Il greenwashing involontario fa parte della fase di rodaggio del mercato green, ma è ora di bandirlo del tutto

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A proposito del problema del greenwashing, Amin Rajan, CEO di CREATE-Research, ci ricorda che il personaggio dei cartoni animati Kermit the Frog in Sesame Street canticchiava “Non è facile essere verdi”. I gestori patrimoniali non potrebbero essere più d’accordo: da qualche tempo sono accusati di barcamenarsi in fasulle dichiarazioni green, cioè di applicare volontariamente o involontariamente il greenwashing: prendere scorciatoie per riutilizzare i loro vecchi fondi con un’etichetta ESG, senza modificare il processo di investimento sottostante.

La portata del greenwashing percepito è diventata evidente con la pubblicazione del rapporto 2022 della SIF statunitense.  Il Forum for Sustainable and Responsible Investment è un’associazione con sede negli Stati Uniti che promuove gli investimenti sostenibili in tutte le classi di attività. Adottando una metodologia modificata, ha quasi dimezzato le dimensioni dell’universo degli investimenti sostenibili negli Stati Uniti a 8,4 trilioni di dollari nel 2022, rispetto ai 17,1 trilioni di dollari nel 2020. Ciò ha fatto seguito alla contrazione di 2 trilioni di dollari nella base di asset ESG nell’Unione europea a seguito dell’introduzione di regole anti-greenwashing che richiedono una divulgazione sostanzialmente maggiore, secondo la Global Sustainable Investment Alliance.

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SFDR Sustainable Finance Disclosure Regulation

Il Regolamento europeo 2019/2088 entrato in vigore nel 2021 e, oltre a imporre norme comuni a diverse categorie di operatori finanziari sulla divulgazione di informazioni sui temi di sostenibilità, contiene una definizione di “investimento sostenibile”:

“Investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”.

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SFDR rimane un potente dispositivo anti-greenwashing richiedendo la piena divulgazione su questioni chiave come le emissioni di gas serra, il divario retributivo di genere e la parità di genere nei consigli di amministrazione. Ma gli investitori finali sono diventati estremamente esigenti: per la maggior parte dei piani pensionistici, i portafogli ESG hanno sottoperformato nel 2022 a causa delle loro scelte settoriali inopportune: sottopeso nei titoli dell’energia e della difesa che sono saliti alle stelle, mentre sovrappeso nei titoli tecnologici che sono crollati dopo i forti aumenti dei tassi di interesse.

Chi investe in fondi pensionistici vuole conoscere i modelli di rischio utilizzati, la qualità dei dati su cui si fa affidamento, la logica alla base della selezione dei titoli e, soprattutto, la loro conformità normativa. Per questo oggi, come mai prima d’ora, c’è grande attenzione per gli investimenti ESG . Da parte loro, i gestori patrimoniali affrontano un compito arduo per soddisfare le nuove esigenze.

Il greenwashing involontario

I miglioramenti nelle definizioni coerenti, nella metodologia standardizzata e nei dati affidabili devono accelerare nei singoli pilastri dell’ESG, così come la creazione di metriche pubbliche degli impatti. La causa principale del greenwashing involontario risiede nell’inadeguatezza dell’attuale configurazione dei dati e nella mancanza di un’autosegnalazione più completa e coerente. La situazione ha parallelismi con l’alba dei mercati azionari di oggi. La qualità dei dati aziendali era scarsa e debole. Ma con lo sviluppo dei mercati nel tempo, si è evoluta una nuova infrastruttura di dati, standard, competenze e metriche. Prospettive simili porteranno a consolidare gli investimenti ESG. Significa che il greenwashing involontario dovrà essere visto come il male minore e in via di cessazione, per raggiungere infine una nuova e migliore forma di investimento. E la sua controparte intenzionale dovrà essere lasciata alle autorità di regolamentazione.