Moneyfarm. Fino a che punto la crisi del settore immobiliare cinese ci riguarda?

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• Nell’arco di trent’anni di crescita industriale ed economica dirompente, in Cina le città hanno accolto 700 milioni di nuovi abitanti, quasi il 10% dell’intera popolazione mondiale
• L’eccesso di domanda ha determinato il diffondersi di schemi che consentono alle imprese di costruzione di ottenere credito accollando parte del rischio direttamente ai compratori
• Una particolarità del modello di sviluppo immobiliare cinese è il ruolo dei governi locali, in conflitto di interessi nell’approvazione dei progetti edilizi (la cui tassazione è arrivata a rappresentare il 37% dei loro introiti fiscali) e fautori degli LGFV, veicoli ad alta leva finanziaria
• Il governo ha affrontato indebitamento e leva finanziaria con regolamentazioni più stringenti, che hanno portato a un indebolimento dell’intero settore e al fallimento di Evergrande
• Una contrazione del 20% del real estate potrebbe avere un impatto tra il 5% e il 10% del Pil cinese con conseguenze sull’economia globale e sui prezzi degli asset rischiosi, ma per il momento questa possibilità non spaventa gli economisti, con le attese di crescita globale catturate da Bloomberg in continua risalita da inizio anno
• La Cina ha tutte le risorse per evitare una crisi pesante nel breve termine, anche se sembra pronta a sopportare costi economici e sociali alti per migliorare strutturalmente la situazione nel medio e lungo termine

A cura di Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm

Il fallimento di Evergrande, società di costruzioni salita agli onori della cronaca già alla fine del 2021 a causa della gestione stravagante e degli elevati livelli di debito, ha fatto tremare le fondamenta del mercato immobiliare cinese, già messo a dura prova da un trentennio di urbanizzazione senza precedenti nella storia. Nel corso degli ultimi tre decenni, infatti, la Cina è passata da essere un Paese in via di sviluppo, prevalentemente agricolo, a una delle principali potenze industriali ed economiche del mondo. Sull’onda di questo successo dirompente, tra il 1980 e il 2021 le città cinesi sono state chiamate ad accogliere 700 milioni di nuovi abitanti, quasi il 10% dell’intera popolazione mondiale.

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Per rispondere a questa enorme domanda di abitazioni, il governo si è impegnato in importanti investimenti infrastrutturali, che hanno portato alla nascita di numerose aziende pubbliche, semi-pubbliche e private, il vero motore del boom immobiliare cinese. L’eccesso di domanda
ha permesso al settore immobiliare di aumentare la leva finanziaria più del dovuto, con schemi che consentono alle imprese di costruzione di ottenere credito accollando parte del rischio direttamente ai compratori. Di norma, agli acquirenti di un immobile viene chiesto di anticipare anche fino al 30% del valore di acquisto ancora prima dell’effettiva costruzione, creando un circolo vizioso dove solo gli anticipi su nuove case consentono di completare gli immobili non ancora completati.
Circolo vizioso aggravato dai governi locali, per i quali la tassazione su vendita e locazione dei terreni è arrivata a rappresentare il 37% del totale degli introiti fiscali nel 2021. Questo ha determinato il sorgere di un conflitto di interessi, per cui gli enti locali sono portati ad approvare un numero sempre maggiore di progetti edilizi, in alcuni casi senza una sufficiente considerazione della domanda. Attraverso veicoli di investimento creati ad hoc, i Local Government Financing Vehicles (LGFV), gli enti locali partecipano alla costruzione direttamente o tramite consorzi con i costruttori, emettendo bond e richiedendo prestiti che danno luogo a un’ulteriore opportunità di leva finanziaria al di fuori dei limiti imposti dal governo centrale.
Così il settore immobiliare è arrivato, direttamente e indirettamente, a pesare circa il 30% dell’intera economia cinese
(Fonte: National Bureau of Economic Research).

Per dare un’idea: negli Stati Uniti, alle soglie della crisi del 2008, il settore immobiliare pesava poco più del 16%. Un settore immobiliare di queste dimensioni crea un pericoloso circolo vizioso alimentato dal debito. Ha bisogno di un’economia in crescita per sostenere il suo debito, ma a sua volta l’economia ha bisogno di un settore immobiliare in espansione per crescere.
Purtroppo, in Cina, negli ultimi anni, la congiuntura economica negativa e il naturale rallentamento del processo di urbanizzazione, uniti a misure anti-Covid più severe e prolungate rispetto all’Occidente, hanno portato le banche a ridurre l’offerta di mutui per far fronte a regole sui prestiti più stringenti e il settore delle costruzioni a procedere a rilento, innescando proteste e boicottaggi dei pagamenti dei mutui. La regolamentazione più severa messa in atto per affrontare il problema dell’indebitamento e della leva finanziaria nell’economia cinese (si pensi per esempio alla normativa delle “3 linee rosse” che stabilisce stringenti limiti patrimoniali per le aziende costruttrici) da una parte ha risolto alcune questioni critiche, ma dall’altra ha determinato il fallimento di Evergrande e ha peggiorato lo stato di salute dei 72 maggiori costruttori cinesi dal 2021 e, in generale, di tutto il settore, in un contesto di mercato sceso dai massimi di qualche anno fa e nel quale a fine aprile c’era addirittura l’equivalente di 4 milioni di case completate ma invendute secondo il Wall Street Journal.

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Gli effetti della crisi immobiliare

Ora che la bolla si sta “sgonfiando”, ci si interroga sui potenziali effetti della crisi immobiliare e su cosa potrebbe succedere se scoppiasse, con le stime più pessimistiche che si aspettano addirittura tra il 5 e il 10% del Pil per una contrazione del 20% del real estate cinese, oltre che alle ovvie conseguenze negative sull’economia globale.
Tuttavia, occorre precisare che i problemi del settore immobiliare cinese non sono una novità e che le misure prese dal governo negli ultimi mesi sono orientate a rafforzare il bilancio delle società costruttrici e ravvivare il mercato, sia sul fronte della domanda che su quello del
credito. Tra le altre cose, Pechino ha tagliato i tassi dei mutui, eliminato la soglia minima dei tassi nelle città dove il prezzo dell’immobiliare è calato, istituito o esteso prestiti per sostenere i progetti conclusi, introdotto sgravi fiscali per gli acquisti di nuove abitazioni e istituito un fondo
di salvataggio da 200 miliardi di yuan per gli sviluppatori e 600 miliardi di yuan di finanziamenti locali.

Come conseguenza di queste misure, le statistiche sulle nuove costruzioni hanno smesso di precipitare, anche se al momento nessuna di queste iniziative sembra sia stata in grado di riportare la fiducia nel settore immobiliare, creando notevoli difficoltà anche a società come Shimao e Country Garden che, pur presentando bilanci più solidi di Evergrande, hanno entrambe mancato dei pagamenti sul debito. Nel complesso, il Guardian ha calcolato che le aziende responsabili per il 40% delle vendite di immobili in Cina hanno riscontrato problemi a onorare i propri debiti dall’introduzione della normativa delle “3 linee rosse”. Secondo Bloomberg, l’ammontare di debito dei gruppi immobiliari a rischio default è addirittura pari al 12% del Pil cinese. Finora il governo di Pechino sembra disposto ad accettare di “sacrificare” alcuni costruttori in nome della transizione verso un’economia meno dipendente dal mattone, ma questa tendenza potrebbe invertirsi qualora la crisi assumesse carattere sistemico.

Cosa ci rassicura?

Prevedere con certezza come il governo cinese agirà non è semplice e questo crea preoccupazione nei mercati. Sembra che i politici cinesi preferiscano concentrarsi sulla realizzazione di miglioramenti strutturali nel mercato immobiliare piuttosto che limitarsi a stanziare più soldi per risolvere il problema. Il Partito Comunista Cinese ha a cuore l’interesse di medio e lungo termine della Cina ma, se la crisi dovesse espandersi, per proteggere questo interesse potrebbero essere prese misure orientate a tamponare la situazione nel breve.
Guardando al passato, ci rassicura il fatto che i politici cinesi hanno avuto un track record piuttosto buono in termini di gestione delle sfide economiche. Ricordiamo pacchetti di stimoli significativi, in particolare dopo la Grande Crisi Finanziaria, spesso incentrati sugli investimenti e sul settore immobiliare. Nonostante lo yuan sia in questo momento sotto pressione, il governo di Pechino ha comunque la possibilità di attingere a enormi risorse (anche inglobando parte del debito) se la crisi dovesse continuare a diffondersi, soprattutto se dovesse colpire il sistema bancario ufficiale.

Guardando proprio al rischio di un possibile contagio del settore bancario e finanziario, l’esposizione di quest’ultimo verso il mercato immobiliare non sembra per il momento ingestibile, anche se esiste sempre il rischio che Pechino stia sottovalutando la profondità della crisi, anche a causa della frammentaria architettura finanziaria nata all’ombra del boom economico. I rischi maggiori sono nascosti nei bilanci non sempre trasparenti dei LGFV e soprattutto nell’immenso sistema bancario ombra, una costellazione di istituzioni finanziarie la cui esposizione al mercato immobiliare resta difficile da quantificare. La notizia che alcuni grandi wealth manager come Zhongrong Trust abbiano mancato il pagamento su alcuni dei propri prodotti è sicuramente rilevante e gli effetti della crisi sul sistema finanziario andranno seguiti con attenzione.

Per il momento, sebbene il numero di LGFV in difficoltà stia aumentando significativamente, la situazione è gestibile, dato che meno di 50 su circa 3000 LGFV stanno avendo problemi. Sicuramente diventa essenziale, soprattutto nel medio termine, che Pechino aumenti l’attività di monitoraggio e controllo su questi enti. La vicenda Lehman insegna che i rischi sono molti alti quando la trasparenza è bassa e il sistema di incentivi premia la presa di rischio e la spregiudicatezza.

La crisi immobiliare cinese mette in luce in modo inequivocabile alcuni limiti dell’economia del Dragone: problemi demografici, scarsa diversificazione, settore immobiliare ipertrofico e inefficienza della governance locale. A pagare sono stati anche gli asset finanziari cinesi, che
storicamente faticano a raccogliere i frutti della crescita economica del Paese, e per questo i portafogli Moneyfarm sono sottopesati sulla Cina, con un massimo del 5% di esposizione nei portafogli più rischiosi. Non escludiamo affatto che questa crisi possa avere un qualche impatto
sulla crescita globale e sui prezzi degli asset rischiosi, soprattutto in Europa. Gli ultimi dati macro a livello europeo hanno sorpreso al ribasso complice certamente la situazione asiatica, e anche gli indici delle tariffe di trasporti da Shanghai sono crollati, anche se rimangono ancora in linea con i livelli pre-Covid.

Nel complesso oggi l’economia globale sembra abbastanza forte da resistere, come dimostrato dal continuo rialzo delle attese di crescita globale media raccolti da Bloomberg (grafico sotto). La Cina ha tutte le risorse per evitare una crisi pesante quantomeno nel breve
termine anche se, in nome di obiettivi di lungo termine, sembra pronta a sopportare un costo, economico e politico che potrebbe pesare sugli asset e sulle attese di crescita cinese e in parte anche globale.

Informazioni su Moneyfarm
Fondata nel 2011 da Paolo Galvani e Giovanni Daprà, Moneyfarm è una società di consulenza finanziaria indipendente con approccio digitale, specializzata in investimenti di medio-lungo termine. Con un team di circa 200 professionisti, Moneyfarm gestisce il patrimonio di oltre 100.000 a un ritmo di crescita che è sempre stato a doppia cifra anno su anno. Grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali, Moneyfarm ha sviluppato un modello innovativo che le permette di fornire un servizio di consulenza indipendente e una Gestione Patrimoniale di prima qualità, semplice,
trasparente e a costi inferiori a quelli offerti dai gestori tradizionali. È regolata dalla Financial Conduct Authority (FCA) e vigilata in Italia da Consob. L’azienda ha come soci principali il gruppo Allianz, Poste Italiane, M&G plc, Cabot Square Capital e United Ventures, ed è oggi una delle aziende innovative più finanziate in Italia con un totale di oltre 166 milioni di euro di finanziamenti ottenuti. La società ha inoltre stretto importanti partnership commerciali con Poste Italiane, Banca Sella e buddybank, la banca per smartphone di Unicredit, che hanno sancito
l’ampliamento del servizio anche al segmento B2B2C. Per ulteriori info si veda www.moneyfarm.com