Lemanik – il 2019 sarà il peggior anno dell’ultimo decennio per l’economia mondiale

Maurizio Novelli -
- Advertising -

E’ molto probabile che la crescita degli Stati Uniti ricadrà sotto il 2% nell’anno a venire. Puntiamo sui treasuries a 10 e 30 anni e sulle asset class dei mercati emergenti

Mentre ci apprestiamo a chiudere il miglior anno di crescita dal 2010 il ciclo dell’economia mondiale ha già avviato un evidente rallentamento, guidato dall’Asia e dall’Europa, che trascinerà anche l’economia americana nel pantano della stagnazione già a partire dai primi mesi del prossimo anno. Da un punto di vista macro il 2019 rischia di essere uno degli anni peggiori per l’economia mondiale dell’ultimo decennio.

- Advertising -

Gli Stati Uniti sono riusciti a spostare la traiettoria della crescita dal 2% al 2,8% nel corso del 2018 ma questo è stato ottenuto grazie a una politica fiscale non sostenibile che già nel 2019 si dissolverà. Il piano fiscale espansivo voluto dai repubblicani si sta trasformando in un fallimento. Lo stimolo fiscale è stato troppo favorevole alla “Corporate America”, che era già ben messa prima, e troppo timido verso la classe medio bassa. I consumi sono quindi rimasti troppo dipendenti dal debito privato più che da un aumento dei redditi e gli investimenti non sono ripartiti come si pensava. A questo punto è molto probabile che la crescita degli Stati Uniti ricadrà sotto il 2% nel 2019, confermando dunque il picco dei profitti delle società quotate, senza ulteriori spazi di manovra sulla politica fiscale e con un contesto mondiale in rallentamento. La Fed dovrà fermare il rialzo dei tassi dopo l’eventuale rialzo di dicembre, la Bce si troverà a dover interrompere il Quantitative Easing con l’economia europea che ha già alle spalle il miglior periodo di crescita e la Bank of Japan rimarrà l’unica banca centrale impegnata a “tamponare” la contrazione della liquidità internazionale.

La sensibilità del ciclo è strettamente dipendente dallo stock di leverage e credito che circola nel sistema e il leverage, così come il credito, dipendono solo dalla propensione al rischio. Se gli investitori ritengono che la remunerazione ricevuta non sia sufficiente a proteggerli da eventuali perdite si innesca un risk-off che avvia il deleverage nel sistema e il deleverage provoca la recessione. Poiché oggi il leverage nel sistema è ai massimi di tutti i tempi e ha una componente speculativa che supera di gran lunga i precedenti picchi di credito speculativo nell’economia, il risk-off avrebbe un impatto sull’economia reale molto maggiore. Quello che appare evidente è che, appena il ciclo economico americano non è sostenuto da politiche fiscali espansive, tende a ricadere nella stagnazione. Questo fenomeno è lo stesso che ha caratterizzato l’economia giapponese dopo la grande crisi di fine anni ottanta e conferma che liberare l’economia dall’eccesso di debito non è così semplice quando il debito è concentrato nel settore privato.

- Advertising -

Mentre il Giappone può reggere l’indebitamento perché è finanziato dal risparmio interno e la Bank of Japan riesce a mantenere i tassi d’interesse a zero come e quando vuole, per gli Stati Uniti questa strategia è quasi impossibile perché non ha risparmio interno e il debito è finanziato con il risparmio estero di Cina, mercati emergenti e Giappone. Se il ciclo americano inizia a cedere in concomitanza con un evidente picco nel ciclo del credito e dell’indebitamento del sistema si delinea all’orizzonte una crisi del dollaro e delle asset class Usa, con ripercussioni negative sull’economia internazionale. Cercare di uscire dalla trappola del debito con nuovo debito non è possibile se non si riesce a creare un’inflazione tale da svalutare il debito e rendere il suo costo reale negativo. Mentre questo potrebbe essere fattibile per il Giappone, risulta alquanto difficile per l’America che dipende troppo dai finanziamenti dall’estero e deve garantire dunque una remunerazione reale accettabile ai suoi finanziatori. La trappola del debito è dunque aumentata di dimensione per gli Stati Uniti e la strategia implementata si sta rivelando insostenibile nel medio e lungo periodo, proprio quando i benefici del breve periodo si stanno esaurendo.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe opportuno che gli investitori si preparino a momenti molto difficili perché la recente discesa dei mercati finanziari non è una correzione ma l’apertura di un bear market. Rimaniamo decisamente positivi sui treasuries a 10 e 30 anni perché la Fed non ha tutto lo spazio che dichiara nell’aumentare i tassi d’interesse e la curva è destinata a invertirsi nell’arco di qualche mese. Siamo negativi sulla divisa americana e rialzisti sulle prospettive dell’oro nel medio e lungo periodo. La debolezza strutturale del dollaro costituirà inoltre un elemento favorevole per le asset class dei mercati emergenti.


Maurizio Novelli – gestore del Lemanik Global Strategy Fund – Lemanik