L’impatto della “greenflation” sulle materie prime

-

Nel 2021, le materie prime hanno sovraperformato rispetto a obbligazioni e azioni per la prima volta in quasi un decennio. Anche prima dell’invasione russa dell’Ucraina, queste tendenze sembravano destinate a continuare nel 2022 a causa delle scorte molto basse, del miglioramento della domanda e di una tiepida risposta dell’offerta a prezzi più alti.

La questione chiave ora è se la maggiore attenzione europea in tema di sicurezza (sia dell’approvvigionamento energetico sia militare) avrà un impatto su tale contesto. In alcuni mercati, la risposta è probabilmente sì. Tuttavia, come effetto della rinnovata attenzione per la sicurezza energetica e la ridotta dipendenza dall’energia russa si dovranno probabilmente raddoppiare gli impegni verso un rapido passaggio alle energie rinnovabili e all’elettrificazione dei trasporti.

Per ridurre i rischi di tendenze scomposte nei mercati dell’energia, potrebbe essere necessario un allentamento a breve termine dei piani di decarbonizzazione dell’energia (per esempio, tenendo aperte le centrali a carbone più a lungo di quanto previsto inizialmente).

La “greenflation” prende piede

Il fatto che le politiche di mitigazione del clima rafforzino la domanda di materie prime come rame e nichel è ben noto ed è oggetto di molta attenzione. Tuttavia, l’impatto dei cambiamenti sul lato dell’offerta è probabilmente maggiore e riguarda una gamma più ampia di materie prime.

L’impegno da parte di produttori, governi e investitori per sostenere strategie coerenti con la mitigazione del cambiamento climatico limita di fatto la nascita di nuova offerta di combustibili fossili e metalli. Questo a sua volta sta portando alla cosiddetta “greenflation”, che è definita come un forte aumento del prezzo dei materiali utilizzati nella creazione di tecnologie rinnovabili.

In un mondo che si concentra sull’elettrificazione e sul passaggio a fonti di energia rinnovabile, sono aumentati i timori che gli asset legati ai combustibili fossili diventino “stranded”, letteralmente “beni incagliati” perchè soggetti a una svalutazione imprevista o prematura per inutilizzo. Allo stesso tempo, i produttori di combustibili fossili si trovano ad affrontare una pressione significativa sia da parte dagli investitori che dei governi sulla loro impronta ambientale.

Di conseguenza, si è pesantemente ridotto l’incentivo per i produttori di petrolio a investire in progetti molto costosi e a lungo ciclo, dove la domanda a lungo termine è molto incerta e il sostegno degli investitori è minimo.

Focus sulla decarbonizzazione, non sull’aumento della produzione

I produttori di minerali sono ora più concentrati sulla riduzione delle proprie impronte di carbonio che sull’aumento dell’offerta. Una parte crescente dei fondi per gli investimenti è destinata non all’incremento della produzione di metalli critici, ma alla decarbonizzazione delle attuali catene di approvvigionamento per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi.

L’importanza dell’influenza governativa non dovrebbe essere sottovalutata. L’impegno del Governo cinese verso obiettivi climatici sta avendo un impatto molto forte sulla domanda di “combustibili ponte” più puliti come il gas naturale, oltre a limitare fortemente gli investimenti in aree come la fusione dell’alluminio.

Ci sono anche effetti indiretti di cui tenere conto. Mentre i prezzi alti del gas naturale e del GNL in Europa e Asia non hanno quasi alcun impatto diretto sui rendimenti degli indici delle materie prime, i prezzi molto alti dei fertilizzanti che vengono da essi prodotti possono far aumentare, a livello globale, i costi di produzione di varie materie prime agricole.

Le solite regole non si applicano più

Il risultato finale di questo drastico cambiamento è che stato interrotto il normale ciclo di prezzi più alti che portano ad un aumento degli investimenti e, in futuro, della produzione.

Gli attuali prezzi del petrolio, , avrebbero in passato innescato un aumento degli investimenti. Nel 2022, la domanda di petrolio supererà probabilmente i livelli pre-pandemici. Tuttavia, le spese in conto capitale nel settore non stanno crescendo e, inoltre, l’OPEC fatica a raggiungere le sue attuali quote produttive, fattore che dovrebbe far salire ulteriormente i prezzi.

Questa mancanza di investimenti genera un disallineamento tra domanda e offerta. Quando la domanda rimane alta, ma l’offerta è limitata, il risultato è un aumento dei prezzi. Questo tema sarà ricorrente, nel corso del 2022, in tutti i mercati delle materie prime.