Muoversi nel debito dei mercati emergenti

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Il debito dei mercati emergenti ha già guadagnato notevolmente in dimensioni e profondità negli ultimi decenni e, con lo sviluppo dell’asset class, è diventato più interessante agli occhi di una più ampia base di investitori. Il livello di emissioni è aumentato, migliorando la liquidità. Le curve dei rendimenti hanno raggiunto uno stadio più maturo, e questo ha permesso agli investitori attivi di generare valore tramite il posizionamento su diverse scadenze. Poiché questi fattori hanno registrato un miglioramento, il mix proprietario si è diversificato e presenta un maggiore equilibrio tra detentori esteri e nazionali. Questa tendenza sembra destinata a continuare nel prossimo decennio, quindi sarà più importante che mai accedere al mercato in modo proattivo.

Il 2022 è stato un anno difficile per il DME, per via dell’inasprimento delle condizioni finanziarie, il rafforzamento del dollaro USA e l’indebolimento della crescita globale che pesano sull’asset class. Sebbene il contesto macroeconomico globale rimanga un ostacolo chiave per il debito dei ME, con una volatilità verosimilmente persistente nel 2023, un approccio attivo e basato sulla ricerca può contribuire a individuare opportunità interessanti nei ME, mitigando al contempo i rischi.

Mercati di frontiera

I mercati di frontiera sono generalmente ME che si trovano nel tratto inferiore dello spettro di sviluppo (misurato in termini di reddito pro-capite) e hanno rating di credito sub-investment grade. Per molti investitori, i mercati del debito di frontiera rimangono relativamente inesplorati, soprattutto perché non sono pienamente rappresentati nei principali indici. Nel prossimo decennio prevediamo che un numero maggiore di Paesi di frontiera inizi a emettere debito sui mercati dei capitali internazionali.

L’attrattiva maggiore di questi mercati è la potenziale crescita. Molti Paesi classificati tra i ME tradizionali, come Messico, Polonia e Sudafrica, hanno ora raggiunto un livello di sviluppo molto più pronunciato rispetto al passato, con istituzioni e infrastrutture più stabili. Sarà quindi difficile per questi Paesi mantenere lo stesso ritmo di crescita evidenziato negli ultimi decenni. Al contempo, i mercati finanziari si sono rafforzati, la comunicazione da parte dalle autorità è migliorata e i premi al rischio sono scesi, riducendo i rendimenti attesi dall’investimento nei ME. Per contro molti mercati di frontiera si trovano in una fase iniziale di sviluppo (economico, politico e finanziario) e presentano quindi alcune delle caratteristiche che i ME tradizionali avevano anni fa.

Anche se tutti gli investimenti comportano un certo livello di rischio, chi investe nei mercati di frontiera affronta dei rischi aggiuntivi, in considerazione della mancanza di fondi pensione interni, di infrastrutture per i mercati dei capitali e di misure di salvaguardia a livello normativo, elementi che normalmente fungono da protezione dagli shock nei mercati più consolidati. Nello specifico, i mercati di frontiera presentano livelli di rischio maggiori in termini di politica e governance (corruzione, tumulti politici ecc.) e ciclicità macroeconomica. Tendono inoltre a essere meno liquidi rispetto alle economie dei ME più sviluppati e pertanto possono subire nette flessioni durante i periodi di gravi crisi di mercato.

Per questi motivi, investire nei mercati di frontiera può essere molto impegnativo. I mercati di frontiera rappresentano un insieme idiosincratico di Paesi che richiedono un’attenta analisi attraverso la gestione attiva e la ricerca. È importante selezionare le società o i Paesi che hanno intrapreso il giusto percorso riformista o individuare le società che potrebbero avere successo indipendentemente dalla loro ubicazione.