Due strategie a bassa volatilità

di Ubs Etf -

Ponderazione per il rischio e volatilità minima sono schemi alternativi per l’investimento in indici azionari. Vediamo le differenze e i vantaggi rispetto a un approccio tradizionale

Di recente sono stati sviluppati due schemi in competizione tra loro nell’ambito degli indici azionari investibili per l’investimento a bassa volatilità: l’approccio della ponderazione per il rischio e l’approccio della volatilità minima.

Entrambi hanno alcune caratteristiche comuni, ma vi è una notevole differenza quando si considerano i contributi dei fattori. Ce la illustra, in questo articolo, Pawel Janus Etf strategist di Ubs Asset Management.

Alcuni studi hanno dimostrato che le azioni a bassa volatilità producono rendimenti migliori rispetto a quelle ad alta volatilità. Si tratta di un fenomeno noto come anomalia della bassa volatilità.

Haugen e Heins (1972) hanno analizzato l’andamento delle azioni statunitensi in un lungo periodo, compreso tra il 1926 e il 1970, giungendo alla conclusione che quanto più alto è il rischio, tanto più basso è il rendimento realizzato. Più recentemente Baker e Haugen (2012) hanno dimostrato che l’anomalia interessa tutti i principali mercati azionari di tutto il mondo.

Ciò contraddice la tradizionale convinzione secondo cui all’assunzione di maggiore rischio dovrebbero corrispondere maggiori rendimenti, come evidenziato dal Capm (Capital asset pricing model).

L’investimento a bassa volatilità è ormai divenuto accessibile tramite soluzioni passive, tra cui gli Etf.

L’obiettivo principale dell’investimento passivo a bassa volatilità, ossia tramite un portafoglio indicizzato, è ridurre la volatilità senza rinunciare ai rendimenti di lungo periodo rispetto a un indice di riferimento ponderato per la capitalizzazione di mercato (indice madre). Ciò significa essere difensivi al ribasso e cogliere al tempo stesso la maggior parte dei rialzi.

La riduzione della volatilità nelle strategie indicizzate a bassa volatilità è ottenuta o minimizzando il rischio complessivo del portafoglio (ossia tenendo conto della volatilità complessiva e della struttura di correlazioni) oppure orientando il portafoglio verso le azioni a più bassa volatilità (ignorando il rischio di correlazione)1.

Dalla più recente crisi finanziaria, diversi provider di indici (tra cui Msci, S&P Dow Jones, Russell e Stoxx) hanno introdotto soluzioni basate su indici per facilitare l’investimento a bassa volatilità.

Esaminiamo i due schemi in competizione e il modo in cui gli investitori possono utilizzarli a loro vantaggio.

Gli indici a bassa volatilità
bassa volatilita tabella

Fonte: Msci Risk Weighted Indexes Methodology, Msci giugno 2014; Msci Global Minimum Volatility Indexes Methodology, Msci dicembre 2013


Bassa volatilità in azione

La tabella qui sopra mostra le caratteristiche di due indici a bassa volatilità: uno ponderato per il rischio e uno a volatilità minima.

L’approccio della ponderazione per il rischio è uno schema non ottimizzato in cui le azioni sono semplicemente ordinate utilizzando stime sulla volatilità ex-post e una ponderazione che privilegia (ossia sovrappesa rispetto all’indice madre) quelle meno volatili. Questo metodo consiste essenzialmente nel definire l’orizzonte temporale sul quale misurare il rischio di volatilità (un anno, tre anni, ecc.) e la frequenza dei rendimenti (settimanale, mensile, ecc.).

Al contrario, l’approccio della volatilità minima dipende in modo cruciale dalla struttura del modello di rischio (con tutte le relative ipotesi), nonché dalla procedura di ottimizzazione (con tutti i relativi vincoli). L’elemento di complessità aggiuntivo è dovuto alla necessità di utilizzare una stima della struttura di covarianza e di affrontare le note limitazioni della procedura di ottimizzazione (per evitare i minimi locali o una concentrazione eccessiva su singoli titoli).

Il grafico qui sotto mostra la performance di lungo periodo degli indici a bassa volatilità delle azioni dei paesi sviluppati rispetto al benchmark ponderato per la capitalizzazione.

Performance relativa degli indici a bassa volatilità
(rendimento totale mensile, dati netti in dollari, maggio 1988 = 100)
Performance relativa degli indici a bassa volatilità

Fonte: Msci, Ubs Am, al 31 dicembre 2015

Entrambe le strategie a bassa volatilità evidenziano alcune analogie. In primo luogo, entrambe le strategie hanno sovraperformato il benchmark ponderato per la capitalizzazione nel lungo periodo. In secondo luogo, entrambe le strategie hanno sottoperformato il mercato tra gli inizi del 1997 e gli inizi del 2000. In terzo luogo, entrambe le strategie hanno messo a segno marcati rimbalzi tra la fine del 2000 e gli inizi del 2003. Entrambe le strategie sono divenute difensive nelle fasi di tensione, tra cui 2008 e 2011 (picchi nelle loro performance relative). Infine, entrambe le strategie hanno presentato un rischio di volatilità relativamente più basso, ossia le loro volatilità annualizzate nel periodo sono state pari all’11,3% per la strategia a volatilità minima e al 13,5% per la strategia di ponderazione del rischio, rispettivamente, a fronte del 15,1% per l’esposizione basata sulla capitalizzazione di mercato. Quel che è sicuramente diverso tra le due strategie è la protezione al ribasso rispetto alla partecipazione ai rialzi.

Gli effetti secondari differenziano la performance
Riconducendo la performance delle strategie a bassa volatilità ai fattori, diventa evidente che vi sono notevoli differenze nelle fonti di performance rispetto all’indice madre, ossia l’Msci World ponderato per la capitalizzazione di mercato, come mostra il grafico qui sotto.

Contributo dei fattori al rendimento (rispetto all’Msci World)
(rendimenti mensili netti in dollari; 30 dicembre 2005 – 31 dicembre 2015)
Contributo dei fattori al rendimento rispetto allMsci World

RW=Msci World Risk Weighted; MV= Msci World Minimum Volatility (dollari)
Fonte: Barra Portfoliomanager, gennaio 2016.

Le principali differenze nell’esposizione relativa ai fattori sono i fattori dimensione e volatilità. In particolare, la strategia a volatilità minima evidenzia un’esposizione relativa nettamente inferiore alla volatilità. Al contrario, la strategia di ponderazione per il rischio riduce sensibilmente l’esposizione relativa al fattore dimensione (ossia ai titoli a più alta capitalizzazione) e in misura minore al fattore volatilità.

Ciò potrebbe sorprendere in quanto suggerisce che la strategia di ponderazione per il rischio coniuga i fattori dimensione e volatilità. Questo effetto secondario è il risultato dello schema di ponderazione applicato ai titoli che compongono l’indice, una volta ordinate e ponderate le azioni a bassa volatilità candidate. Per comprenderlo meglio, occorre guardare in modo più dettagliato lo schema di ponderazione a varianza inversa.

La ponderazione per il rischio in dettaglio
Il grafico qui sotto mostra gli esempi di schemi di ponderazione per il rischio per l’Msci Usa, come se le ponderazioni delle componenti dell’indice fossero ridefinite ogni mese utilizzando le stime di volatilità più recenti.

Schemi di ponderazione per il rischio nel 2015 (Msci Usa)
(asse Y: ponderazione implicita nel rischio; asse X: volatilità realizzata su un mese. Rapporto massimo/minimo)
Schemi di ponderazione per il rischio nel 2015 Msci Usa

Fonte: Bloomberg, Ubs Am, gennaio 2016.

Le ponderazioni implicite nel rischio hanno una forma ben definita (connessa alla distribuzione gamma inversa), il cui rapporto massimo/minimo è limitato entro l’intervallo di volatilità del 12-80%, il che implica un’allocazione più diversificata rispetto allo schema della capitalizzazione di mercato.

In particolare, il rapporto massimo/minimo qui è limitato a 44,4, mentre nell’indice ponderato per la capitalizzazione di mercato non ha limiti. Per esempio, la maggiore capitalizzazione nell’universo dell’Msci Usa, a dicembre 2015, era di 600 miliardi di dollari (Apple), mentre la minore era di 1,8 miliardi di dollari (Antero Resources): il rapporto massimo/minimo era pari quindi a circa 333 volte. Vi è quindi una chiara asimmetria a favore delle mega cap.

A differenza della capitalizzazione di mercato, la forma degli schemi basati sulla ponderazione per il rischio riflette le dinamiche di tutte le singole volatilità nel tempo. Qualora un numero relativamente limitato di azioni presenti una bassa volatilità e la maggior parte sia invece piuttosto volatile (settembre 2015), la curva sarà più alta e più ripida. Per contro, quando un insieme più ampio di azioni presenta basse volatilità, lo schema di ponderazione implicita è più basso e più piatto (giugno 2015).

Si comprende bene come la parte migliore (in termini di contributo al rischio) della curva sia quella in cui la volatilità è minima. L’altra parte della curva è quella in cui numerose azioni con una volatilità superiore alla media ottengono una ponderazione pressoché uguale (prossimità alla cosiddetta “risk parity”), il che determina e spiega l’effetto dimensione: i titoli a più bassa capitalizzazione sono sovrappesati rispetto al benchmark ponderato per la capitalizzazione di mercato. Un valido affinamento di questa strategia consisterebbe nel privilegiare il tratto a breve della curva, il che rappresenta proprio la nozione alla base dell’Msci Select Dynamic 50% Risk Weighted Index.

L’affinamento dell’approccio della ponderazione per il rischio
L’Msci Select Dynamic 50% Risk Weighted Index è basato su un approccio semplice ma alquanto potente. Il grafico sopra illustra gli ipotetici schemi di ponderazione impliciti nella selezione delle azioni a più bassa volatilità, fino a che il peso cumulato sia pari al 50%. La soglia del 50% assicura che vengano selezionate solo le azioni con volatilità inferiori alla mediana. Il numero di azioni necessario a raggiungere la soglia del 50% varia (dinamicamente) nel tempo, il che ricorda la dispersione nell’insieme delle volatilità correnti.

In questo esempio, l’universo Msci Usa (e l’Msci Risk Weighted “plain vanilla”) presenta 633 sottostanti, mentre l’approccio affinato è basato su 165 (a ottobre 2015) o 191 azioni (a settembre 2015).

Rispetto allo schema di base di ponderazione per il rischio, questo semplice affinamento dà luogo a un’esposizione (selettiva) più concentrata tra le azioni a più basso rischio (sotto la mediana) e a un’ovvia avversione alle azioni con volatilità superiore alla mediana.

Di conseguenza, la curva si è spostata verso l’alto ed è divenuta più ripida e più breve. Concettualmente, ciò va nella direzione di una “pura scommessa sulla bassa volatilità”.

Quel che non è ancora chiaro è il ruolo della correlazione. L’approccio della volatilità minima consuma l’intera struttura di covarianza e quindi le interdipendenze svolgono un ruolo esplicito nella procedura di ottimizzazione. L’approccio della ponderazione per il rischio (incluso l’affinamento della selezione dinamica) è basato esclusivamente sulle volatilità, pertanto le interdipendenze hanno solo un ruolo implicito.

Bassa volatilità in evidenza
I grafici qui sotto mostrano la performance quinquennale degli indici a bassa volatilità per le azioni statunitensi e dell’Eurozona, relativamente agli indici madre ponderati per la capitalizzazione, ossia l’Msci Usa e l’Msci Emu.

Quel che è chiaro è che le strategie di ponderazione per il rischio e le strategie a volatilità minima hanno sovraperformato i benchmark regionali ponderati per la capitalizzazione. Hanno dimostrato una migliore tenuta nelle fasi di tensione dei mercati, come ad esempio durante le recenti correzioni dell’agosto 2015 e delle gennaio 2016. L’approccio della ponderazione per il rischio affinato (Msci Select Dynamic 50% Risk Weighted Index) si dimostra una strategia a bassa volatilità più efficace in molte di queste situazioni di tensione.

Performance relativa degli indici a bassa volatilità Msci Usa
(rendimento totale giornaliero, dati netti in dollari, 31 gennaio 2011 = 100)
Performance relativa degli indici a bassa volatilità Msci Usa

Fonte: Msci, Ubs Am, al 27 gennaio 2015


Performance relativa degli indici a bassa volatilità Msci Emu

(rendimento totale giornaliero, dati netti in euro, 31 gennaio 2011 = 100)

Performance relativa degli indici a bassa volatilità Msci Emu

Fonte: Msci, Ubs Am, al 27 gennaio 2015

 

Gli Ubs Etf
Sul mercato EtfPlus di Borsa Italiana sono quotati tre Ubs Etf a bassa volatilità che replicano gli indici Msci Select Dynamic 50% Risk Weighted: Ubs Etf (Ie) Factor Msci Usa Low Volatility Ucits Etf (codice Isin IE00BX7RQY03), Ubs Etf (Ie) Factor Msci Usa Low Volatility Hedged Eur Ucits Etf (IE00BWT3KJ20) e Ubs Etf (Lu) Factor Msci Emu Low Volatility Ucits Etf (LU1215454460), tutti a replica fisica.

—————————
Nota:
1) Un’altra strategia è il cosiddetto “targeting” di volatilità, ossia puntare a mantenere un livello di volatilità desiderato, ad esempio del 7%. Questo approccio implica tuttavia l’utilizzo di alcuni attivi a volatilità pressoché nulla (ad es. la liquidità) qualora il rischio azionario sia troppo elevato. In questo documento, ci concentriamo specificamente sulle soluzioni indicizzate puramente azionarie.