“Qualcosa ci sta sognando”. Milano: per la Giornata della Memoria, sabato 27 gennaio al Centro Brera, Manuela Gandini

-
- Advertising -
Per la Giornata della Memoria QUALCOSA CI STA SOGNANDO
Un viaggio nella dark zone degli ultimi 100 anni di Manuela Gandini
Sabato 27 Dicembre 2024 ore 18, il Centro Internazionale di Brera presenta un talk performativo di Manuela Gandini, concepito come un’immersione nell’arte e nella vita dell’Europa dal 1929 ad oggi: un viaggio nel tempo tra i falsi dèi del Novecento, gli spettri del Nazismo, la propaganda di regime e le visioni surrealiste. Da un lato la magia nera del potere omologatore e totalitario, dall’altro il misticismo visionario dell’arte.

Il Novecento è una camera oscura

Monaco 1929, Eva Braun si spazzola i capelli sognando di diventare una diva o una grande fotografa. Intanto, a Parigi, Luis Buñuel, nel film “Un Chien Andalou”, affila un rasoio pronto a tagliare l’occhio di una donna aperto sul secolo breve. Il Novecento è una camera oscura dentro la quale sorgono le mura di Auschwitz, il fungo atomico, l’LSD, le solarizzazioni di Man Ray, il ‘68, la pecora Dolly, la morte dei Kennedy e la massificazione della Coca Cola e di Marilyn.
Da un lato, i totalitarismi impongono ordine, propaganda, obbedienza, morte, alimentando la banalità del male. Dall’altro, una danza androgina, nei territori leggeri e densi del Surrealismo, tramuta la tragedia in arte con potenti rituali volti a celebrare la vita al di là del bene e del male. Il racconto dell’amore bruciante, tossico e morboso di Eva Braun per il Führer si vaporizza il giorno del loro suicidio quando l’inviata di guerra Lee Miller, ex compagna di Man Ray, entra nell’appartamento di Hitler con gli anfibi infangati dalla terra di Dachau.
Il Talk QUALCOSA CI STA SOGNANDO prevede un’incursione nella dark zone della nostra storia attraverso gli occhi spenti di figure grigie come Joseph Goebbels con le sue strategie propagandistiche, e di vulcaniche artiste come Lee Miller, Marina Abramovic, Alejandro Jodorowsky, Bo Zheng, Ettore Pasculli, Guy Debord, Romeo Castellucci, Michelangelo Pistoletto, Bartolina Xixa…
S’incroceranno parole, gesti e film, in un percorso rizomatico, imprevedibile e accidentato. Il tutto è concepito come una sorta di rito di purificazione. Ma la domanda incalza: “Ci siamo veramente liberati dai simboli più truci della storia?”

Un Giorno della memoria particolarmente doloroso

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani realizzata dalla Redazione InPiù 22/01/2024

Paolo Mieli, Corriere della Sera
Quest’anno, scrive Paolo Mieli sul Corriere della Sera, il Giorno della Memoria (cadrà sabato prossimo) rischia di essere particolarmente doloroso per gli eredi diretti della Shoah. Doloroso perché sarà impossibile evitare l’associazione mentale con quanto è accaduto in Israele il 7 ottobre scorso, una strage di ebrei senza precedenti novecenteschi — eccezion fatta per la Notte dei cristalli del ’38 in Germania — se non in tempo di guerra. Con l’evidenza del presagio che entrambi gli avvenimenti, eccidio nel kibbutz di Kfar Aza e Kristallnacht, portano con sé. Ma sarà angoscioso e ancor più straziante a causa del tentativo, già in atto, di far ricadere sugli ebrei del mondo intero la «colpa» per la successiva ritorsione israeliana su Gaza. Che ripropone l’equiparazione — in voga da anni, a destra come a sinistra — tra lo Stato hitleriano e quello fondato nel 1948 da Ben Gurion. Ripetiamo ancora una volta — ove mai ce ne fosse bisogno — che riteniamo del tutto legittima ogni critica persino la più estrema a qualsiasi atto del governo presieduto da Benjamin Netanyahu, così come di tutti quelli che lo hanno preceduto e di quelli che verranno. Ma qui è di altro che si sta parlando. Di mezze frasi (talvolta frasi intere) che, in manifestazioni a carattere mondiale, inneggiano al «lavoro che Hitler non ha avuto il tempo di portare a termine» e che adesso meriterebbe di essere «completato». Nei Paesi mediorientali e in quelli sotto l’influenza iraniana, russa o cinese tutto ciò accade senza che le autorità pubbliche se ne diano pena. Talvolta approvano con convinzione. Ma anche nell’universo occidentale, dove pure i governi si pronunciano criticamente nei confronti di questo fenomeno, le istituzioni culturali si affrettano a mettersi al passo con i tempi nuovi. Brutti tempi per la celebrazione del Giorno della Memoria.

- Advertising -

Linda Laura Sabbadini, la Repubblica
Non siamo l’unico Paese a bassa fecondità, ricorda su Repubblica Linda Laura Sabbadini, che spiega il perché oggi non si fanno più figli. C’è infatti chi sta peggio di noi, come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, ai più bassi livelli al mondo. La bassa fecondità – sottolinea Sabbadini – è l’effetto di politiche tardive e che non hanno puntato sulla centralità dei bisogni delle donne e sul desiderio dei giovani a una vera qualità della vita. È la conseguenza di uno sviluppo non centrato sulle persone. Il problema si sta estendendo. Ormai circa i due terzi della popolazione mondiale vivono in Paesi al di sotto di 2,1 figli per donna. Non Africa sub-sahariana e Medio Oriente. Corea del Sud, Taiwan e Singapore sono Paesi con un ritmo di crescita e sviluppo elevati ed in poco tempo hanno conosciuto un tracollo della fecondità, proprio a seguito dello sviluppo. Ciò ha comportato cambiamenti culturali profondi, specie nel livello di istruzione, con una crescita della partecipazione femminile al mondo del lavoro, a cui non ha corrisposto un cambiamento della stessa intensità nei rapporti tra uomo e donna e nella cultura del lavoro, con orari di lavoro massacranti e spesso mal pagati. Con molte donne, altamente istruite, costrette a dover scegliere fra la realizzazione sul lavoro ed il fare figli. Il fattore D della volontà delle donne di realizzarsi su tutti i piani, libere di scegliere come vivere, con o senza figli, è un nodo cruciale con cui i governi di tutto il mondo devono fare i conti, se vogliono rialzare la bassa fecondità. Non serve una singola misura. Servono un cambiamento di modello di sviluppo e politiche stabili nel tempo. Serve un investimento finanziario serio sullo sviluppo dei servizi per la prima infanzia e per l’assistenza di anziani e disabili, tempo pieno a scuola, congedi di paternità paritari, congedi parentali retribuiti adeguatamente, cambiamento dell’organizzazione del lavoro, investimenti permanenti per combattere gli stereotipi di genere.

Alessandro Sallusti, Il Giornale
Un professore universitario, non faccio nomi ma ci siamo capiti – evidenzia sul Giornale Alessandro Sallusti –, può andare in televisione quasi tutte le sere a sostenere che così come Putin fa bene a massacrare il popolo ucraino pure Hamas non ha poi tutti i torti ad aver fatto il genocidio che ha fatto in Israele. Il prof può dirlo e nulla accade, anzi diventa una specie di eroe della libertà di opinione. Ma se un disgraziato qualsiasi (lo stanno facendo in migliaia) esprime simpatia sui social per il tagliatore di autovelox, quella specie di neo Robin Hood che sta mettendo fuori uso gli apparecchi acchiappa multe del Triveneto, rischia l’incriminazione per apologia di reato. Parola di Marco Martani, procuratore di Treviso: «Potrebbe configurarsi l’apologia di reato. Dovrei verificarla bene, è una fattispecie vincolata da determinati presupposti di legge, ma questo è danneggiamento di un bene esposto alla pubblica fede e destinato a pubblico servizio». Apologia di reato significa difendere pubblicamente (o celebrare) un illecito. Sull’autovelox decapitato non si può, sui bimbi e sulle donne israeliane a cui i terroristi palestinesi hanno tagliato la testa sì, si può. Soprattutto se ciò avviene al riparo della presunta sacralità delle università non da oggi covo e incubatore di antisemiti. Correva l’anno 1938 quando dieci cattedratici e decine di docenti firmarono il Manifesto della razza che metteva al bando gli ebrei, preambolo dell’Olocausto. Oggi non siamo poi così lontani. Dall’Università di Cagliari a quella di Palermo è tutto un fervore di iniziative anti ebraiche e pro Hamas. A Firenze la caccia all’ebreo ha il volto di Marco Carrai, presidente della fondazione ospedaliera Mayer. Un comitato dal sapore antisemita ha raccolto diecimila firme per cacciarlo in quanto ebreo ma nessun magistrato si è sentito di avanzare nei loro confronti, come per i fans dello scassa autovelox, almeno l’ipotesi di apologia di reato. Non credo di esagerare: la complicità e il lassismo della classe politica, accademica e giudiziaria di oggi che si indigna per l’autovelox e lascia correre sugli ebrei rimanda a quel 1938 di cui ancora oggi ci vergogniamo.

- Advertising -