Tech Transfer: perché il futuro della sicurezza sul lavoro passa anche da qui

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di Emilia Garito, CEO di Quantum Leap e Chairman di Deep Ocean Capital SGR SPA

 

Il bilancio provvisorio relativo agli infortuni sul lavoro nell’anno 2022 di INAIL delinea uno scenario caratterizzato da un incremento del 25,7% rispetto al 2021 e dell’8,7% rispetto al 2019, con una crescita anche delle malattie professionali, tornate ai livelli pre-pandemia. Prima della relazione definitiva, che includerà l’analisi consolidata dell’andamento di infortuni e malattie professionali nel quinquennio 2018-2022, il nuovo numero del periodico Dati Inail approfondisce i numeri provvisori dell’ultimo anno, frutto delle rilevazioni mensili delle denunce presentate all’Istituto. Alla data dello scorso 31 dicembre, gli infortuni denunciati nel 2022 sono stati 697.773, in aumento del 25,7% rispetto al 2021, del 25,9% rispetto al 2020 e dell’8,7% rispetto al 2019. A livello nazionale si registra così un incremento rispetto al 2021 sia dei casi avvenuti durante l’attività lavorativa (+28,0%) sia di quelli in itinere, cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro (+11,9%). Calano invece i decessi che sono del -10% per il notevole minor peso delle morti da contagio da Covid-19, a cui si contrappone però il contestuale incremento dei decessi in itinere. 

 

In questo scenario, le istituzioni, le imprese, il mondo della ricerca, i player della finanza e l’innovazione tecnologica – che passa soprattutto attraverso i processi di tech transfer –  stanno ridisegnando una nuova funzione di sicurezza attiva della persona, del lavoratore, oggi sempre più necessaria con i cambiamenti in atto; un’evoluzione che sarà possibile solo attraverso la costruzione di una rete di eccellenze che unisce ricerca, università italiane ed estere e mondo produttivo, per proporre al mondo del lavoro soluzioni concrete per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

 

Il trasferimento tecnologico

 

Tra i tasselli fondamentali in questa evoluzione – che abbiamo citato prima – c’è il Trasferimento Tecnologico,  ossia il processo di trasferimento di know-how, competenze, risultati della ricerca scientifica pubblica e privata verso il mondo dell’industria e dell’impresa. Si tratta di un processo attraverso il quale tecnologie, metodi di produzione, prototipi e servizi sviluppati da governi, università, aziende, enti possono essere resi accessibili a un’ampia gamma di utenti, i quali possono – a loro volta – sfruttare la tecnologia per creare nuovi prodotti, servizi, applicazioni o materiali.

Se guardiamo alla definizione di Treccani vediamo che, invece, con tale espressione si fa riferimento ad argomenti nuovi rispetto al mondo dell’industria, ossia a un insieme di attività svolte dai centri di ricerca, finalizzate alla valorizzazione, alla protezione della proprietà intellettuale, al marketing e alla valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica.

Se vogliamo utilizzare le parole di Geoffrey Nicholson, fondatore di Post-it 3M, possiamo dire che la ricerca trasforma il denaro in conoscenza, il trasferimento tecnologico trasforma la conoscenza in valore. 

 

Ma quali sono i passaggi fondamentali di questo processo? Gli elementi cardine che caratterizzano il Tech Transfer sono quattro: lo sviluppo, la tecnologia – cioè il prodotto – la multidisciplinarietà e la comunicazione: oggi più che mai è sempre più importante raccontare le nostre eccellenze scientifiche. 

 

In una nuova prospettiva, si considera il Trasferimento Tecnologico come uno specifico trasferimento di sapere che dipende dalle modalità in cui imprese e altre istituzioni gestiscono la conoscenza, in particolare attraverso la co-evoluzione (l’impresa cresce, cambia, diventa più inclusiva e aperta alla conoscenza), le capacità di assorbimento e le strategie di trasmissione della conoscenza (modello di business). 

Come viene, quindi, trasferita la conoscenza? Attraverso il processo di IP LifeCycle Management che accompagna il ricercatore e l’industria, in tutto il percorso di creazione dell’innovazione, focalizzandosi su come il contenuto tecnologico possa arrivare sul mercato; e ciò è possibile solo attraverso un percorso strutturato:

  • l’individuazione del bisogno, comprendendo quali sono le logiche della valorizzazione e della protezione;
  • l’analisi della soluzione;
  • la valutazione di protezione;
  • la protezione della soluzione;
  • la valorizzazione.

 

Il ruolo del Tech Transfer ci permette di passare da una società manifatturiera a una società della conoscenza e di raggiungere, realmente, livelli sempre più ambiziosi di eccellenza tecnologica. La valorizzazione della scienza e insieme ad essa il trasferimento di risultati scientifici, sviluppati nei nostri centri di ricerca, nel mondo industriale,  ricopre un ruolo fondamentale all’interno delle strategie nazionali di sviluppo economico, rappresentando uno strumento di politica industriale fondamentale per coprire il divario di innovazione esistente tra l’Italia e gli altri paesi europei. Il trasferimento tecnologico è, quindi, un processo di crescita tecnologica e industriale che dobbiamo favorire e strutturare sia a livello territoriale nazionale che agli ecosistemi europei.

 

I modelli internazionali più virtuosi e l’Italia

 

Tra i modelli più virtuosi troviamo la Francia che in 10 anni ha investito 77 miliardi e ha creato un sistema di Trasferimento Tecnologico con una struttura paese composta da 13 società, ha formato 650 esperti – implementando diversi processi per accelerare questo sviluppo – e ha creato negli anni ben 672 spin off della ricerca che in 10 anni hanno raccolto più di 1 mld di euro. In Gran Bretagna, invece, esistono ben 4000 esperti di Tech Transfer, mentre negli USA il contributo al GDP (Gross Domestic Product) americano è stato di 865 miliardi di dollari con quasi 6 milioni di posti di lavoro creati. 

Il nostro Paese è posizionato molto bene dal punto di vista delle eccellenze e delle competenze interne ma la strada da fare è ancora lunga. Il PNRR (Missione 4 “Istruzione e ricerca”) prevede infatti che vengano stanziati oltre 11 miliardi a supporto del Trasferimento Tecnologico, attraverso: 11 ecosistemi di innovazione, 5 centri nazionale, 14 partenariati estesi, 30 infrastrutture di ricerca e innovazione tecnologica. Un tassello importante per lo sviluppo di tali processi. C’è, inoltre, un ecosistema emergente di fondi privati di Venture Capital che sta emergendo, come Deep Blue Ventures, (primo fondo gestito da Deep Ocean Capital SGR SPA nel Deep Tech con focus su AI), che come altri lavora in una logica ecosistemica di investimento.

Istituzioni come INAIL, infine, possono a tutti gli effetti essere considerate un role model per quanto riguarda il Trasferimento Tecnologico, essendo già da tempo INAIL attivo nel finanziamento di progetti che coinvolgono centri di ricerca e imprese.

Più in generale, potrebbero essere molti gli attori del Tech Transfer in Italia in grado di dare maggiore valore alle proprie attività di sviluppo, in quanto capaci di collegare i quattro elementi principali del Tech Transfer stesso, ovvero: sviluppare ricerca industriale, finanziare lo sviluppo sapendo anche attrarre capitali, lavorare con un approccio multidisciplinare e inclusivo, saper comunicare con efficacia il risultato della ricerca. Alcuni soggetti che contengono tutti questi elementi, ma che dovrebbero in fretta metterli in collegamento tra loro, sono a titolo di esempio Ferrovie dello Stato, Leonardo, ENEL ed ENI; mentre, tra le aziende più piccole vale la pena sottolineare l’intero comparto della meccanica, robotica e meccatronica, ancora forte in Italia, ma che necessita di un rapido cambio di passo in termini di capacità di integrazione delle competenze interne con soluzioni e know how provenienti dal loro esterno. Tutto questo si chiama ancora Open Innovation, ma è solo con strumenti e filiere solide di Trasferimento Tecnologico che possiamo realizzarlo.