Il fintech batte il credit crunch e sostiene le Pmi

Matteo Tarroni -
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Per le piccole e medie imprese sarà sempre più difficile accedere al mercato del credito. Da un lato, le garanzie di Stato che in questi anni hanno sostenuto il finanziamento del settore stanno progressivamente perdendo efficacia; dall’altro, le banche stanno chiudendo i rubinetti sempre più rapidamente. Una situazione confermata anche dal calo del 4% dei crediti concessi alle imprese, un dato per altro aggregato e che non mostra la vera fragilità e sofferenza del comparto delle Pmi.

Tassi alti e riduzione del credito alle imprese fanno aumentare i default

Il repentino aumento dei tassi d’interesse, iniziato a luglio 2022, ha infatti invertito l’andamento dei default aziendali: dopo anni di cali costanti, i fallimenti delle imprese – seppure in maniera ancora lieve – sono tornati a crescere. E più sale il rischio morosità, più aumenta la selettività delle banche nei finanziamenti per ridurre la loro esposizione. Inoltre, l’aumento dei tassi e dei mutui ipotecari ha portato utili record a tutto il comparto bancario: abbastanza perché il settore non abbia bisogno di allargare il proprio raggio d’azione. Un circolo vizioso che rischia di strozzare la spina dorsale dell’economia italiana.

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Anche perché nel frattempo i prestiti contratti devono essere onorati e, finito il periodo di preammortamento, per fare ciò bisogna utilizzare la cassa, a patto di generarne a sufficienza. Un problema che oggi riguarda molte aziende. Soprattutto perché, per far fronte all’emergenza Covid, tante hanno acceso prestiti per colmare i loro buchi di liquidità anziché per finanziare investimenti a sostegno della crescita e della produttività. Con il rischio concreto che oggi quelle stesse realtà non siano in grado di pagare a scadenza le rate dei prestiti. La situazione di fabbisogno di liquidità per le aziende è poi ulteriormente aggravata dal peggioramento dei ritardi strutturali relativi all’incasso dei crediti commerciali. Basti pensare che secondo lo Studio sui pagamenti 2023 di Cribis solo il 40,8% delle fatture viene pagato a scadenza, mentre un altro 49,7% viene saldato entro 30 giorni; il 9,5%, invece, registra ritardi gravi che vanno oltre il mese.

Uno scenario che avvantaggia le fintech sulle banche tradizionali

È chiaro quindi che quello di cui oggi le imprese hanno bisogno è il credito che possiamo definire “di funzionamento”, ovvero quello necessario a finanziare il capitale circolante. Un tipo di credito per il quale le garanzie dello Stato sono meno presenti ed efficaci e che viene finanziato dalle banche con meno frequenza; si tratta di operazioni, infatti, che a fronte di elevati costi operativi comportano una redditività inferiore rispetto al credito a medio-lungo termine, ossia margini di profitto decisamente più bassi. Colpa anche dello scarso ricorso alla tecnologia da parte degli istituti di credito più tradizionali, che invece ridurrebbe in maniera sensibile i costi. In questo senso, emerge con più chiarezza il vantaggio competitivo del fintech e di realtà come Workinvoice. Infatti, sempre più spesso, gli operatori bancari tradizionali si appoggiano alle realtà più innovative per erogare nuovi servizi ai propri clienti: un po’ come succede con i prodotti white label nella grande distribuzione. Si cercano soluzioni alternative per garantire alta qualità a costi inferiori. Una tendenza che può diventare lo sbocco naturale per tante fintech e un punto di forza per gli operatori tradizionali, i quali – supportati dal know how fintech – potranno concentrarsi sullo sviluppo del business, sfruttando la ricerca e le innovazioni tecnologiche degli operatori fintech.

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Il paradosso: con l’Euribor vicino al 4% le challenger bank più competitive delle banche

Un altro fattore che rende ancora più competitivo il fintech in questo momento storico è l’aumento dei tassi: con l’Euribor vicino al 4% e il tasso medio per l’anticipo fatture in banca per le piccole imprese superiore all’8%, la differenza di costo su un prestito tra una banca tradizionale e una fintech si è praticamente azzerata. Se in uno scenario di tassi zero, come è stato nello scorso decennio, le prime continuavano a essere più convenienti, oggi quella differenza non c’è più. E a creare questo vantaggio è proprio l’utilizzo della tecnologia, che permette di contenere maggiormente i costi rispetto agli operatori tradizionali.

Lo studio sul factoring di Assifact: la domanda di cartolarizzazione delle Pmi è in crescita

Un recente report di Assifact rileva come il factoring sia uno strumento sempre più utilizzato dalle Pmi. Nel primo semestre 2023 il volume di operazioni di factoring da parte delle imprese più piccole è cresciuto del 6% a fronte di un calo a livello dell’intero sistema del 5%. Una tendenza confermata anche da un’indagine sempre di Assifact con Kpmg, secondo cui fra le piccole imprese che non hanno mai utilizzato il factoring, il 63% è interessato allo strumento. Di più: oltre il 90% delle piccole e medie imprese utilizza i fondi derivanti dallo smobilizzo dei crediti tramite il factoring per rimborsare i debiti a breve termine. Tuttavia, secondo le stime dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, i crediti commerciali in Italia ammontano a 509 miliardi di euro, di cui il 77% non è servito da soluzioni a supporto del capitale circolante. È la stessa associazione delle società di factoring che, infatti, auspica una semplificazione dei requisiti di forma della cessione verso enti pubblici e la rimozione del diritto di rifiutare la cessione da parte dei clienti, per potenziare ulteriormente l’utilizzo di questo strumento da parte delle piccole e medie imprese.