Settore auto Usa, sciopero delle Big 3? I rischi per l’economia

Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer—Equities di Neuberger Berman -
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Un probabile maxi sciopero del settore automobilistico negli Stati Uniti potrebbe avere implicazioni significative per l’economia, gli utili e l’inflazione. Mentre l’attenzione si è concentrata sul recente rialzo dei tassi d’interesse, sulla resilienza dell’economia e sugli utili del secondo trimestre, gli investitori potrebbero aver trascurato il potenziale impatto sull’economia, gli utili e l’inflazione di un possibile maxi sciopero del settore automobilistico negli Stati Uniti che fa tremare i tre colossi di Detroit. La scorsa settimana, i 146.000 membri del sindacato statunitense United Auto Workers (UAW) hanno votato, per il 97%, a favore di una misura che autorizza la leadership del sindacato di settore ad indire uno sciopero generale contro le tre principali case automobilistiche del Paese, le cosidette “Big 3”, ovvero Ford, General Motors e Stellantis (proprietaria dei marchi Chrysler e Jeep). Un’azione congiunta di questo tipo non ha precedenti. Di fatto, in passato le azioni intraprese dal sindacato hanno sempre avuto come obiettivo il coinvolgimento di solo una delle tre case automobilistiche alla volta e non di tutte e tre insieme. Così come non hanno precedenti le ambiziose richieste avanzate dal sindacato, ovvero aumenti salariali a doppia cifra e innumerevoli modifiche a remunerazioni, benefit e welfare, inducendo, quindi, le case automobilistiche ad opporsi.

I sindacati al posto di guida

Finora il 2023 è stato un anno di elevata attività sindacale. Secondo il Cornell-ILR Labor Action Tracker, da gennaio a luglio di quest’anno, solo negli Stati Uniti si sono registrati 214 scioperi che hanno coinvolto 325.000 lavoratori. In crescita, quindi, rispetto ai 130 scioperi che hanno coinvolto 28.000 lavoratori nel periodo gennaio-luglio 2021 e rispetto ai 223 scioperi che hanno coinvolto 76.000 lavoratori nello stesso periodo del 2022. Per quanto riguarda il settore automobilistico, l’ultimo sciopero è stato indetto nel 2019, è durato sei settimane ed ha avuto come solo obiettivo General Motors. Anche nei casi in cui non sono stati indetti scioperi, abbiamo visto le aziende siglare accordi con i lavoratori che garantivano concessioni significative. La scorsa settimana, ad esempio, i lavoratori di UPS hanno ratificato un nuovo contratto che prevede aumenti salariali cumulativi di circa il 22% nei prossimi anni, mentre i piloti di American Airlines hanno ricevuto un aumento della retribuzione immediato del 21% o di circa il 45% nei prossimi quattro anni, che fa seguito ad analoghi accordi siglati da altre compagnie aeree. Nel settore ferroviario, invece, lo scorso dicembre, il presidente Joe Biden ha costretto i lavoratori ad accettare un contratto senza giorni di malattia retribuiti, ma l’accordo prevedeva comunque aumenti salariali di circa il 24% per tutta la durata del contratto.

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Cosa si nasconde dietro queste dinamiche? L’aspetto più evidente è la mancanza di manodopera disponibile. Negli Stati Uniti ci sono circa 10 milioni di posizioni aperte, nonostante un tasso di disoccupazione di appena il 3,5%. E questo crea uno squilibrio che ha rafforzato il potere dei sindacati. Anche il persistere di un’elevata inflazione è stato determinante, in quanto il costo di carburante, generi alimentari, automobili e altri beni di prima necessità ha motivato i lavoratori. Inoltre, i consistenti utili registrati da molte società negli ultimi anni hanno rafforzato le rivendicazioni secondo cui l’imprenditoria ha tratto profitto a spese dei lavoratori. Le Big 3, ad esempio, hanno riportato un aumento cumulato dei profitti generati da attività operative (al lordo di interessi, imposte e tasse) dai precedenti 18,6 miliardi di dollari del 2019 ai 47,3 miliardi di dollari degli ultimi 12 mesi. Per i manager, anche le catene di approvvigionamento sono oggetto di timore evidente. Di fatto, durante il COVID e per molti mesi successivi, è stato difficile consegnare i prodotti in modo tempestivo, con interruzioni che spesso hanno penalizzato i marchi e le quote di mercato. Con il ritorno alla normalità, le società sono riluttanti ad agitare le acque, preferendo quindi aumentare i salari ai lavoratori piuttosto che le interruzioni dell’attività. Dato il trend inflattivo (anche se in diminuzione), le case automobilistiche potrebbero pensare di trasferire questi nuovi costi sui consumatori finali.

Veniamo ora alle auto

L’imminente sciopero del settore automobilistico potrebbe indicare quanto la situazione sia cambiata a favore dei lavoratori. Con il contratto in vigore che scadrà il 14 settembre, le parti in campo sembrano molto distanti. Le richieste dei quasi 150.000 lavoratori aderenti allo United Auto Workers includono un aumento salariale del 46% in quattro anni, la conversione a tempo pieno dei lavoratori interinali e integrativi ed il ripristino degli adeguamenti al costo della vita. Il costo complessivo della manodopera per singolo lavoratore passerebbe dagli attuali 65 dollari l’ora ad oltre 100 dollari. Per fare un confronto, a Tesla il costo per lavoratore è di circa 45 dollari l’ora, mentre per le case automobilistiche giapponesi è di 55 dollari l’ora. Alcune richieste avanzate dal sindacato come, ad esempio, la settimana lavorativa di quattro giorni, il ripristino di un regime pensionistico a prestazioni definite e la creazione di un programma di “tutela delle famiglie”, che richiederebbe alle aziende di pagare i lavoratori licenziati per svolgere lavori di pubblica utilità, potrebbero risultare troppo impegnative da sostenere per le società automobilistiche. Data la relativa solidità dei loro bilanci e degli utili, le case automobilistiche sono probabilmente in grado di assorbire gli aumenti salariali.

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Tuttavia, le stesse società temono che i cambiamenti richiesti possano in qualche modo minare la loro capacità di competere con i concorrenti globali e con quelli che non prevedono rappresentanze sindacali, in un momento di accelerazione della transizione verso la produzione di veicoli elettrici. Quest’ultimo aspetto aumenta ulteriormente la posta in gioco anche per lo stesso sindacato, dal momento che la produzione di auto a batteria richiede un numero di lavoratori inferiore (stimiamo del 30% in meno) rispetto al numero di lavoratori necessari per la produzione di auto e camion tradizionali. Dal punto di vista tattico, le trattative in corso hanno un aspetto diverso rispetto al passato. Invece di tenere i colloqui in forma privata, il presidente del sindacato statunitense United Auto Workers, Shawn Fain, ha iniziato a pubblicare gli aggiornamenti sui social media. Aspetto ancora più importante, il sindacato ha segnalato un potenziale sciopero contro tutte e tre le case automobilistiche, anziché puntare solo su una di esse, aumentando sì le potenziali ricadute per le aziende, ma creando anche un ulteriore rischio di esaurimento dei fondi di emergenza del sindacato. Lo United Auto Workers dispone attualmente di un fondo per lo sciopero di 825 milioni di dollari, che potrebbe assorbire circa 11 settimane di sciopero se venissero coinvolte tutte e tre le case automobilistiche.

Ripercussioni generali

Sebbene solo il 10% circa dei lavoratori statunitensi appartiene ad un sindacato, l’esito delle trattative in corso a Detroit potrebbe avere ripercussioni sull’economia in generale, non solo causando interruzioni della produttività in caso di sciopero, ma favorendo strutture di costi e aspettative più elevate in caso di aumenti salariali eccessivi. Inoltre, l’impatto psicologico dello sciopero potrebbe risuonare per parecchio tempo nelle sedi sindacali, nelle pause caffè e nei piani alti aziendali. In termini di risultati aziendali, l’andamento dei salari inciderà naturalmente sui margini di profitto, soprattutto se le società troveranno una maggiore resistenza nel trasferire il rialzo dei prezzi sui clienti finali. A livello macroeconomico, invece, l’elevato costo della manodopera potrebbe rendere più difficile l’obiettivo della Federal Reserve per un atterraggio morbido dell’economia.

Se la crescita dei salari dovesse essere forte, la banca centrale potrebbe avere meno margine di manovra per limitare ulteriori rialzi dei tassi volti a evitare la temuta spirale salari/prezzi. I mercati, dal canto loro, tendono a non prestare troppa attenzione alle sospensioni temporanee del lavoro, poiché la produzione alla fine si riprende e recupera, anche se le potenziali vendite perse a favore dei concorrenti non coinvolti dagli scioperi non verrebbero recuperate. Tuttavia, la questione più importante, a nostro avviso, è costituita dagli effetti degli aumenti salariali sull’inflazione. L’inflazione è in discesa rispetto al picco registrato nell’estate del 2022, ma qualsiasi inversione di questo trend potrebbe avere serie implicazioni sulle decisioni dei banchieri centrali in materia di tassi e per il potenziale atterraggio morbido dell’economia. Pertanto, questo autunno, il settore automobilistico rappresenterà un importante indicatore anticipatore del futuro andamento dell’inflazione.