Multi Asset, prospettive per governare l’incertezza

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Nel solo mese di marzo, la Federal Reserve (Fed), la Banca Centrale Europea (BCE) e la Banca d’Inghilterra hanno aumentato i tassi rispettivamente di 25 bps, 50 bps e 25 bps, appellandosi alla fiducia nel quadro di vigilanza post 2008 per affrontare i rischi bancari sistemici e concentrandosi sull’inflazione. Sullo sfondo, le prospettive di crescita hanno continuato a migliorare gradualmente.

La nostra attenzione per i titoli azionari rimane rivolta agli Stati Uniti, ai mercati emergenti e alla Cina. Gli Stati Uniti per i titoli tecnologici, la qualità del management, la liquidità e le caratteristiche difensive. E i mercati emergenti e la Cina per la loro capacità a lungo termine di affermarsi in un contesto economico di bassa crescita che, secondo le nostre previsioni, caratterizzerà i prossimi anni e decenni.

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Nel momento in cui stiamo scrivendo, le implicazioni delle difficoltà bancarie di marzo e la relativa risposta non si sono ancora manifestate. Una maggiore vigilanza, un aumento del costo del capitale per le istituzioni finanziarie e un inasprimento degli standard di prestito nell’economia reale sono ipotesi ragionevoli da fare al riguardo.

In ogni caso, sembra improbabile che le principali banche centrali invertano gli attuali cicli di inasprimento della politica monetaria per far fronte a singoli casi di banche mal gestite. Ciò equivarrebbe ad ammettere l’inutilità della politica monetaria stessa nell’affrontare l’inflazione e spiegherebbe perché, come accennato, la BCE in particolare ha aumentato i tassi di 50 punti base anche quando la crisi è esplosa a metà marzo, fiduciosa della sua capacità di affrontare separatamente e simultaneamente sia il sistema finanziario che l’inflazione. Quindi, a meno che non si verifichi un grave evento di contagio, il problema principale per gli Stati Uniti e quindi, in una certa misura, per l’economia globale, rimane il trend dell’inflazione e la relativa risposta al livello di tassi d’interesse per il resto dell’anno e oltre.

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A nostro avviso, la disinflazione è ben avviata negli Stati Uniti, ma notiamo che la Fed rimane istituzionalmente traumatizzata da casi passati di sottovalutazione, non ultimo quello del 1980. Nella primavera di quell’anno, l’inflazione scese da livelli elevati e la banca centrale tagliò con impazienza i tassi di interesse, per poi doverli inasprire nuovamente e tardivamente a causa dell’inaspettata impennata dei prezzi. Finché la Fed non dichiarerà sostenibile l’attuale disinflazione e non sarà pronta a concludere l’attuale ciclo di rialzi di politica monetaria, sembra improbabile che i mercati azionari possano compiere un balzo significativo da qui in poi, considerando il vantaggio relativamente modesto in termini di rendimento aggiuntivo degli utili che ora offrono rispetto ai tassi di interesse privi di rischio.

A lungo termine, tuttavia, i tassi più bassi sembrano quasi inevitabili, viste le significative forze della stagnazione secolare che cospirano per mantenere crescita, inflazione e tassi bassi. Queste forze includono, tra l’altro, l’ostinata disuguaglianza, il deterioramento della demografia, la crescente ambivalenza socio-politica nei confronti dell’impresa privata e, naturalmente, il cambiamento climatico. A nostro avviso, il modo migliore per conciliare queste prospettive a lungo termine con la necessità di affrontare le incertezze a breve termine, come i problemi bancari, le traiettorie poco chiare dei tassi d’interesse e persino le turbolenze geopolitiche, è quello di un’allocazione strutturale a titoli azionari diversificati con una strategia di conservazione del capitale comprovata e concreta. La nostra sensazione è che questa combinazione sarà messa a breve nuovamente alla prova.