Diversity Brand Summit 2024, l’inclusione non è più un’opzione per i brand. Il mercato penalizza anche la neutralità

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Dai risultati del Diversity Brand Index 2024, unica ricerca italiana volta a misurare la capacità delle marche di sviluppare con efficacia a livello B2C una cultura orientata alla Diversity, Equity and Inclusion (DE&I), emerge che mai come quest’anno l’inclusione è sempre più determinante come driver di scelta per consumatrici e consumatori nei confronti dei brand.

Ormai 3 persone su 4 scelgono con convinzione aziende che parlano di inclusione (Net Promoter Score – NPS, indicatore del passaparola, pari a 73,6%, +0,8 p.p. rispetto all’anno scorso), 9 su10 non consiglierebbero le marche percepite come non inclusive (-87,5%, -16,3 p.p.) e 6 su 10 non accettano più nemmeno quelle “neutrali” e che non prendono posizione (-63,4%, con una netta diminuzione di 45,4 p.p. rispetto al 2023). Un passaparola che determina un differenziale della crescita dei ricavi a favore dei brand ritenuti più inclusivi rispetto a quelli non inclusivi del +23,4%, il massimo storico dall’inizio della rilevazione nel 2018 (da dove partiva al 16,7%) e che conferma l’esito delle ultime (21% nel 2023, 23% nel 2022).

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Inoltre, continuano a diminuire le aziende che riescono a emergere come Top of Mind su questi temi (minimo storico da inizio rilevazione, 295 citate contro i 356 del 2023, -17%), perché consumatrici e consumatori sono sempre più attentə ed esigenti: infatti più di una persona su 4 è concretamente impegnata sui temi DE&I, in crescita rispetto allo scorso anno, così come si conferma il trend della costante diminuzione delle posizioni più negative.

Tutti i risultati del Diversity Brand Index 2024, ideato e curato da Diversity e Focus MGMT, saranno presentati martedì 13 febbraio 2024 nel corso della settima edizione del Diversity Brand Summit, unico evento in Italia che premia le iniziative aziendali più inclusive, in streaming dalle ore 16.30 su www.diversitybrandsummit.it (previa registrazione). Durante l’evento, che da quest’anno si arricchisce del sottotitolo “Iniziative che cambiano il mondo”, condotto dalla giornalista Silvia Boccardi, patrocinato dal Comune di Milano e dall’Unione Europea e con la partnership di ExtraLab, AccessiWay e Mark Up, verranno illustrati i 10 progetti più meritevoli realizzati dai brand nel 2023, valutati dal Comitato Scientifico e dal Security Check Committee.

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Amazon, Barbie, Fastweb, Ferrovie dello Stato Italiane, H&M, Ikea, PayPal, Sky, Spotify e TIM sono le marche che hanno presentato i progetti che compongono la top 10 del Diversity Brand Index per la loro capacità di lavorare concretamente sulla DE&I, impattando anche sulla percezione di consumatrici e consumatori.

Nel corso dell’evento del 13 febbraio, che vedrà la partecipazione fra gli altri di Elita Schillaci, Aida Diouf Mbengue, Charity Dago e Francesca Coin, saranno assegnati i Diversity Brand Awards a un vincitore assoluto (il brand che si è distinto per il miglior mix tra impegno intersezionale sulla DE&I rivolta al mercato finale, valutato dai Comitati, e percezioni di consumatrici e consumatori, rilevate attraverso la survey) e a un vincitore digitale (il brand che ha utilizzato nel miglior modo la leva del digitale per fare inclusione, incontrando il riconoscimento sia del mercato e che dei Comitati). Inoltre, coerentemente con la rilevanza del tema, sulla base delle valutazioni dei Comitati sarà assegnato il Premio Accessibilità – Design 4 All a Netflix.

Il claim scelto per l’edizione 2024 del Diversity Brand Summit è “Tabula Rasa”, per sottolineare la necessità per le aziende di cambiare l’approccio alla DE&I, riscrivendo dall’inizio il valore dell’inclusione, eliminando ogni bias o pregiudizio originario dal proprio codice o dal proprio algoritmo e ripensando processi, comunicazione, prodotti e servizi, per entrare in sintonia coi mercati e arrivare davvero a tutte le persone.

“Le aziende che vogliono davvero innovare e crescere possono farlo oggi solo cambiando approccio alla DE&I, un elemento ormai imprescindibile per il mercato, come emerge dalle nostre ricerche ogni anno in modo sempre più evidente” dichiara Francesca Vecchioni, Presidente di Fondazione Diversity. “Per pensare e costruire idee nuove, migliori delle precedenti, autentiche e lontane dal rischio di diversity washing, servono la maturità e la consapevolezza di fare Tabula Rasa, ripartendo dal principio per un nuovo inizio, con l’obiettivo di arrivare a un’inclusione reale e concreta, aperta davvero a tutte le categorie. Se non si raccoglie questa sfida non solo non si guida il mercato, ma si rischia addirittura di restarne fuori, considerata ormai la sensibilità e la preparazione di consumatrici e consumatori, che premiano i brand più coraggiosi e virtuosi”.

IL DIVERSITY BRAND INDEX 2024

I risultati del Diversity Brand Index 2024 partono da una survey web alla quale nel corso del 2023 ha risposto un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana composto da 1.070 rispondenti, confermando in modo ancora più marcato il legame tra inclusione, NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) e crescita dei ricavi.

Quest’anno si allarga infatti la forbice dell’NPS (l’indicatore che misura il potenziale del brand in termini di passaparola) fra aziende percepite come inclusive, per le quali l’indicatore aumenta raggiungendo il +73,6%, (+0,8 p.p.), e quelle percepite lontane da questi temi, per le quali l’NPS peggiora ulteriormente, con un crollo al -87,5% (-16,3 p.p.). Questo porta il differenziale della crescita dei ricavi fra le due tipologie di aziende al suo massimo storico: 23,4% (+2,4 p.p. rispetto al 2023), naturalmente a favore di quelle percepite come maggiormente inclusive.

Il mercato è sempre più selettivo e capace di giudicare la bontà dei brand in termini di inclusione, al punto che le aziende che riescono a emergere su questi temi sono sempre meno: il campione della survey ha infatti citato un numero di brand decisamente inferiore rispetto al 2023 (295 contro i 356 del 2023, -17%), il più basso da inizio rilevazione, dopo il picco toccato nel 2020. Inoltre, se da un lato cresce fino al 73,6% (+0,8 p.p.) il Net Promoter Score per le marche percepite come più inclusive, dall’altro nessunə consiglierebbe aziende percepite come non inclusive, mentre 6 persone su 10 non sono favorevoli nemmeno verso quelle neutrali e che non prendono posizioni sul tema (NPS a -63,4%, con una netta diminuzione di 45,4 p.p. rispetto al 2023).

Tutto questo a conferma di quanto le pratiche inclusive sui temi di genere, etnia, LGBT+, età, status socio-economico, disabilità, religione e credo e aspetto fisico (le 8 aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattino positivamente sulle aziende sia in termini di reputazione e di fiducia da parte del mercato che in termini economici, grazie a un passaparola positivo e impattante che può trainare i ricavi.

Cambia ancora il profilo delle consumatrici e dei consumatori, anche se per la prima volta da quando viene effettuata la ricerca non vede l’ingresso di nuovi cluster: cresce il numero di persone complessivamente più propense nei confronti dei brand percepiti come inclusivi, arrivando al 73,3% (+4 p.p. rispetto all’anno precedente), mentre continua ad attenuarsi la forma di negatività con la costante diminuzione nelle posizioni più estreme delle persone Arrabbiate 2.0, l’unica categoria realmente negativa nei confronti della DE&I, ora al 13,9% (-4,8 p.p). Al punto che questo cluster scende dalla seconda alla terza posizione, superato da quello delle/dei Coinvoltə, che salgono al 15,2% (+1,5 p.p.); si riconferma invece il più numeroso quello delle/degli Impegnatə, con il 28,4% (+0,7 p.p.). Stabili invece il gruppo delle persone Consapevoli, all’8,8%, superato dalle/dagli Inconsapevoli, al 9,7% (+1,2 p.p.), coloro che non hanno ancora nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con la diversità, ma propensi comunque verso la collettività e interessati alle tematiche di sostenibilità ambientale; aumentano i Tribali, persone tendenti all’individualismo e attente ai temi della DE&I, soprattutto LGBT+ solo se coinvolgono il proprio nucleo familiare, ora all’11,2% (+0,6 p.p.), così come le/gli Indifferenti, al 12,8% (+0,7 p.p.), persone estremamente individualiste, disinteressate all’argomento DE&I e poco vicine ai temi della sostenibilità sociale e ambientale, unica categoria non propensa spontaneamente all’inclusione insieme agli Arrabbiatə2.0.

Sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi, i due comparti più rappresentati confermano le loro percentuali rispetto all’edizione precedente. Il Retail resta il segmento più ampio (stabile al 24% complessivo), mentre si arresta la progressione delle marche dell’Apparel & Luxury goods (stabili al 22%, partendo dal 6% di 4 anni fa); salgono sul podio le aziende legate all’Healthcare & Wellbeing con il 10% (+2 p.p.), seguite dall’Information Technology (8% complessivo, +2 p.p.); crescita marcata per Telco e Toys (entrambe segnano un +4 p.p., 6% complessivo), più moderata per Consumer Services (+2 p.p., attestandosi al 6%). Segno meno invece per i settori Media (al 6%, -4 p.p.), Consumer Electronics al 2% complessivo, -6 p.p.), FMCG (beni di largo consumo, al 6%, -2 p.p.), Utility (al 2%, -2 p.p.). Stabile il settore Automotive (2%), che aveva fatto il suo ingresso l’anno scorso.

Si confermano generalmente i valori relativamente a familiarità, coinvolgimento e contatto con le singole forme di diversità, con scostamenti minimi. Aumenta leggermente il contatto con tutte le tematiche della diversità (tranne che per genere ed età che restano stabili rispetto al 2023) ma resta limitato il coinvolgimento attivo, in leggerissima decrescita rispetto alla rilevazione precedente (tranne che per l’aspetto fisico, unico valore in crescita, e per religione o credo che resta invariato). Cresce la familiarità verso il genere e l’aspetto fisico, pressoché stabile verso l’orientamento sessuale o di genere e la disabilità, in leggero calo nelle altre 4 dimensioni della diversità. L’aspetto fisico, dimensione aggiunta nella precedente edizione, è quindi complessivamente l’unico valore che sta lentamente crescendo in tutti i livelli di percezione e sensibilità.

Analizzando la profilazione dei due gruppi più estremi, le/gli Impegnatə sono composti soprattutto da persone nella fascia d’età compresa fra i 35 e i 44 anni (28,1%), in maggioranza da uomini (54,8%) e con una provenienza per il 40,4% dal Sud Italia e il 40,3% dal Nord. Questo gruppo utilizza in maniera intensiva Facebook, raggiungendo il valore massimo del campione: il 71% di questo cluster lo utilizza più volte al giorno (con un 28% almeno una volta all’ora). Tra le persone Arrabbiate 2.0 prevalgono gli uomini (61%) del Nord (42% vs 38 Sud) fra i 35 e i 44 anni (26%), così come sono maggiormente presenti al Nord quelle Indifferenti, con una leggera prevalenza delle donne (52%) fra i 45 e i 54 anni (31%).

La necessità di cambiare approccio alla DE&I e farlo evolvere nasce anche dal mix delle iniziative candidate dai brand. Il trend positivo tracciato negli anni che aveva visto una maggiore capacità dei brand di sviluppare iniziative ad hoc per il mercato finale, sempre con coerenza rispetto alle attività interne, quest’anno si è arrestato. Le iniziative pensate per l’esterno l’anno scorso rappresentavano il 90% delle attività candidate, quest’anno il 73%, dato che ci riporta indietro di 3 anni. Cresce quindi la parte di iniziative HR che hanno avuto una visibilità esterna, trainata soprattutto dalla componente della formazione.
La formazione interna, le pratiche inclusive di HR e le policy crescono ed erodono quota alle iniziative rivolte a consumatrici e consumatori. Calano sensibilmente le attività di Education B2C (-13 p.p., dal 31% al 18%). Sempre guardando alle iniziative realizzate per il mercato finale, si riducono leggermente le attività di Marketing & Communication (-2 p.p.) e Local Engagement (-2 p.p.). Aumenta di un solo punto percentuale la penetrazione delle attività di Supplier Diversity, dimensione ancora sottovalutata da molte aziende per la quale diminuisce sorprendentemente la conoscenza (-9 p.p. rispetto alla precedente rilevazione). Torna a crescere la componente della User Experience, ridimensionatasi nel periodo pandemico, passando dal 7% all’11%, ribadendo il suo ruolo cruciale nello sviluppare una cultura inclusiva a livello B2C.

“Diminuisce ulteriormente il numero di brand associati dal mercato finale al concetto di inclusione. Essere Top of Mind è una sfida importante per le marche, dimostrando come alcuni paradigmi vadano ripensati. Fare Tabula Rasa è necessario per innovare l’approccio dei brand all’inclusione a livello B2C” spiega Emanuele Acconciamessa, Chief Operating Officer di Focus MGMT. “Consumatrici e consumatori palesano livelli di attenzione assoluta ai messaggi ricevuti dalle marche. Ricercano, analizzano, valutano, scelgono e condividono la propria esperienza e la propria opinione. Cresce la propensione al passaparola positivo per i brand più inclusivi che non incontrano detractor. Al contrario i brand ritenuti poco inclusivi non possono contare su promoter, vivendo di sole persone detrattrici. Un dato cruciale quest’anno fa riferimento ai brand “neutrali”: molto spesso alcune marche hanno deciso di non scegliere, pensando che non parlare di diversità ed inclusione fosse una buona tattica per conservare la propria posizione sul mercato. Oggi questo non è più possibile: il mercato non lo accetterebbe ed è per questa ragione che fare Tabula Rasa potrebbe aiutare. 6 persone su 10 non consigliano i brand considerati come né inclusivi né non inclusivi. Non scegliere è sempre una scelta”.

“Continua a crescere il numero di iniziative candidate dalle aziende” afferma Sandro Castaldo, Presidente del Comitato Scientifico, Professore Ordinario presso Università Commerciale Luigi Bocconi e Founding Partner di Focus MGMT. “Utilizzando la stessa categorizzazione delle iniziative codificata lo scorso anno, abbiamo rilevato tendenze interessanti nelle nostre 5 categorie di riferimento, talvolta un po’ allarmanti. A livello generale, la crescita delle iniziative nate per la popolazione aziendale e utilizzate anche esternamente ci ha colpitə. Le aziende nell’ultimo anno, a livello complessivo, hanno mostrato minore consistenza sulla DE&I a livello B2C. Hanno cercato in alcuni casi di minimizzare lo sforzo, mutuando attività interne per comunicare alla clientela finale. Questa scelta non è stata premiante. I numeri del Top of Mind lo dimostrano. La riduzione del peso di Marketing & Communication, Local Engagement e Education B2C ha generato un minore riscontro a livello consumer. Laddove le iniziative non sono impattanti e costruite ad hoc per il mercato finale, le percezioni di consumatrici e consumatori non vengono impattate. Per questo fare Tabula Rasa può aiutare. La Supplier Diversity continua ad essere sottoutilizzata, seppure in leggera crescita, anche a causa di una minore awareness. Sul fronte esterno c’è un dato che finalmente torna a crescere, palesando una prospettiva interessante per il futuro: le iniziative di User Experience diversity oriented crescono di 4 punti percentuali nel mix delle iniziative candidate e valutate dai Comitati. I brand che hanno lavorato in questa direzione hanno assunto un posizionamento inclusivo solido nella mente di consumatrici e consumatori”.

La TOP 10 dei progetti è il risultato finale del meticoloso percorso di ricerca Diversity Brand Index 2024, condotto da gennaio a dicembre 2023, che parte da una mappatura continua di tutte le iniziative/attività realizzate dai brand (desk analysis). Sistematizzando le preferenze e le percezioni espresse da consumatrici e consumatori tramite la survey web è stato possibile identificare le marche percepite come più inclusive alle quali è stato richiesto di candidare le iniziative/attività realizzate nel 2023 sulla DE&I in una prospettiva B2C. Tali iniziative sono state valutate da un Comitato Scientifico, composto da Professoresse e Professori Universitari espertə sulle tematiche del branding, del trust e del marketing, e da un Security Check Committee, formato da espertə delle specifiche forme di diversità.

I brand emersi dal Diversity Brand Index che sono entrati nella Top 10 con i loro progetti possono richiedere e utilizzare nelle proprie attività di comunicazione il marchio di certificazione rilasciato da Diversity e Focus MGMT che ne attesta l’inserimento tra le migliori aziende in termini di impegno sulla DE&I e capacità di comunicarlo al mercato finale.