Tassa sugli extra profitti delle banche: le ultime modifiche per ridimensionarla

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— tratto da L’Avvenire — 

La discussa tassa sugli extraprofitti cambia, come era prevedibile per un provvedimento ampiamente contestato (anche in seno alla maggioranza), e non concordato né con Bankitalia, né con l’Abi. La novità arriva con un emendamento (che dovrebbe essere depositato a breve in Senato), frutto di un accordo faticoso tra le forze di governo dopo le pressioni di Forza Italia, il partito più avverso alla misura nella coalizione.

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Le modifiche

«In luogo del versamento» (la seconda importante novità), le banche potranno destinare «a una riserva non distribuibile un importo pari a due volte e mezza l’imposta». Ma la somma, secondo quanto si legge, verrà computata «tra gli elementi del capitale primario di classe 1», ovvero va a rafforzare il patrimonio delle banche. Inoltre la tassa portata a patrimonio dovrà essere versata all’Erario in un secondo tempo «solo nel momento in cui quel patrimonio dovesse essere distribuito agli azionisti». Senza contare «il divieto alle banche di traslare gli oneri derivanti» dalla tassa «sui costi dei servizi erogati nei confronti di imprese e clienti finali».

La destinazione del gettito della tassa sugli extraprofitti delle banche si allarga.
L’Agenzia ANSA precisa che oltre a ridurre la pressione fiscale di famiglie e imprese, la tassa andrà anche a rifinanziare il fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale che assicura i prestiti delle banche a favore delle piccole e medie imprese. E’ quanto si legge nella bozza dell’emendamento del governo che modifica la tassa sugli extraprofitti delle banche e che dovrebbe essere depositata nelle prossime ore in Senato.

Il ruolo della Bce

Del resto la Bce in questi giorni era stata molto chiara raccomandando che l’imposta straordinaria non incida sulla capacità dei singoli enti creditizi di costituire solide basi patrimoniali e di effettuare adeguati accantonamenti per maggiori svalutazioni e un deterioramento della qualità creditizia”. Pericoloso esporre le banche a rischi che inciderebbero anche sulle misure di politica monetaria: “Limitare la capacità degli enti creditizi di mantenere posizioni patrimoniali adeguate o di costituire con prudenza accantonamenti nel contesto di una possibile flessione della qualità creditizia potrebbe mettere a repentaglio una regolare trasmissione delle misure di politica monetaria”, si legge ancora nel documento.