Il salario minimo in Italia. Non è però una novità, se il lavoratore è inquadrato regolarmente

Roberto Targetti -
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IL SALARIO MINIMO? 

Roberto Targetti, laurea in giurisprudenza, è stato uno dei più innovativi direttori del personale in grandi aziende come Heineken, Novartis, ecc. Pubblica regolarmente commenti sul diritto del lavoro e una serie di “abstract” di importanti opere letterarie classiche o dei nostri giorni, di particolare significato per i manager di un’azienda.

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Un salario che garantisca la dignità

Si parla molto di salario minimo; sono scesi in campo anche i pesi massimi e si fanno confronti con gli altri Paesi.

Le grandi aziende internazionali, quelle dotate di authorities, come gli Stati, se ne preoccupano da tempo controllando periodicamente che in nessun Paese dove operano si scenda sotto un salario che garantisca la dignità (forse qualcosa più del minimo). E le direzioni delle aziende dei vari Paesi sono rigorosamente responsabilizzate in tal senso.

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In generale il principio del salario minimo è una idea apprezzabile. Deve però essere applicata al singolo Paese o addirittura alla singola situazione.

Il salario minimo in Italia

Ci sono diverse considerazioni a questo proposito. Le principali:

  • L’Italia è un paese molto diversificato territorialmente e presenta un costo della vita molto differente da un territorio all’altro. I sindacati hanno sempre stigmatizzato questo approccio etichettandolo come “ritorno alle gabbie salariali” che vengono demonizzate. Ma, per semplice realismo, andrebbe diversificato l’importo “minimo” pena il fatto di dare troppo poco a qualcuno e/o troppo ad altri.
  • E’ molto difficile fare confronti con gli altri Paesi; si dimentica sempre di considerare le differenze fra netto e lordo e di valutare il peso delle imposte e dei contributi previdenziali a carico dello stipendio dei lavoratori. E anche ciò che ricevono in cambio in termini di servizi, assistenza ecc.
  • La materia è complessa e la proposta dovrebbe essere molto ben approfondita e articolata. Non ha molto senso né comprensibilità limitarsi ad un importo orario, dimenticando in tal modo voci mensili, voci annuali (TFR in primis, bonus, forme di retribuzione differita, ecc.).

I contratti collettivi nazionali di lavoro

Ma la considerazione principale è la seguente: in Italia il mondo del lavoro dipendente (pubblico e privato) è ben coperto dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) che regolamentano ogni aspetto dei contratti e dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Questi contratti – caso pressochè unico al mondo – hanno valore erga omnes, cioè di legge. Si applicano sempre e comunque anche se il lavoratore non è iscritto al sindacato e obbligano il datore di lavoro anche se non associato ad associazioni datoriali. E’ importante sapere che i contratti si occupano di tutti gli aspetti della vita lavorativa e non solo degli stipendi. Regolano l’orario di lavoro, le ferie, i turni, le norme disciplinari, gli inquadramenti ecc. Ed è così perché la dignità di un lavoro e di un lavoratore non si limita allo stipendio ma si misura anche nel trattamento complessivo (orario, ferie, turni….), nell’ambiente di lavoro, fisico e sociale, nel vero rispetto di tutte le regole ben chiarite nei contratti.

Per questo motivo, poiché i contratti, ripeto, coprono e tutelano tutte le categorie pubbliche e private e tutti i settori (dal metalmeccanico alla gomma alla ceramica…) lascerei a loro la materia. Ciò che occorre è intervenire perché non si “assuma” in nero, perché si abolisca il nuovo caporalato e si operi in modo che sempre il lavoratore sia regolarmente inquadrato nel contratto collettivo applicabile. In tal modo gli si garantisce il minimo sindacale della categoria e forse qualcosa di più.

Non serve a nulla fissare un salario minimo se non ci si garantisce che venga applicato.

Come l’evasione fiscale: è ridicolo discutere di aliquote IRPEF se consentiamo ampia evasione.