Ocse, employment Outlook 2023: i salari reali continuano a calare

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L’Ocse ha pubblicato l’edizione annuale dell’Employment Outlook 2023. Quali sono le principali evidenze e quali sono le specificità italiane? La ripresa del mercato del lavoro dopo il COVID 19 è stata forte, ma ha perso slancio tra 2022 e inizio 2023 in un generale contesto di rallentamento economico. Tuttavia, l’occupazione e la disoccupazione hanno tenuto il passo mentre i posti vacanti restano elevati nella maggior parte dei Paesi OCSE, nonostante alcuni segnali di frenata. A maggio 2023, il tasso di disoccupazione OCSE era sceso al 4,8%, un livello che non si vedeva da decenni.

A maggio 2023, il tasso di disoccupazione in Italia è sceso al 7,6%, due punti percentuali in meno rispetto a prima del COVID-19, ma ancora significativamente sopra la media OCSE del 4,8%. Anche l’occupazione totale è aumentata nell’ultimo anno, con un incremento dell’1,7% a maggio 2023 rispetto a maggio 2022. Tuttavia, il tasso di occupazione italiano rimane ben al di sotto della media OCSE (61% contro 69,9% nel 1° trimestre 2023).

Secondo le proiezioni OCSE, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell’occupazione totale inferiore all’1% sia nel 2023 che nel 2024.
Le politiche attive del mercato del lavoro sono un pilastro fondamentale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Se l’obiettivo iniziale di numero di persone in cerca di lavoro da prendere in carico è stato raggiunto, è ora essenziale garantire un sostegno effettivo ed adeguato in tutte le regioni e rafforzare la verifica dei percorsi formativi realizzati.

L’aggressione russa contro l’Ucraina ha contribuito a un’impennata dell’inflazione, che non è stata accompagnata da una corrispondente crescita dei salari nominali. Di conseguenza, i salari reali sono diminuiti praticamente in tutti i Paesi OCSE. In media, nel 1° trimestre 2023 i salari reali erano diminuiti del 3,8% rispetto all’anno precedente nei 34 Paesi OCSE in cui i dati sono disponibili. La perdita di potere d’acquisto ha un impatto più forte sulle famiglie a basso reddito, che hanno una minore capacità di far fronte all’aumento dei prezzi attraverso il risparmio o l’indebitamento.
L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie OCSE. Alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7.5% rispetto al periodo precedente la pandemia. Secondo le proiezioni OCSE, in Italia i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024.

La contrattazione collettiva può contribuire a mitigare la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori e a garantire una più equa distribuzione dei costi dell’inflazione tra imprese e lavoratori, evitando una spirale prezzi-salari. I dati suggeriscono che nei paesi OCSE c’è spazio per i profitti per assorbire aumenti salariali, almeno per i lavoratori a bassa retribuzione. I governi dovrebbero, inoltre, riorientare i sostegni messi in piedi nell’ultimo anno in maniera più mirata sulle famiglie a basso reddito.

In Italia, i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. Si tratta di un calo particolarmente significativo se si considera che, a differenza di altri paesi, la contrattazione collettiva copre, in teoria, tutti i lavoratori dipendenti.

L’indicizzazione dei contratti collettivi alle previsioni Istat dell’inflazione al netto dei beni energetici importati (IPCA-NEI), recentemente riviste significativamente al rialzo, fa pensare che i minimi tabellari potranno recuperare parte del terreno perduto nei prossimi trimestri. Tuttavia, i significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (oltre il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni) rischiano di prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori.

Finora non ci sono elementi che lascino pensare a una riduzione della domanda di lavoro dovuta all’IA. Le professioni altamente qualificate sono potenzialmente quelle più esposte ai recenti progressi dell’IA, ma al momento registrano un aumento dell’occupazione più forte rispetto ai lavori meno qualificati. Tuttavia, l’adozione dell’IA è ancora relativamente limitata e la tecnologia in continua evoluzione, a partire dai recenti progressi della cosidetta IA generativa. Eventuali effetti negativi sull’occupazione potrebbero quindi richiedere ancora tempo per concretizzarsi.
Al momento l’IA sembra integrare, e non sostituire, le competenze delle professioni ad alta specializzazione, teoricamente più esposte ai nuovi sviluppi. Se si considerano tutte le tecnologie di automazione, compresa l’IA, le professioni a più alto rischio di automazione restano, infatti, quelle meno qualificate. Il 30,1% dei lavoratori in Italia è occupato in professioni a più alto rischio di automazione, rispetto a una media OCSE del 27%.