Le donne e il lavoro: la crescita economica

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Le donne e il lavoro — 

La Banca d’Italia ha organizzato un interessante  momento di approfondimento su donne, lavoro e crescita economica.  Quali sono le principali evidenze ?

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Nel 2012 in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro era pari al 53,2 per cento, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile; nei dieci anni successivi il tasso di attività femminile è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, il 57,3 per cento. Questa tendenza positiva va inquadrata nel complessivo miglioramento della qualità del capitale umano. Già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56 per cento dei laureati ogni anno.

Nel 2022 le laureate in discipline scientifiche e tecnologiche sono state circa il 20 per cento in più rispetto al 2012. Un ulteriore tangibile risultato positivo riguarda la presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate, pari a circa il 43 per cento nel 2022 a fronte del 7,4 per cento nel 2011: tale aumento è principalmente attribuibile all’attuazione della legge Golfo-Mosca.

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Il confronto europeo

Nonostante queste tendenze positive i progressi registrati durante lo scorso decennio sono del tutto insufficienti: il tasso di partecipazione femminile si colloca ancora su un livello particolarmente basso nel confronto europeo, inferiore di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media UE. È ancora al di sotto di quel 60 per cento che era stato indicato come obiettivo da raggiungere entro il 2010 dall’Agenda di Lisbona e dei traguardi impliciti nell’Agenda Europa 2020 che avrebbero comportato per l’Italia un sostanziale allineamento della partecipazione femminile alla media europea.

Altri Paesi, come ad esempio la Spagna, che negli anni novanta partivano da condizioni simili a quelle dell’Italia, hanno fatto registrare tendenze significativamente migliori. La crescita della partecipazione femminile osservata durante lo scorso decennio è stata trainata dalle donne con almeno 50 anni, anche per effetto delle riforme pensionistiche. Tra le più giovani, di età compresa tra i 25 e i 34 anni – la fase della vita nella quale si terminano gli studi, si inizia a lavorare e si gettano le basi per costruire una famiglia – la partecipazione è rimasta stabile a circa il 66 per cento, anche in questo caso uno dei valori più bassi in Europa. Non ne ha beneficiato la natalità, che nelle economie avanzate tende ad essere positivamente correlata con la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno, a tassi di partecipazione particolarmente bassi per entrambi i generi si associa un divario uomo-donna pari a oltre 25 punti percentuali nel primo trimestre di quest’anno (circa 14 punti nel Centro Nord).

Il divario salariale

Il divario salariale tra uomini e donne si attesta in media intorno al 10 per cento, un livello solo di poco inferiore a quello stimato per il 2012. Le carriere delle donne sono particolarmente lente e discontinue. La maggiore presenza delle donne nelle società quotate non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere. Per imprimere un’accelerazione alla diffusione della presenza femminile anche nei vertici delle banche non quotate, la Banca d’Italia ha modificato le Disposizioni di vigilanza sul governo societario delle banche, sostenendo il valore della diversità. È stata così introdotta una quota minima per il genere meno rappresentato del 33 per cento negli organi di amministrazione e controllo, da attuare con la necessaria gradualità a seconda delle dimensioni delle banche.

La Banca d’Italia stima poi quella che nella letteratura viene definita la child penalty, cioè la penalizzazione nel mercato del lavoro subita dalle donne in seguito alla nascita del primo figlio.

Nonostante questa si sia ridotta negli ultimi decenni, la probabilità per le donne italiane di non avere più un impiego nei due anni successivi alla maternità è quasi doppia rispetto alle donne senza figli; questa differenza, benché si attenui nel tempo, è rintracciabile almeno fino a 15 anni dalla nascita del primogenito. A causa di questi ritardi, verso la fine della carriera lavorativa, le donne che appartengono al decimo superiore della distribuzione salariale guadagnano in media il 30 per cento in meno rispetto agli uomini che si trovano nell’ultimo decimo. Questa disparità riflette anche il fatto che le donne hanno difficoltà a raggiungere posizioni di vertice all’interno delle aziende, e spesso lavorano in settori che offrono compensi mediamente più bassi.

Di conseguenza, anche i redditi pensionistici delle donne risultano significativamente inferiori.