Inglese per negati: il (bassissimo) livello minimo necessario per lavorare in Europa e come ottenerlo

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L’Italia soffre di un gap linguistico significativo rispetto ad altri paesi europei, piazzandosi al 26° posto su 35 per competenze in inglese. Questo deficit non solo impedisce a professionisti italiani di competere efficacemente nel mercato del lavoro europeo ma limita anche la capacità delle aziende di espandersi e interagire a livello internazionale. Tale situazione, paradossalmente, si può trasformare in un vantaggio per alcuni.

Il problema degli italiani che competono in un mercato di lingua inglese

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Secondo un’analisi di Truenumbers, solo il 19,7% dei giovani italiani diplomati parla inglese a un livello paragonabile a un B2. Questo scenario nasce da un inizio tardivo dell’apprendimento linguistico nelle scuole e dalla mancanza di esposizione a media in lingua originale. Il risultato? Una popolazione che, seppur tecnicamente preparata, si trova psicologicamente e praticamente disarmata di fronte alla necessità di usare l’inglese nel contesto lavorativo.

L’indice di competenza linguistica, misurato su una scala massima di 700 punti, vede l’Italia fermarsi a quota 535, significativamente inferiore rispetto ai leader europei come i Paesi Bassi (663), Austria (641) e Danimarca (636). Il vero danno si presenta però quando lavoratori e imprese si affacciano in un contesto di competizione internazionale, dove la barriera linguistica si trasforma in un muro invalicabile che non permette di dar sfoggio di alcuna eccellenza, anche se effettivamente posseduta.

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Trasformare lo svantaggio in vantaggio competitivo

Chi possiede tale competenza (che tutto sommato rimane una delle lingue più facili da apprendere) emerge quasi automaticamente in una posizione di vantaggio nel mercato del lavoro, sia in Italia, ma soprattutto all’estero. Questa “élite linguistica” gode di minore concorrenza per opportunità in ambiti professionali dove l’inglese è imprescindibile, amplificando le proprie prospettive di carriera e potenziale di guadagno. In sostanza, la capacità di comunicare efficacemente in inglese non solo apre porte in contesti internazionali, ma posiziona chiaramente chi la detiene tra le figure più competitive e ricercate nel panorama professionale italiano, dove l’inglese rimane quasi un tabù.

Soluzione pratica: un “inglese per negati”
Di fronte a queste sfide (o sarebbe meglio dire “opportunità”), una soluzione inaspettata arriva dalle neuroscienze. Un gruppo di ricercatori italiani e coach indipendenti ha coniato il concetto di “inglese per negati”, ovvero una modalità di apprendimento e utilizzo della lingua inglese di livello basilare e incentrata esclusivamente sui reali contesti lavorativi di chi la deve utilizzare. Qui un esempio di come si possa iniziare a parlare in inglese in appena quattro settimane: https://www.inglesepernegati.com/parla-inglese

Lo studio scolastico della grammatica non solo è bandito, ma è addirittura identificato come il motivo cardine per il vergognoso posizionamento del Belpaese nella classifica di competenza in inglese.

Il programma, basato su un percorso di tre mesi, intreccia l’apprendimento della lingua con l’attività lavorativa quotidiana. Attraverso un training-on-job, i partecipanti imparano esattamente i termini e le espressioni necessarie per il loro settore specifico senza mai smettere di lavorare, guidati da tutor specializzati.

Impatto nel mercato del lavorativo
Un simile approccio non mira solo a un apprendimento linguistico di base; si propone come strumento di empowerment per aziende e lavoratori italiani, permettendo di superare i blocchi mentali e le insicurezze create da anni di educazione linguistica inadeguata. Con il progressivo internazionalizzarsi delle imprese, questo tipo di formazione diventa essenziale per chi vuole rimanere competitivo nel mercato globale, dove la capacità di comunicare in un “inglese per negati” è spesso il minimo sindacale richiesto.