Nulla dura per sempre? (Conversazione con Anabel von Schönburg)

Dietmar Stock-Nieden -
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Dietmar Stock-Nieden parla con la restauratrice Anabel von Schönburg* della caducità dell’arte e di come poterla prevenire.

Forse è un’ovvietà, ma l’espressione “nulla dura per sempre” rappresenta ironicamente uno dei nodiz centrali del mondo dell’arte. Il degrado è da sempre un problema, ma è nel corso del XX secolo che l’invenzione e l’uso di materiali che invecchiano rapidamente e l’incauta combinazione di materiali incompatibili tra loro hanno messo a dura prova i restauratori contemporanei, costretti ad affrontare sfide nuove e sempre più complesse, mentre cercano di preservare l’arte di oggi per le generazioni future (e il suo valore commerciale per i collezionisti di oggi).

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La restauratrice Anabel von Schönburg, che ha studiato Conservazione e Restauro alla Hochschule der Ku?nste di Berna (HKB) e si è laureata in Materiali e media moderni, è oggi un’apprezzata specialista nel campo dei materiali contemporanei. M’interessava sapere da lei qualcosa sui materiali usati nell’arte contemporanea e su come le moderne tecniche di conservazione possono ripristinare i danni accidentali e contribuire a rallentare il degrado.

Come è diventata restauratrice?
“Sono cresciuta in Germania orientale, in un castello di proprietà della mia famiglia, fino al 1945. Al piano inferiore del nostro ex appartamento c’era un museo in cui erano esposti mobili, quadri e arredi. Così, fin da bambina, ho potuto godere di una certa familiarità con l’arte, la storia e la cultura e ho capito fin da piccola l’importanza della conservazione”.

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Quale opera d’arte hai restaurato per la prima volta e di cosa si trattava?
“Un’opera di Fritz Bruno Gottardi, uno scultore nato nel 1932 a Saanen. Era un rilievo di elementi in terracotta con smalto metallico. Dopo una caduta, numerosi elementi si erano rotti ed è stato necessario incollare i frammenti e sostituire le parti mancanti. Gli elementi sono stati inseriti sull’originale in plastica con un calco e lo smalto è stato ritoccato grazie alla tecnologia dell’aerografo”.

Secondo lei, quali sono i tre materiali o gruppi di materiali usati nell’arte contemporanea che causano i maggiori problemi di decadimento?
“Al primo posto metterei senz’altro gli acetati di cellulosa o i nitrati di cellulosa, che si trovano ad esempio nelle pellicole. Si disintegrano col passare del tempo, rilasciando acidi che non solo corrodono il materiale stesso, ma danneggiano anche gli oggetti adiacenti. Il secondo materiale è la gomma, che con l’invecchiamento diventa irreversibilmente fragile e screpolata. Spesso le superfici finiscono per assomigliare a fotografie aeree di paesaggi aridi.

Il terzo è il lattice, che diventa fragile e giallo quando entra in contatto con l’ossigeno. Se è vero che l’esposizione all’ossigeno non può essere evitata, è possibile prolungare la vita di questi materiali nello stoccaggio, ad esempio mantenendo le temperature basse e usando imballaggi con assorbitori di ossigeno. I “mute” di Heidi Bucher sono particolarmente impegnativi: Buche ha dipinto intere stanze con il lattice, rimuovendo gli strati dopo l’asciugatura per poi appenderli liberamente. Le sospensioni e la stabilità del materiale devono essere ripetutamente controllate, a causa dell’infragilimento e del peso delle lastre, e poi modificate in caso di dubbi sulla loro stabilità”.

Quali misure di protezione consiglia per i lavori in plastica o in altri materiali moderni, per preservarne la condizione fisica e il valore di mercato?
“In linea di principio, un clima senza fluttuazioni a breve termine è la scelta migliore; la temperatura dovrebbe essere la più bassa possibile — condizione non sempre facile in un ambiente abitativo —, perché ogni grado in meno prolunga la durata di queste opere d’arte. Bisognerebbe, poi, ridurre le radiazioni infrarosse e ultraviolette. L’assorbimento dei raggi UV e le pellicole per finestre sono un grande aiuto in questo senso. È inoltre importante evitare di collocare le opere in spazi illuminati dal sole o in prossimità di radiatori, e non appoggiare le sculture direttamente sul riscaldamento a pavimento. È necessario, infine, ridurre al minimo la polvere e l’inquinamento dell’aria e controllare regolarmente le opere, per vedere che non ci siano parassiti o segni di degrado”.

Quali sono i requisiti di base che la media art da audio o videocassette impone a collezionisti e musei?
“I nastri audio e video si consumano con l’uso. Per questo è meglio usare copie su nastro o riproduzioni digitali di alta qualità. Per l’archiviazione a lungo termine, è bene conservare gli originali in un ambiente fresco e asciutto, privo di campi magnetici, con una temperatura vicina agli 8°C e un’umidità relativa del 25%. Se poi i nastri hanno bisogno di acclimatarsi, è meglio farlo lentamente in modo che non subiscano uno shock climatico con condensazione. Dovrebbero inoltre essere riavvolti regolarmente per evitare deformazioni della bobina, l’effetto di copiatura e l’incollaggio degli strati di nastro adesivo, tutti fattori che costituiscono un rischio di conservazione a lungo termine. I nastri di servizio o i videoregistratori devono essere conservati regolarmente separando, se necessario, i singoli componenti, come le batterie e le cinghie di trasmissione in gomma. È utile, infine, tenere un magazzino di pezzi di ricambio e, nel caso di opere d’arte che usano vecchie lampade, avere a portata di mano le lampadine o i tubi fluorescenti appropriati”.

Quali sono le principali questioni legate al restauro di pezzi realizzati con materiali moderni?
“Mentre abbiamo secoli di esperienza con le tecniche artistiche tradizionali, come la pittura a olio, abbiamo ancora molti dubbi sui cambiamenti dei materiali moderni con il passare del tempo, e non esiste nessuna tradizione a cui attingere.

I materiali moderni richiedono complesse analisi chimiche e diverse prove prima che le parti possano essere pulite o incollate, perché spesso non sappiamo come questi materiali, una volta invecchiati, reagiscono ai solventi o agli adesivi.

A volte, poi, ci sono materiali o supporti che restano sul mercato solo per un breve periodo di tempo, sia perché si scopre che sono nocivi per la salute, sia perché vengono sostituiti (come le lampadine, i floppy disk e i dischi laser). Il tasso d’innovazione in questo campo sta accelerando
a un ritmo sempre più rapido”.

Quanto è importante, per la sua esperienza, che l’artista interessato sia coinvolto nel processo di restauro?
“In linea di principio, l’artista è un’importante fonte d’informazioni. Quali materiali sono stati usati? Qual è l’intenzione alla base del lavoro? Le risposte a queste domande possono avere una grande influenza su come procedere al restauro e alla conservazione delle opere. Idealmente, tutti gli artisti dovrebbero fornire il maggior numero possibile d’informazioni sui materiali usati e, se necessario, le istruzioni per l’installazione e il trasporto delle opere”.

A causa dell’usura, a volte è necessario sostituire parti di opere d’arte o produrre nuovamente l’intera opera. Dovremmo quindi ridefinire il termine “originale” per le opere realizzate con materiali moderni?
“In effetti il termine stesso è ambiguo in questi casi. Spesso le opere d’arte sono prodotte industrialmente, mentre l’artista fornisce solo il disegno. Il termine ‘aura’, coniato da Walter Benjamin, in questi casi non ha più valore. Tuttavia, rimane fondamentale per il restauratore conservare il più possibile la sostanza originale di un’opera, ripristinandone la leggibilità e preservando l’intenzione dell’artista. Qui entrano in gioco considerazioni storiche e tecnologiche”.

Quale opera nella sua carriera è stata finora la più impegnativa da restaurare?
“Un lavoro che finora non è stato ancora restaurato. Si tratta di un’opera giovanile di David Weiss: un autoritratto olografico di quando era studente. Il supporto informativo è uno strato di gelatina idrosolubile, che purtroppo è stato macchiato da un precedente tentativo di pulizia. Non è stato possibile pulirlo di nuovo lavandolo o farne una copia utilizzando il processo di contatto, perché i rischi per l’originale sono stati considerati troppo elevati. Le complessità che ne sono derivate hanno infine costituito la base per la mia tesi di diploma, ‘Fenomeni di degrado sugli ologrammi’, e mi hanno resa particolarmente sensibile alla conservazione preventiva”.


Dietmar Stock-Nieden – Claims Handler e Art Expert – AXA Art