Lo sviluppo sostenibile in Italia si scontra con norme fiscali inadeguate. Sono urgenti le riforme

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Lo sviluppo sostenibile in Italia è un obiettivo chiave per il governo italiano e per la società nel suo complesso. Il concetto di sviluppo sostenibile si basa su tre pilastri fondamentali: l’ambiente, l’economia e il sociale. Tuttavia, non solo in Italia, ci sono sfide da affrontare che richiedono un impegno continuo a livello governativo, aziendale e individuale, che talvolta sembra arenarsi su dettagli secondari.

Fortunatamente l’Italia sta adottando un approccio sempre più orientato all’economia circolare, che mira a ridurre gli sprechi e a promuovere il riutilizzo e il riciclo dei materiali. Il governo italiano sta sostenendo la ricerca e l’innovazione in settori chiave, come l’energia pulita, la tecnologia verde e l’agricoltura sostenibile, ma non tutte le aziende stanno adottando politiche e pratiche sostenibili per ridurre l’impatto ambientale delle loro attività.

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Del resto molti sono gli aspetti fiscali che ancora non aiutano a far decollare il ruolo virtuoso di questo rinnovamento. Facciamo il punto con l’economista Alessia Potecchi particolarmente coinvolta in questa tematica.

Intervista ad Alessia Potecchi

“È necessario costruire una strategia a tutto campo per recuperare risorse aggiuntive per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese, occorre una seria e concreta lotta all’evasione fiscale, all’erosione e alla elusione fiscale. Lo scenario è preoccupante. In Europa c’è una spietata competitività fiscale: alcuni Paesi sono dei veri e propri paradisi fiscali (ad es. Olanda, Irlanda, Austria, Lussemburgo, etc…) altri tra cui l’Italia sono dei veri inferni. È necessaria l’armonizzazione dei sistemi fiscali. È un processo complesso che deve essere attuato certamente con gradualità ma con indicate le tappe ed il traguardo finale. Va intensificato lo scambio delle informazioni tra tutte le banche e bisogna individuare meccanismi precisi per evitare che le grandi multinazionali a partire da quelle del Web lucrino immensi profitti esentasse”.

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Qual’è il ruolo dell’Europa per accelerare le migliorie?

“Sinora l’Europa è stata prodiga di intenzioni e di impegni rigorosi, i risultati concreti sono stati conseguiti solo in modo parziale. Paga meno una grande multinazionale (15%) rispetto all’aliquota del 23% che invece grava sul primo scaglione dei redditi che riguarda i pensionati e i lavoratori precari. In uno scenario europeo nuovo, equo, l’Italia deve risolvere il problema dei rapporti tra lo stato e i cittadini. Occorre aggiornare ed adeguare lo Statuto del contribuente che deve essere applicato in tutte le sue forme”.

Quali sono i passi più urgenti da compiere?

“È necessario stabilire in maniera precisa il principio della non retroattività delle norme ed occorre procedere ad una integrazione tra tutte le banche dati. Una delle parole chiave deve essere la semplificazione del Sistema Tributario, su questo è stato iniziato un lavoro ma ancora molto è da fare. È importante anche intervenire sulla Authority della privacy. Nel 2007 era stato stabilito che tutti potevano avere accesso alla conoscenza delle dichiarazioni dei redditi per ogni contribuente. La pubblicità dei dati era riferita ai dati complessivi (totale delle entrate, tasse pagate, indicazione del lordo e del netto). Questa decisione venne contestata dal garante della Privacy che ne impedì l’attuazione. Decisione singolare di un Paese che ha una mostruosa evasione fiscale”.

Qual’è stata la conseguenza peggiore di questo atteggiamento?

“Questa decisione paradossale ha permesso agli evasori fiscali di occultare le proprie ricchezze. La norma della trasparenza e della conoscenza dei dati fiscali esiste in tutti gli stati. La Svezia, la Francia o gli Stati Uniti sono tra questi. Sono Paesi democratici rispettosi della democrazia e della trasparenza. Non li si può accusare di avere una cultura non democratica o vessatoria”.

Che cosa si dovrebbe fare?

“L’azione di contrasto alla evasione fiscale deve fare molta prevenzione, deve rafforzare le collaborazioni tra lo Stato e le città, tra lo Stato e i comuni e i territori. È necessaria la semplificazione delle norme, l’utilizzo dei sistemi informatici (banche dati, digitalizzazione, tracciabilità delle operazioni finanziarie, etc). I proventi della lotta all’evasione devono essere in gran parte utilizzati per diminuire le tasse verso coloro che sono maggiormente colpiti da sempre dalla troppa pressione fiscale. Così è possibile attuare il principio che è possibile ridurre le tasse se tutti le pagano. Principio sacrosanto”.

Si può sperare in un clima di maggiore collaborazione fra le parti?

“Sì. in un’atmosfera di reciproca collaborazione si potrebbe procedere ad una riforma della tassazione oggi troppo disarticolata e contraddittoria. La tassazione è molto alta, insopportabile ed iniqua sui redditi fissi e sul lavoro. Vanno ridotte le disuguaglianze che favoriscono il lavoro autonomo e la politica finanziaria. La Flat Tax non è la soluzione, aumenta le diseguaglianze e frammenta ulteriormente il nostro sistema fiscale oltre a non spingere all’assunzione del rischio. Il nostro sistema fiscale ha troppi balzelli. Innumerevoli tipi di tasse. Diffuse le disuguaglianze. Violata in più occasioni la progressività. Vessatoria l’articolazione delle addizionali a livelli comunali e regionali. Complicato il ricorso alla giustizia amministrativa. Inadeguata la riscossione dei tributi (sono addirittura 950 i miliardi di euro che la ex Equitalia ha cumulato incapace di riscuoterli).”

I prossimi passi?

“Insomma… sul fisco occorre rimboccarsi le maniche. Si deve senza indugi procedere alla modernizzazione del nostro sistema fiscale. È una battaglia difficile. Necessaria. Non rinviabile. Solo così sarà possibile contare sulla collaborazione dei cittadini, che è indispensabile”.