Tra le montagne di Jackson Hole i banchieri centrali preparano il futuro

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Come ogni agosto, la Federal Reserve Bank di Kansas City ha organizzato il simposio economico di Jackson Hole, nell’esclusiva località del Wyoming ai piedi delle Montagne Rocciose. Nel corso degli anni, l’appuntamento e, in particolare, il discorso programmatico del presidente della Fed hanno attirato la crescente attenzione degli investitori alla ricerca di indicazioni sulle prospettive della politica monetaria. Questa edizione non ha fatto eccezione.

Alla fine, il presidente Powell ha tenuto il discorso che ci si sarebbe potuti aspettare da un banchiere centrale responsabile: ha riconosciuto i progressi compiuti nella lotta all’inflazione, ma ha sottolineato che la battaglia non è ancora vinta e che potremmo doverci aspettare una crescita più debole per qualche tempo, pur di riportare l’inflazione intorno al 2%.

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Se l’obiettivo di Powell era ribadire l’impegno della Fed a mantenere un’inflazione bassa senza sorprendere nessuno, probabilmente il suo discorso è stato un successo. Gli analisti hanno considerato conservativo il tono del banchiere, anche se i rendimenti dei titoli di Stato non si sono mossi particolarmente. Le aspettative del mercato per il primo taglio dei tassi della Fed si sono spostate un po’ più in là, ma non in modo drammatico (attualmente il primo taglio è previsto per la metà del 2024).

Non bisogna dimenticare che il simposio di Jackson Hole si è svolto in un contesto di crescita economica più forte del previsto negli Stati Uniti. I dati più recenti suggeriscono, tuttavia, che la politica monetaria restrittiva stia cominciando ad avere effetti sulla crescita. Quest’anno abbiamo infatti assistito a una divergenza tra il settore dei servizi e la manifattura, con il primo che ha riportato una crescita abbastanza robusta, mentre la seconda è rimasta più indietro, ma i dati più recenti fanno trasparire alcuni segnali di debolezza anche nei servizi.

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Il grafico seguente mostra gli indicatori di sorpresa economica negli Stati Uniti e nell’Eurozona, che mettono a confronto i dati macroeconomici aggregati con le previsioni degli analisti. Nel grafico possiamo apprezzare come, dopo un periodo di dati migliori del previsto, l’indicatore statunitense si stia leggermente indebolendo. L’Eurozona, al contrario, ha attraversato un periodo di dati molto peggiori delle previsioni, ma la situazione si sta gradualmente normalizzando.

Powell ha anche sottolineato che la Fed si farà guidare dai dati, adeguando la sua politica monetaria per riflettere le aspettative sull’andamento dell’economia. A prima vista sembra una dichiarazione logica: chi non prenderebbe in considerazione i dati più recenti? Ma essa solleva alcune domande. In primo luogo, sappiamo che la politica monetaria opera con “ritardi lunghi e variabili” – che è un altro modo per dire che non si sa quanto sarà significativo il suo impatto, né quando si verificherà. Questo dovrebbe rendere i banchieri centrali cauti nell’attribuire troppa importanza a uno specifico dato. In un mondo ideale, i banchieri centrali avrebbero a disposizione un modello forte per capire come funziona l’economia e la possibilità di utilizzarlo per calibrare la politica monetaria ancor prima di vedere i dati economici, ma, sfortunatamente, non viviamo in un mondo simile. Essere “dipendenti dai dati” potrebbe non essere la strategia ideale, dal momento che implica un ritardo nell’azione dei banchieri centrali, ma è probabilmente l’unica opzione percorribile, dati i limiti delle previsioni economiche.

Un altro momento interessante di Jackson Hole è stato il discorso della presidente della BCE, Christine Lagarde, che ha evidenziato le sfide che i policy maker dovranno continuare ad affrontare in futuro, nel tentativo di risolvere una lunga serie di questioni, tra cui il Near-Shoring, la transizione verde e la transizione digitale. Non sorprende che trovare risposte precise a queste domande sia stato così difficile.