Il settore del fashion dopo l’emergenza

Luciano Giannetti e Luca Crippa - GEA -

Siamo ancora nel mezzo della crisi mondiale dovuta alla pandemia di Coronavirus, ma tutti i maggiori osservatori, uffici studi e consulenti (noi inclusi) stanno pubblicando le valutazioni e le previsioni circa l’impatto economico – oltre che umanitario – della crisi.

Nel Fashion, molti retailers (da Esprit, Karstadt, La Halle, fino a Scarpe e Scarpe) hanno attivato le procedure di salvaguardia societaria, e anche i grandi gruppi internazionali del lusso hanno annunciato risultati in forte calo nel primo trimestre del 2020 (-20% / -30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso) e prevedono un secondo quarter estremamente difficoltoso.

Da un punto di vista economico, gli elementi su cui non sembrano esserci dubbi sono l’entità enorme del danno, le incognite legate alle dinamiche della ripresa, e soprattutto la permanenza anche ad emergenza finita di alcune abitudini che metà della popolazione mondiale sta sperimentando in queste lunghe settimane.

Mentre nella prima fase più acuta l’attenzione è stata giustamente posta sulla tutela della salute e della vita delle persone, indipendentemente dai costi correlati, in questo momento – intravedendo l’uscita dalla fase più critica da un punto di vista sanitario e una graduale riduzione delle limitazioni in alcuni paesi – le imprese iniziano a concentrarsi sull’obiettivo della loro stessa sopravvivenza.
Inizialmente l’orizzonte sarà per forza di cose di breve periodo, affrontando crisi di liquidità senza precedenti, filiere locali e globali interrotte e consumatori spaventati e con ridotte disponibilità economiche.

Si può affermare in modo generale che, oltre ovviamente ai fondamentali finanziari con cui le aziende sono entrate in questa crisi (chi è arrivato più forte ha più chance di farcela), conteranno la capacità di reagire rapidamente, con processi decisionali veloci, catene di comando rapide ed elevata qualità delle persone che siedono nei comitati di crisi.

La gestione dell’emergenza di breve, per quanto prioritaria, non potrà però prescindere dalla sfida della progettazione del futuro, in un mondo cambiato radicalmente in poche settimane.

All’interno di un quadro estremamente complesso, tre punti ci sembra che meritino un focus particolare:

  • scorte e liquidità;
  • multi- canalità;
  • nuovi modelli operativi.

1. Scorte e liquidità

La crisi si è manifestata all’inizio della stagione Spring/Summer, per cui i negozi e in parte i fornitori sono pieni di merce prodotta e confezionata, che difficilmente verrà spedita e successivamente venduta a prezzo pieno a giugno/luglio.

La liquidità delle aziende, già provata dalla mancanza di ricavi di questi mesi, potrebbe essere dunque seriamente compromessa dall’eccesso di immobilizzazioni in stock, riducendo la capacità di approvvigionamento per la successiva stagione Autunno/Inverno.

Le aziende dei segmenti più esclusivi saranno costrette a sostenere l’inventory in eccesso per lungo periodo per evitare diluizioni del Brand Value. Gli altri segmenti, oltre ad accelerare su quello digitale, unico funzionate, dovranno fronteggiare una competizione basata su forti interventi promozionali, ben oltre le normali dinamiche dei saldi di fine stagione.

I segnali sono chiari e molte catene sia italiane sia estere sono oggi (fine aprile) già presenti con mid season sale con sconti che arrivano al 50%-70% o stanno cercando nuovi sbocchi per “smaltire” lo stock, da pop-up nell’altro emisfero ad accordi con player specializzati. Ad esempio, Assocalzaturifici, che rappresenta un comparto composto in Italia da 4.300 aziende, ha avviato una partnership con BrandsDistribution, specialista della vendita B2B online, per la vendita degli stock.

In futuro, a queste azioni di breve periodo dovrà seguire un ripensamento del mix fra Supply Chain lunga (low cost producer) e corta (Italia/Europa) in modo da rendere il sistema produttivo più resiliente e meno fragile.

Il bilanciamento non è solo geografico: l’obiettivo è una riduzione dell’inerzia, dei tempi e della rigidità delle Supply Chain, non garantito dalla sola vicinanza “fisica”, ma da ricercare anche attraverso una profonda revisione dei processi.

2. Multicanalità

Molti studi pubblicati solo pochi mesi fa ipotizzavano che nel 2025 nel mercato del lusso le vendite on-line avrebbero raggiunto il 25% del business complessivo a livello mondiale.

In questo periodo di forzata e prolungata chiusura dei negozi e delle catene, la frequentazione – spesso obbligata – dei canali digitali è cresciuta impetuosamente: la rilevazione di Salesforce (Q1 Shopping index) ha evidenziato a livello mondiale nel settore la crescita degli acquisti on-line del 20% e degli acquirenti unici del 40% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Le misure di protezione della salute ipotizzate (contingentamento degli ingressi, visualizzazione dei capi senza sostanziale possibilità di prova, distanziamento) porteranno a ridurre le differenziazioni fra canali digitali e canali fisici, venendo a diminuire il ruolo tipico del negozio tradizionale di concretizzazione fisica e tattile del mondo di riferimento dei Brand, oltre che di principale touch point con il consumatore, sia razionale sia emotivo.

Di conseguenza, anche al cessare delle condizioni restrittive, l’integrazione dei canali e i comportamenti d’acquisto dei consumatori saranno tali da imporre alle aziende, pur nei differenti segmenti, l’assunzione anticipata dei modelli omnichannel.

A nostro parere, questi modelli non potranno limitarsi alla gestione dei touch point con i consumatori, ma sarà necessaria un’integrazione operativa e gestionale più profonda, che risalga i processi di distribuzione e pianificazione dello stock, dal momento che una gestione per silos – tipica della maggior parte delle aziende brick and mortar – non sarà più sostenibile.

3. Nuovi modelli operativi

Le aziende da pochi giorni stanno definendo i propri recovery plan per affrontare nel breve periodo una crisi di cui non sono chiari né i contorni né la durata. Questi programmi sono complessi in quanto in ogni paese dovranno tenere conto del contesto generale (supporto del governo, regolamentazioni), del consumatore (atteggiamento, propensione e disponibilità di spesa, perdita del potere di acquisto) e del quadro competitivo (promozionalità, timing delle nuove stagioni/collezioni).

Contemporaneamente a questo sforzo appare necessario un ripensamento complessivo del modello operativo delle aziende del Fashion, pur nel rispetto dei diversi segmenti e posizionamenti.

Questa crisi ha fatto maturare la consapevolezza di quanto siano complessi, costosi e fragili i modelli attualmente in uso sia nel lusso sia nel Fast fashion. I temi sono noti, ma fino ad oggi raramente oggetto di progetti di cambiamento.

Possiamo citare ad esempio i tempi estremamente lunghi dalla concezione del prodotto alla commercializzazione, la dimensione eccessiva dell’offerta a monte della vendita (con tassi di cancellazione poco compatibili con la nuova sensibilità alla sostenibilità), l’eccessiva anticipazione delle collezioni per bilanciare i periodi di mark down sempre più anticipati.

Anche i meccanismi di collaborazione, spesso ancora lenti e poco integrati, hanno subito un forte impulso al cambiamento: due mesi e più di smart working e di gestione dell’emergenza hanno dimostrato che è possibile utilizzare modelli diversi, più integrati sia internamente sia nei confronti dei partners di filiera, con organizzazioni più piatte, catene di comando più brevi e gruppi di lavoro dinamici che si formano rapidamente sulla base della competenza dei singoli.

Mai come in questo periodo sono saltati schemi, riferimenti e routine organizzative, insieme a diversi pregiudizi, e i migliori dovranno saper capitalizzare nel medio periodo quel che di buono hanno costruito nella gestione dell’emergenza.

Se le aziende lo vorranno e se i Brand leader ne avranno la forza, sarà dunque possibile avviare una revisione profonda dei meccanismi che fino ad oggi hanno governato il mondo del Fashion. Farsi trovare pronti sarà necessario per rimanere della partita.