Gi Group. Il tema della maternità nel mondo del lavoro. Superare le disparità di genere

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La maternità nel mondo del lavoro — 

Risulta che ancora oggi le domande rivolte a uomini e donne in fase di colloquio siano diverse (per il 60% delle aziende), e la prospettiva di genitorialità sia una di queste (1 donna su 5). In un Paese dove l’occupazione femminile non riesce a sfondare il 50%, come incentivarla partendo proprio da una selezione che sia gender-bias free? E come riconoscere nella maternità un valore aggiunto collettivo sia per l’azienda sia per la società e non un problema da gestire o un costo?

Promuovere l’occupazione femminile con una selezione gender-bias free

Ci sono settori che sperimentano contemporaneamente un grave candidate shortage e un’elevata disparità di genere che favorisce il diffondersi di una cultura “maschile”. Oltre la metà delle lavoratrici ha, infatti, percepito discriminazione nel corso dell’esperienza lavorativa o in fase di selezione. Più del 20% dichiara “mi è stato chiesto se intendessi avere figli”.

Identificare le cause della disparità di genere in settori considerati prevalentemente maschili e le possibili soluzioni da mettere in campo per superare tale problema è stato l’obiettivo dello studio di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group, impegnate nella promozione di un mercato del lavoro sostenibile e quindi inclusivo. 3 i settori indagati: ICT, Logistica/Trasporti e Meccanica/Automotive.

Le domande rivolte a uomini e donne in un colloquio sono diverse?

Sì. Ad ammetterlo oltre il 60%[1] delle aziende intervistate nello studio di Gi Group Holding promosso con Fondazione Gi Group “Women4: superare le disparità di genere per un futuro del lavoro sostenibile”. Uno dei quesiti maggiormente “riservati” alle donne? Quello riguardante le “prospettive di genitorialità”, riportato da oltre 1 donna intervistata su 5, nonostante il nostro ordinamento vieti espressamente di indagare questo aspetto durante i colloqui di selezione

Queste le domande maggiormente indicate dalle aziende come riservate alle donne nei tre settori:

Il dato raccolto ci ha particolarmente colpiti. La diffusione di questa prassi lascia intuire come ancora oggi molte aziende, almeno fra quelle rispondenti ma temo non solo fra loro, non utilizzino, o non siano a conoscenza, di pratiche e tecniche di selezione gender-bias free per ridurre l’impatto degli stereotipi di genere in fase di selezione – commenta Rossella Riccò, Responsabile Centro Studi ODM Consulting – Fra le barriere all’occupazione delle donne la maternità (effettiva o desiderata) emerge come una delle criticità principali. Questa viene ancora oggi vista da molte imprese come un costo “aggiunto” ed è accompagnata dal timore di una “minor produttività” o di abbandono dell’attività lavorativa da parte delle neo mamme. Lo evidenziano anche i dati Istat: in Italia le donne madri sono soggette ad un evidente “svantaggio occupazionale”, soprattutto se in presenza di figli in età prescolare. Il tasso di occupazione delle donne che hanno tra i 25 e i 49 anni passa dal 71,9% per le donne senza figli al 53,4% per quelle che hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni”.

Le possibili soluzioni da implementare

Lo studio di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group propone quindi delle misure che persone, organizzazioni e istituzioni possono mettere in atto per superare le disparità di genere e rendere più la realtà lavorativa più inclusiva ed equa. Ad esempio, con riferimento ai processi di selezione, le aziendepossono:

  • Formare recruiter e selezionatori sull’impatto dei bias di genere su tali processi e sulle tecniche adottabili per ridurne l’effetto;
  • Adottare processi di recruitment e selezione basati su criteri misurabili, trasparenti ed equi;
  • Creare job description e relativi annunci ponendo attenzione alla loro formulazione, ad esempio non includere pronomi, ma utilizzare espressioni come “il/la candidato/a ideale” e specificare sempre che ci si rivolge ad entrambi i sessi;
  • Pubblicare gli annunci sulle piattaforme online o i canali digitali e condividere gli annunci con associazioni o gruppi locali di donne;
  • Definire quote di genere sia per le short-list delle candidature, sia per la selezione di nuove figure, soprattutto in ruoli/mansioni ad alto tasso di gender-gap[2];
  • Analizzare e rimuovere l’influenza dei bias di genere (e intersezionali) nella programmazione dei sistemi di intelligenza artificiale (IA) o nelle Learning Machine applicate allo screening dei CV o alle selezioni online;
  • Svolgere la fase di selezione dei CV per la creazione delle short-list dei candidati con modalità blind, in cui tutti gli indicatori personali (nome, genere, età, esperienza di lavoro, background educativo…) vengono rimossi in modo da scegliere i candidati solo in base alle skill;
  • Utilizzare un elenco di domande standardizzate uguali per tutti i candidati e le candidate per la posizione aperta e proposte nello stesso ordine, così da assicurare che ogni candidato/a abbia la stessa opportunità di esporre le proprie qualifiche indipendentemente dal genere;
  • Stipulare accordi con le APL e i Centri per l’Impiego (CPI) impegnati in progetti di riqualificazione o di re-inserimento al lavoro di donne disoccupate o inoccupate;
  • Stipulare accordi di partenariato per l’attivazione di tirocini o stage formativi con scuole, Università, enti di formazione del territorio e partecipazione ai career day.

L’elevata disoccupazione femminile non ha origine nel divario di competenze uomo-donna[3], ma è dovuta a fenomeni socio-culturali sedimentati nella società che risultano ancor oggi difficili da eliminare. Questo è il momento chiave per scegliere le persone migliori e più adatte al ruolo ricercato dall’azienda, in base alle attitudini, competenze ed esperienze pregresse. Inoltre, è anche un’occasione per l’azienda di comunicare verso l’esterno i propri valori e la propria cultura. I processi di recruitment e selezione sono di conseguenza fasi molto critiche, che vanno gestite assicurando inclusività e meritocrazia. Sono cruciali per la capacità di attrarre talenti in un contesto di elevato candidate shortage e di comunicare verso l’esterno i valori e la cultura aziendali. 

Per questo, consapevoli del ruolo sociale che ha il lavoro e che di conseguenza abbiamo noi occupandoci di lavoro, nel 2021 abbiamo lanciato Women4. Il progetto si rivolge alle donne e, inserendosi nel perimetro del nostro impegno per il Lavoro Sostenibile, vuole eliminare i fattori che scoraggiano od ostacolano il loro ingresso e la loro crescita nel mondo del lavoro. Questo studio si inserisce in questo perimetro, perché riteniamo fondamentale adottare anche un approccio analitico al fenomeno per poi poter proporre soluzioni pratiche virtuose” conclude Francesco Baroni, Country Manager di Gi Group Holding Italia.

Gi Group Holding è la prima multinazionale italiana del lavoro e una tra le principali realtà che offrono servizi e consulenza HR a livello globale. Contribuendo da protagonista all’evoluzione del mondo del lavoro, Gi Group Holding supporta lo sviluppo del mercato del lavoro creando valore sociale ed economico sostenibile. Il Gruppo è attivo nel Temporary, Permanent e Professional Staffing, Ricerca e Selezione, Executive Selection, Outsourcing, Formazione, Consulenza HR, Transizione e Sviluppo di Carriera.

L’azienda impiega oltre 6.700 dipendenti e, grazie alla sua presenza diretta e alle partnership strategiche, è attiva in più di 100 nazioni in Europa, APAC, Americhe e Africa. Fornisce servizi a oltre 20.000 aziende clienti e con un fatturato di 3,3 miliardi di euro (2021).