Artemis: perché siamo sovrappesati sul Giappone

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Lo spettacolo di due lottatori in perizoma che cercano di scaraventarsi a vicenda fuori da un recinto, il dohyō, è forse la prima cosa che viene in mente quando si sente parlare di “sovrappeso” e “Giappone” nella stessa frase. In ogni caso, è opportuno sottolineare che queste parole hanno un significato anche nel mondo degli investimenti.

L’Artemis Funds (Lux) – Global Equity Income detiene attualmente quasi il 20% dei suoi investimenti in azioni giapponesi – la quota più alta che abbia mai detenuto e il doppio del peso del Paese all’interno dell’indice di riferimento. Qual è dunque il motivo di questa attrazione per il Paese del Sol Levante? In questo ambito, come nel sumo, c’è una crescente sensazione che stia spuntando una nuova alba.

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Finalmente il Giappone recupera il ritardo

Ci sono diversi motivi per cui questo mercato merita in questo momento più attenzione. Il tanto atteso abbandono dei tassi di interesse negativi da parte del Giappone è simbolicamente una vera e propria pietra miliare.

La Banca del Giappone è stata l’ultima banca centrale ad aderire ad una politica monetaria ultra-accomodante, mettendosi finalmente al passo con il resto del mondo il 19 marzo e chiudendo così un’epoca in cui l’economia e la borsa del Paese erano costantemente in ritardo, specialmente rispetto alle omologhe cinesi e statunitensi.

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I segnali che il lungo periodo di deflazione è giunto alla fine sono già visibili. Alcuni lavoratori hanno ricevuto i più alti incrementi salariali mai registrati sin dai primi anni Novanta mentre è sempre più alto il numero delle società che ribaltano gli aumenti dei loro costi sui consumatori.

Nel frattempo il maggior rigore dei codici di corporate governance e degli statuti societari sta costringendo le società giapponesi ad allineare le loro politiche e pratiche agli interessi degli azionisti, a conferma che è in atto una vera e propria riforma societaria.

Emblematico in tal senso è il piano della Borsa Giapponese, che controlla le borse di Tokyo e Osaka, di mettere alla berlina le società che non si adeguano al nuovo corso di porre al centro delle loro attività la valorizzazione dell’azienda. A questo proposito, il numero dei consigli di amministrazione che adottano i nuovi principi aumenta sempre di più, grazie alla generale tendenza a conformarsi a quegli organi amministrativi che hanno fatto da apripista.

Valuta, keiretsu e creazione di valore

Particolarmente importante per molti investitori è se ci si deve proteggere dal rischio di cambio inerente ad investimenti fatti in Giappone. La debolezza dello yen è chiaramente un problema.

È cosa risaputa che le fluttuazioni di una valuta sono difficili da prevedere. D’altro canto, però, è possibile creare una copertura naturale e economica investendo nei principali esportatori, quali Mitsubishi Heavy Industries e Komatsu, che hanno realizzato profitti grazie alla forza relativa delle altre valute per molti anni.

Questi investimenti possono essere controbilanciati da investimenti in società a basso costo, a media capitalizzazione e con fatturati realizzati in yen che mirano ad accrescere i profitti. Le società che appartengono a questa categoria, come Nippon Television e Sompo Holdings, offrono buoni rendimenti difensivi.

Vale la pena anche esaminare più attentamente le società con partecipazioni incrociate, conosciute localmente come keiretsu, che si contraddistinguono per gli investimenti nel capitale dei loro partner in affari. Si levano sempre più alte le voci che da anni chiedono l’abbandono di questa pratica controversa e l’attuale scioglimento di queste relazioni può costituire fonte di una consistente creazione di valore.

Ci sono società giapponesi che sono molto più globali di quanto si possa pensare a prima vista. Un buon esempio è dato da Mitsubishi UJF, la maggiore banca giapponese, che possiede circa il 25% di Morgan Stanley.

Sarà diverso questa volta?

Molte azioni giapponesi passano di mano ad un rapporto utili-prezzo variabile fra 8x e 15x. Analogamente a quanto si verifica per le azioni britanniche, altrettanto poco amate, le azioni giapponesi offrono la possibilità di comprare a buon prezzo società di alta qualità che sono però sottovalutate.

In prospettiva, riteniamo che vi siano numerosi potenziali catalizzatori che possano far impennare il mercato giapponese. Nell’attesa, però, gli investitori possono incassare i dividendi. Infatti, al momento il nostro portafoglio giapponese rende mediamente il 3%.

È vero che il 3% potrebbe sembrare relativamente basso ma è altrettanto vero che quella giapponese è più o meno l’unica economia in cui le azioni rendono molto più dei titoli di stato. Peraltro, i dividendi giapponesi stanno aumentando più rapidamente di quelli dell’S&P 500.

Ovviamente, proprio come Takerufuji, che non è il primo esordiente in cui vengono riposte le speranze per il futuro del sumo, non è la prima volta che la ripresa del Giappone è annunciata, per poi essere puntualmente smentita. Chissà se dopo una serie di falsi allarmi questa volta sarà diverso.

Nessuno può esserne certo ma le azioni giapponesi dovrebbero quanto meno apportare caratteristiche difensive e una crescita costante ad un portafoglio diversificato globalmente. Come minimo potrebbero dare un reddito tutt’altro che disprezzabile e una notevole crescita nel lungo periodo.