J. Safra Sarasin: le elezioni USA contano per i mercati, ma soprattutto dopo il voto

Wolf von Rotberg, Equity Strategist di J. Safra Sarasin -
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A esattamente 12 mesi dalle prossime elezioni presidenziali statunitensi cogliamo l’occasione per analizzare la performance del mercato azionario negli anni elettorali dal 1976. In media, la performance nei 12 mesi precedenti le presidenziali (+7%) è stata poco peggiore rispetto a quella di un tipico anno non elettorale (+10%). Se si considera la mediana anziché la media, l’impatto di casi anomali come l’anno elettorale 2008 si fa meno pronunciato e porta a una convergenza dei risultati (+10% negli anni elettorali contro +12% negli anni non elettorali). Tuttavia, rimane il fatto che il mercato azionario che va incontro a un’elezione ha una performance leggermente inferiore rispetto agli anni non elettorali.

È interessante notare che la natura della corsa alla presidenza sembra avere un impatto minimo sulla performance prima delle elezioni, mentre tende ad avere un impatto maggiore dopo la fine delle elezioni. Indipendentemente dal fatto che si tratti di una corsa aperta (ovvero tra due nuovi candidati) o tra il presidente in carica e un altro candidato, l’S&P 500 guadagna in genere tra il 7% e il 16% nei 12 mesi precedenti (escludendo il 2008). Una volta superata la data delle elezioni, il divario di performance tra i diversi risultati si amplia notevolmente. I guadagni più consistenti del mercato azionario si osservano in genere dopo la rielezione del presidente in carica (+19% nell’anno successivo), mentre un nuovo presidente in una corsa aperta ha visto il mercato guadagnare in media solo il 3% nei primi 12 mesi del suo mandato.

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Oltre alla natura della corsa alla presidenza, abbiamo considerato l’orientamento della politica della Fed negli anni delle elezioni presidenziali. La performance più forte in vista di un’elezione e dopo un’elezione è stata osservata negli anni elettorali senza variazioni dei tassi da parte della Fed. Tuttavia, sarebbe meglio parlare di anno e non di anni, dato che il 2012 è l’unico del nostro campione in cui ciò si è verificato. A parte questo, c’è una differenza notevole tra gli anni elettorali con o senza rialzo dei tassi. Se la performance a 12 mesi prima delle elezioni è stata ancora una volta piuttosto limitata, indipendentemente dalla politica monetaria della Fed, dopo le elezioni l’S&P 500 ha guadagnato in media il 22% su 12 mesi quando la Fed ha tagliato i tassi (escluso il 2008) ed è rimasta quasi piatta quando ha aumentato i tassi.

La conclusione è semplice. In vista di un’elezione, le differenze di performance sono in genere piuttosto ridotte, indipendentemente dal risultato atteso o dal rispettivo orientamento di politica monetaria. Il governo e l’orientamento politico dopo le elezioni contano molto di più, e i guadagni più consistenti si osservano quando il presidente in carica vince e la Fed taglia i tassi. Questo scenario è sicuramente possibile, ma non scontato.

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Tuttavia, le conclusioni di cui sopra sono accompagnate da una grande precisazione. L’esito delle elezioni non è indipendente dal mercato e dal ciclo. Negli ultimi 50 anni, nessun partito in carica è mai riuscito a vincere le elezioni se l’economia statunitense era in recessione durante l’anno elettorale. Pertanto, la rielezione dell’attuale amministrazione potrebbe dipendere in larga misura dalla traiettoria dell’economia nei prossimi 12 mesi, che secondo le nostre previsioni dovrebbe attenuarsi ed entrare in una recessione poco profonda entro la metà del 2024. A quel punto, potrebbe essere il momento giusto per aggiungere rischio, indipendentemente dalle considerazioni politiche in vista del voto di novembre.