposizione è difficile che, ad esempio, il BTP decennale torni verso i livelli di 4,7% o 5% ma, detto questo, è altrettanto ragionevole non escludere che le prossime settimane siano un po’ più tribolate, non sarà sorprendente assistere a qualche flessione nel breve termine. Sulla base degli ultimi dati sull’aumento dei prezzi negli Stati Uniti il mercato sconta un rialzo di soli 25 punti base nella riunione della Fed del prossimo 1° febbraio e stima che i tassi americani siano vicini al massimo, nei prossimi mesi la Federal Reserve passerà da aumenti di mezzo punto a un quarto di punto.

Christine Lagarde ha ribadito a Davos l’esortazione a prendere in parola la determinazione della banca centrale. Tenendo conto dei diversi stadi del ciclo dei prezzi rispetto agli Stati Uniti, il mercato sconta due incrementi di cinquanta punti nelle prossime riunioni della BCE del 2 febbraio e di marzo. La differenza dei tempi nelle due sponde dell’Atlantico contribuisce alla debolezza relativa del dollaro. Il biglietto verde viene da un canale di rafforzamento di lungo periodo che si è interrotto lo scorso anno, quando la BCE ha raggiunto la Fed nella stance restrittiva.

Le parole di Lagarde a Davos hanno ulteriormente corroborato l’idea della chiusura dello spread, non tanto in termini quantitativi (i tassi finali sono diversi) quanto direzionali, le diverse dinamiche dei prezzi faranno rallentare la Fed prima della BCE. Il mondo cambia e cambia anche Davos che sembra perdere smalto. Il motto del Forum è “Impegnati a migliorare lo stato del mondo” ma, più prosaicamente, a Davos si va soprattutto per incontrare e per parlare.