La riforma del Codice appalti. Contratti pubblici: intervista a Giovanni Savoia

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Da circa un anno abbiamo un nuovo Codice (D.Lgs. 36/2023) che ha sostituito il precedente del 2016. Tutta la disciplina in materia di appalti, dalla Legge Merloni degli anni ’90 sino a oggi, è di derivazione europea.

Il Codice appalti

Quella del Codice appalti è una delle grandi riforme strutturali cui l’Italia si è impegnata in sede di PNRR, come la giustizia o la concorrenza. Tuttavia, già prima dell’emergenza Covid con il Decreto sblocca cantieri del 2019, ma soprattutto dopo con il Decreto Semplificazioni del 2020 e il Decreto PNRR del 2021, si erano introdotte numerose norme volte a semplificare la materia dei contratti pubblici.

L’importanza strategica di questo settore è evidente: nel 2023 il valore complessivo degli appalti di importo pari o superiore a 40.000 euro si è attestato attorno ai 283,4 miliardi di euro (Relazione annuale ANAC). Gli appalti pubblici rappresentano negli ultimi anni tra il 10 e il 15% del PIL italiano.

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Perché l’esigenza di una riforma?

Perché il Codice del 2016 nasceva in un’ottica fortemente anticorruttiva: la gara era vista come terreno d’elezione per comportamenti illeciti e, pertanto, tutta la normazione era stata improntata a rafforzare limiti e controlli, a scapito però della celerità e del risultato. Ruolo centrale era stato assegnato all’ANAC, titolare anche del potere di c.d. soft law. Per l’attuazione del PNRR, tuttavia, il vecchio Codice non poteva essere sufficiente.

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Il nuovo Codice cambia paradigma, ponendo al centro tre principi fondamentali: risultato (“costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”), fiducia (“reciproca nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione”) e accesso al mercato (concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità e trasparenza, proporzionalità).

Intervista a Giovanni Savoia, Legal counsel presso A2A

Oltre a risultato, fiducia e accesso al mercato, quali sono gli altri pilastri essenziali del nuovo Codice degli appalti?
“Secondo la mia personale opinione il principio di conservazione dell’equilibrio economico del contratto (dopo i travolgimenti dell’epoca post-Covid e le due guerre), la digitalizzazione dei contratti pubblici e la qualificazione delle stazioni appaltanti”.

Può darci qualche dettaglio in più?

“Sì, sfatiamo alcuni consolidati miti. Partiamo dalla lunghezza delle gare: il Codice detta tempi massimi precisi per ogni tipologia di procedura (es. la procedura aperta deve chiudersi entro 9 mesi). Il superamento dei termini costituisce silenzio inadempimento e rileva anche al fine della verifica del rispetto del dovere di buona fede. Insomma, non sono lunghe le gare; può essere lunga l’esecuzione se l’assetto iniziale è sbilanciato o comunque poco chiaro”.

Spesso si legge sui giornali che i ricorsi al TAR rallentano l’esecuzione delle opere pubbliche, è vero?

” Nel 2023 la durata media di un giudizio in materia di appalti è stata di 107 giorni in primo grado e 148 giorni in appello, con una riduzione ulteriore rispetto all’anno precedente (dalla Relazione del Pres. Cons. Stato di inaugurazione anno giudiziario 2024). In media tra TAR e CDS, i ricorsi in materia di appalti depositati nel 2023 ammontano al 6% del totale dei ricorsi presentati davanti al Giudice amministrativo (per es. quelli in materia di edilizia ammontano al 12,3%)”.

Un altro pregiudizio da sfatare?

“C’è una ritrosia tutta italiana verso l’istituto del subappalto. Il nuovo Codice ha sdoganato il subappalto a cascata, superando un vecchio divieto estremamente rigido, per adeguarsi ai richiami della Commissione UE. Ciò però non significa riduzione delle garanzie. Il problema non sono le norme, ma i comportamenti e i controlli, che spesso mancano”.

Come desidera concludere questa intervista?

“I contratti pubblici sono un tema affascinante, straordinariamente rilevante per l’economia nazionale, certamente complesso.  È un settore che, per i riverberi che produce e la responsabilità che richiede, necessita di profonda competenza e formazione continua degli ‘addetti ai lavori’.