Delega fiscale. Si può evitare il “corto circuito” normativo?

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Pietro Selicato, Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università La Sapienza di Roma, pubblica sul sito IPSOA un esaustivo commento della situazione. Riportiamo i punti salienti. Per accedere all’articolo completo cliccare qui.

La riforma fiscale

La riforma fiscale si propone di realizzare, attraverso un intervento suddiviso in due fasi, una completa revisione delle norme del sistema tributario esistenti e di procedere al loro riordino all’interno di un unico codice, composto da una parte generale dedicata alla disciplina degli istituti comuni del sistema fiscale e una parte speciale contenente la disciplina delle singole imposte. Quale potrebbe essere la via da seguire? In assenza di una legge organica, la delega fiscale dovrebbe disporre la trasposizione e l’assorbimento nella parte generale del codice unico delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente, integrandole con la più ampia disciplina degli istituti dettagliatamente individuati dall’art. 19, comma 2, del disegno di legge. Alla parte generale del codice dovrebbe essere assicurato il livello di resistenza passiva che oggi è riconosciuto allo Statuto del contribuente con l’autoqualificazione e che, invece, rischia di essere compromesso in assenza di un adeguato intervento sulla bozza della legge delega per la riforma fiscale. Qui il link al disegno di legge delega per la riforma fiscale (AC 1038) 

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Una disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale

Ai fini della costruzione del codice unico, assume carattere fondamentale la previsione (art. 19, comma 2) di dedicare una parte generale del codice ad “una disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale” da contrapporre ad una “parte speciale, contenente la disciplina delle singole imposte”. La codificazione unitaria di regole generali valide per tutti i tributi appare una concreta risposta all’esigenza di dare stabilità e certezza alle leggi tributarie, ad oggi compromessa dall’impossibilità di fare ricorso ad una rete di regole comuni.
Fino ad oggi, per raggiungere questo obiettivo è stato fatto affidamento sul contributo della Corte costituzionale, dal quale però (per le ragioni insite nel meccanismo che regola l’accesso al giudizio di legittimità costituzionale) emerge un’idea debole di “sistema tributario”, fondata sulla stratificazione di singole pronunce che si basano sull’esame di specifici casi di possibile contrasto con la Costituzione, necessariamente limitate alla verifica della legittimità delle sole norme sottoposte al vaglio della Corte nel contesto delle “isole normative” che regolano all’interno di specifici “sottosistemi” i casi oggetto di censura.
E questa insufficienza verrebbe confermata anche se la Corte integrasse (come invero fa spesso) la ricostruzione basata su una lettura “per blocchi” della nostra Carta fondamentale in una visione più ampia del sistema di princìpi che emerge dalla stessa Carta, giungendo a una stabilizzazione in chiave evolutiva del significato delle singole norme costituzionali. Anche in questo caso, infatti, pur potendo armonizzare (proprio grazie all’apporto della Corte) un insieme di precetti tra loro coordinati ed aventi portata più ampia delle singole norme costituzionali di volta in volta sottoposte al vaglio del Giudice delle leggi, non si potrebbe mai oltrepassare il limite oggettivo della norma denunciata.
Ciò posto, l’unica via per introdurre nel nostro ordinamento un sistema unitario di regole generali resta l’intervento legislativo, al quale mira l’art. 19, comma 2, del ddl n. 1038 con l’articolazione di una nuova “parte generale” del codice in cui trovino “una disciplina unitaria” degli istituti, individuati dalla successiva lettera b), “del soggetto passivo, dell’obbligazione tributaria, delle sanzioni e del processo” e, nell’ambito dell’obbligazione tributaria, delle norme in materia di “dichiarazione, accertamento e riscossione”.

Una nuova categoria di legge di delegazione

Per poter garantire una ragionevole stabilità delle norme destinate a disciplinare gli istituti comuni del sistema fiscale se ne dovrebbe prevedere l’adozione all’interno di una complessiva strategia basata sulla preventiva introduzione, con una legge costituzionale, di una nuova categoria di legge di delegazione da denominarsi, appunto, “legge di riordino e codificazione” che consenta di emanare decreti legislativi dotati di “resistenza passiva rinforzata” e abbia il ruolo e la forza delle “leggi organiche” alla stregua di quanto previsto in altri ordinamenti europei.
La soluzione ottimale, nonostante la complessità che comporta, si otterrebbe avviando il processo di revisione costituzionale diretto ad introdurre l’istituto della “legge organica” con i criteri indicati nel 2014 dalla “Commissione parlamentare per la semplificazione”.
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Chi ha creato questo fisco critica la riforma

Il viceministro all’Economia Maurizio Leo

Su Italia Oggi, Marino Longoni (come riporta il sito InPiu.net) si scaglia contro le critiche al Ddl delega di riforma fiscale all’esame della Commissione Finanze della Camera. Il viceministro all’Economia Maurizio Leo, scrive Marino Longoni, “è uno dei pochi in Italia che realmente conosce a fondo le norme e il funzionamento reale della macchina tributaria, anche per essere stato nella sua vita professionale sia ai vertici della macchina stessa, sia dall’altra parte della barricata, come professionista, docente e autore del più celebre commentario al Tuir.

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Potrebbe essere la volta buona. Naturalmente, non potevano mancare guastatori e sabotatori, soprattutto tra coloro che, avendo contribuito fattivamente a generare lo sfascio attuale, non sopportano che si tenti di porvi rimedio. Un gruppo di accademici, politici e fiscalisti tra i più noti nel panorama tributario, ha infatti predisposto una specie di manifesto di critica della riforma messa a punto dal governo.

Paradossalmente – sottolinea Longoni – il j’accuse contro la riforma viene proprio da coloro che negli ultimi anni hanno contributo a trasformare il sistema tributario in «una fabbrica di abusi, privilegi, iniquità», come loro stessi denunciano. I firmatari, come ricorda un post dell’Istituto Bruno Leoni, sono, infatti, il Ministro delle Finanze degli anni 1993-1994, il Ministro delle Finanze degli anni 1996-2000, il Ministro del Tesoro negli anni 2000-2001, il Viceministro dell’Economia con delega alle Finanze negli anni 2006-2008, il Consigliere del Ministro delle Finanze per le politiche fiscali dal 1993 al 2001, il Sottosegretario di Stato all’Economia fra il 2011 ed il 2013, il Consigliere del Ministro dell’Economia per le politiche fiscali dal 2013 al 2018, alcuni membri di commissioni governative sulle tematiche fiscali ovvero di importanti organismi parlamentari competenti per la valutazione delle politiche di bilancio operanti nel corso dell’ultimo trentennio”