Gender pay gap. Qualcosa sta migliorando? Intervista ad Alessia Potecchi

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L’evoluzione dei livelli retributivi: parità di genere
La sensazione, percepibile molto più che in passato, è che la situazione in generale stia lentamente migliorando. “Lentamente, perché fenomeni di così ampia portata richiedono tempi adeguati, cioè lunghi. Richiedono anche interventi sociali e di strutture efficaci e distribuiti nell’intero territorio. (es. asili nido e tante altre cose)” come ci ricorda Roberto Targetti, uno dei più innovativi direttori del personale con anni di esperienza in grandi aziende come Heineken, Novartis, ecc.
“La situazione nel nostro Paese è molto diversificata” ribadisce Roberto Targetti “a seconda di pubblico/privato, tipo e dimensioni delle aziende, area geografica ecc. Le donne non vogliono soluzioni tipo “quote rosa” e hanno ragione perché sarebbero deprimenti del merito. E perché (esperienza anche personale) un’eccessiva accelerazione comporta errori sulla scelta di persone, siano donne o uomini, che diventano un boomerang… qui servirebbe un discorso più lungo. Ma resta il fatto che oggi la situazione sta migliorando.”

Approfondiamo l’argomento con Alessia Potecchi, Responsabile Dipartimento Banche, Fisco e Finanza del PD di Milano Metropolitana, che abbiamo incontrato durante l’evento organizzato dalla Facoltà di Fisica dell’Università Statale a proposito dell’innovazione nel mondo ospedaliero.

Intervista ad Alessia Potecchi

Come vedi l’evoluzione della figura femminile, sia nella vita privata, sia in quella professionale?

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“Oggi occorre maggiore attenzione alla vita concreta delle donne che da sempre si sono fatte carico di un welfare familista a causa della mancanza di servizi. Bisogna investire in nuove politiche a vantaggio delle famiglie che garantiscano e promuovano pari opportunità. E’ necessario in questa direzione potenziare le norme per poter conciliare i tempi di lavoro e quelli di cura che permettano, in una moderna visione, di restituire all’uomo uno spazio nella vita privata e alla donna uno spazio in quella pubblica proponendo una relazione più autentica nella distribuzione di ruoli e compiti”.

E’ giusto quindi investire su questo cambiamento?

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“Investire sulle donne in campo professionale è una necessità per lo sviluppo del Paese: i dati ci dicono che i Paesi più sviluppati sono quelli dove vi è minore disparità di genere. Il lavoro delle donne fa aumentare il PIL e in tutto questo vi è una convenienza economica e pubblica oltre che soggettiva”.

Le remunerazioni comunque restano molto diverse

“Le donne guadagnano meno degli uomini, decisamente meno : le legge è uguale per tutti, i contratti pure, ma nel corso della loro vita lavorativa le carriere, le interruzioni, le scelte fatte o subite fanno si che questa parità sia solo apparente. Un rapporto diseguale con il reddito e con l’indipendenza economica accompagna le donne dall’infanzia alla pensione se lavorano. Si chiama Gender pay gap.

E’ la differenza che corre, a parità di mansione, tra lo stipendio di un uomo e quello di una donna. Da qualsiasi punto venga effettuato l’osservatorio, il finale però non cambia: la busta paga delle donne è sempre più leggera”.

I dati ISTAT

Ci puoi dare qualche dato?

“I dati ISTAT ci dicono che l’occupazione femminile è cresciuta dello 0,2% rispetto a dicembre e dell’1,6% rispetto allo stesso mese di un anno fa. Ma in un mercato del lavoro che secondo le statistiche è il migliore da 30 anni, le italiane arrancano ancora parecchio rispetto alla media europea. Le occupate sono arrivate si a 9,87 milioni recuperando il calo notevole dovuto al Covid ma sono soltanto il 51,9% delle donne tra i 15 e i 64 anni contro il 69,7% degli uomini, con un grande divario tra nord e sud. Il tasso di occupazione femminile è migliorato rispetto alla fase più acuta della pandemia quando era calato nuovamente sotto la soglia del 50% ma comunque è ancora molto distante dal 62,7% della media europea e dalla soglia del 60% che secondo la strategia di Lisbona avremmo dovuto raggiungere entro il 2010. Oggi come allora la meta di 6 occupate su 10 continua ad essere lontana.”

Dicevamo che le remunerazioni restano molto diverse: puoi darci qualche numero?

“Il lavoro delle donne (quando c’è…) è più precario di quello degli uomini e meno retribuito. La quota dei contratti stabili incide per il 20% su quelli maschili e per il 15% su quelli femminili. Sulla totalità dei nuovi contratti delle donne il 49% è a tempo parziale contro il 26,2% degli uomini. 

Eurostat ci fotografa un Gender Pay Gap del 13% in media nell’Unione Europea con l’Italia che va dal 4,1% del Settore Pubblico al 16,5% del Settore Privato: le vette qui da noi si raggiungono nelle professioni scientifiche e tecniche 26% e in quello della finanza 22,9% che sono gli ambiti dove le donne sono di meno. E infine ancora diseguaglianza, l’ultima rilevazione dell’INPS evidenzia come sul totale di 305 miliardi di euro di pensioni erogate, solo il 44% sia stato corrisposto alle donne”.

Si sente parlare di segregazione occupazionale: che cos’è esattamente?

“Sì, spesso senza essere consapevoli delle conseguenze che ciò comporterà, le donne cadono nel tranello della cosiddetta “segregazione occupazionale”: scelgono cioè lavori più adatti alla loro situazione, caratterizzati da retribuzione bassa e scarsa prospettiva di carriera, ma più compatibili con la gestione familiare perché magari garantiscono vicinanza a casa, orari di routine, assenza di trasferte. Le donne non possono più essere il pilastro del nostro sistema di welfare, non possono più farcela. Non possono sostituirsi come prima all’attività dei servizi sociali e sanitari. Vogliono lavorare, vogliono realizzarsi su tutti i piani, vogliono avere figli che oggi spesso non riescono ad avere e vogliono realizzarsi anche sul lavoro”.

Il PNRR

“Oggi su queste questioni si sta lavorando molto anche grazie all’opportunità offerta dal PNRR con le risorse provenienti dall’Europa (191,5 miliardi del Recovery and Resilience facility e i 30 miliardi del Fondo Complementare). Il PNRR, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha recepito la proposta della Commissione europea e dedica un’attenzione particolare alle donne e all’esigenza di costruire una strategia per favorire l’occupazione femminile, il Piano va attuato in tutte le sue forme perché rappresenta un tassello fondamentale per il futuro del nostro Paese, è la scommessa su cui l’Italia ha investito”.

Per la parità di genere si sta facendo qualcosa?

“Con la Legge Golfo Mosca sono stati per la prima volta introdotti obblighi di parità di genere negli organi di amministrazione e delle società quotate nei mercati regolamentati, le quote sono state poi prolungate e aumentate. La diversità di genere è un valore promosso anche dalla Banca D’Italia nelle disposizioni di vigilanza delle banche ed è stato introdotto l’obbligo per i board delle banche di avere una composizione diversificata nella sua accezione più ampia, non solo quindi in termini di genere ma anche di età, competenze e provenienza geografica. Questo tipo di iniziative sono in corso anche a livello europeo e internazionale, il G7 di recente è intervenuto proprio sul discorso della partecipazione femminile ai temi economici e per raggiungere questi obiettivi non basta il rispetto delle quote imposte dalla legge ma serve garantire parità di condizioni competitive tra i generi che richiede appunto di riequilibrare il GAP salariale ma anche di approntare un sistema di welfare adeguato perché le donne possano dedicare il tempo necessario alla loro carriera lavorativa”.

Vuoi aggiungere qualcosa?

“Ancora qualche dato: i Paesi dove vi è minore disparità di genere sono quelli più sviluppati. Il Fondo Monetario Internazionale afferma che il tasso di occupazione femminile rappresenta uno stimolo fortissimo alla crescita del PIL e più precisamente aumenterebbe l’economia globale ben del 35%, un pensiero questo condiviso dalla Harvard Business School, secondo cui una piena parità di generi nel mercato del lavoro con una attenzione al campo economico e finanziario porterebbe nel 2025 ad avere un PIL globale annuo pari al 26% in più. La Gender Economics, l’economia di genere, è un filone di ricerca proprio atto a dimostrare che le politiche di genere influenzano l’andamento economico di un Paese e su questo assunto si impegna a contrastare le diseguaglianze di genere per realizzare un cambiamento globale.

Il tempo guadagnato dalle donne è la via per evolvere la società, lì dove le donne hanno spazio aumenta il livello di istruzione e quello imprenditoriale, calano la violenza, la fame, la povertà, diritti femminili e società più sana viaggiano di pari passo. Quindi il lavoro, la carriera e gli spazi delle donne migliorano la vita di tutti facendo crescere comunità e paese intero, sono un fattore positivo e costruttivo per la società intera e per il suo sviluppo economico”.