Iliade e Odissea erano ambientate nel Mediterraneo? O invece molto più a nord?

-
- Advertising -

Iliade e Odissea — 

Negli anni ’90 l’ingegnere nucleare Felice Vinci si imbattè casualmente in un passo di Plutarco che collocava l’isola di Ogigia, dimora della ninfa Calipso, “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia verso occidente” (le attuali Faer Oer). Ecco il testo esatto: “Lungi nel mare si trova un’isola, Ogigia, a cinque giorni di navigazione dalla Britannia verso occidente. Più in là si trovano altre isole, equidistanti tra loro e da questa, di fatto in linea col tramonto estivo. In una di queste secondo il racconto degli indigeni si trova Crono imprigionato da Zeus e accanto a lui risiede il gigante Briareo, guardiano delle isole e di quel mare chiamato Cronio”.

- Advertising -

Vinci decise di rileggere Odissea e Iliade senza preconcetti, e di chiedersi dove veramente si fossero svolte le vicende narrate nei due poemi omerici.

  • Perché il mare è descritto come freddo e tempestoso, con frequenti nebbie, forti venti e violente burrasche? Perché i personaggi indossano pesanti mantelli? Non sembra il clima dell’Egeo.
  • Perché nella grande battaglia dell’Iliade compare due volte il mezzogiorno?
  • Perché l’isola di Dulichio, che nei poemi faceva parte di un arcipelago con Itaca, Same e Zacinto nel Mediterraneo non esiste? Perché il Peloponneso è descritto come un’isola pianeggiante, mentre è di fatto una penisola montuosa? Perché il “largo Ellesponto” viene identificato con lo stretto dei Dardanelli?
  • Perché la guerra di Troia dovrebbe durare da dieci anni ma è descritta come se fosse appena cominciata?
  • Perché le imponenti mura in pietra di Ilio sono invece, nel poema, comparabili in altezza e resistenza alla palizzata in legno eretta dai Danai per proteggere le navi?

Così Felice Vinci provò a tracciare l’itinerario delle peregrinazioni di Odisseo a partire dall’Ogigia nordica; potrebbe non essere un caso che una delle isole Faer Oer consista in un monte chiamato Hogoyggj.

Isola di Stora Dimun – Hogoyggj è Ogigia?
A Ogigia Calipso fornisce a Ulisse le istruzioni per costruire una zattera – tra l’altro molto simile nella descrizione a delle antiche raffigurazioni svedesi – con cui l’eroe salpa alla volta di casa. Viene sospinto dapprima verso est, finché, al diradarsi della coltre di nebbia, si trova davanti un muro di roccia – l’irta costa norvegese con i suoi fiordi – e di lì prosegue verso sud senza trovare un punto di approdo. Poi, dove i rilievi si addolciscono e Ulisse ha speranza di attraccare, il fiume inverte il suo corso, permettendogli di entrare con quello che resta della sua zattera. Mentre nel Mediterraneo questo fenomeno ha del fantastico, sulle coste oceaniche frastagliate è piuttosto frequente, in quanto effetto dell’alta marea.
Ed ecco la Scheria, terra dei Feaci. Curiosamente il toponimo “Scheria” non trova radici greche, mentre in lingua norrena proprio skerja significa “scoglio”, a rispecchiare la rocciosità delle coste nordiche.
L’isola della maga Circe potrebbe quindi collocarsi nelle Lofoten: trovandosi all’interno del circolo polare, Ulisse non riesce ad orientarsi con il sole perché in estate non tramonta, e in inverno non sorge.

Scilla e Cariddi

E Scilla e Cariddi? Il maelstrom è un fenomeno simile a un gorgo causato dalla marea, che entra con prepotenza in passaggi molto stretti e non riesce a fluire agevolmente. È un fenomeno che si riscontra nelle coste della Norvegia e della Scozia. (vedasi questo link)

Itaca

Un tratto problematico nella collocazione geografica dei luoghi omerici è quello che riguarda l’arcipelago di Itaca; Dulichio oggi non ha riferimenti nell’Egeo, e anche le posizioni relative delle altre tre non quadrano. Ci sarebbe però un piccolo arcipelago danese appena a sud della Fionia che pare uscito dalla bocca di Omero: tutte e quattro le isole coincidono in forma, posizione ed estensione.
E’ identificabile persino Asteride, l’isolotto su cui si erano appostati i Proci pretendenti.
Ciliegina sulla torta: Zacinto ora si chiama Tasinge, e Dulichio – che in greco significa “lunga”– è Langeland. Oh, e già che stiamo parlando di nomi: Danai e Danesi condividono forse più di un’assonanza…

Il Peloponneso

Vogliamo parlare del Peloponneso? Isola pianeggiante? No? Beh, in effetti l’attuale Peloponneso è una penisola, oltretutto aspra e montuosa. Miglior candidata a Peloponneso omerico è dunque la Zelanda danese (Sjaelland), per la fortuna di quelli di voi che si chiedevano se esistesse… Anche se in realtà a dare il nome alla Nuova Zelanda è stata la più nota Zelanda olandese.

Chi vuole approfondire l’argomento può acquistare il saggio di Felice Vinci “Omero nel Baltico” che presenta argomentazioni serie supportate da ricerche archeologiche.
Nel 2600 AC termina l’optimum climatico postglaciale che aveva concesso alla Scandinavia quei fortunati 5 gradi in più rispetto ad oggi.
Parte delle popolazioni che la abitavano migrano verso sud, e in particolare i biondi navigatori Achei fondano, intorno all’inizio del XVI secolo, la civiltà Micenea, trapiantandovi, oltre ai nomi geografici, anche epos e mitologia. Un po’ come fecero i coloni europei in America, insomma. Vertono a favore della teoria i ritrovamenti di ambra – una pietra baltica, non mediterranea – nelle tombe micenee più antiche, assente invece in quelle più recenti.

Nel corso dei secoli, i popoli che si insediarono nell’Egeo assorbirono la cultura micenea e la fecero propria, contaminandola, così che nel Medioevo ellenico – dalla caduta della civiltà micenea (XII sec.) alla nascita della polis (VIII sec.) – si perse il ricordo della grande migrazione.

Il viaggio di Ulisse: spesso la spiegazione più semplice è anche la più probabile

 

L’Iliade

Questa cartina mostra come l’autore ci presenta il mondo omerico. Troia è collocata in Finlandia, di fronte al suo golfo: il largo Ellesponto. È interessante a questo proposito la testimonianza dello storico medievale Saxo Grammaticus, che cita il popolo degli Ellespontini come frequente nemico dei Danesi (quelli veri): se si fosse trattato dell’Ellesponto mediterraneo sarebbe stato alquanto scomodo per i Danesi condurvi frequenti spedizioni belliche – o viceversa.

Secondo Vinci l’Iliade narra – a tinte epiche – di una scorreria simile a quelle dei Vichinghi, ben lungi dal durare dieci anni e soprattutto non ai danni di una città inespugnabile dalle mura imponenti, ma di una fortificazione in legno tipica del mondo nordico, dove la pietra scarseggiava. Inoltre con tutta probabilità non v’era oltre il casus belli, tanto futile quanto il rapimento di una donna, la motivazione profonda da sempre addotta, riconosciuta nell’interesse commerciale per il controllo del prestigioso stretto dei Dardanelli.

Per rispondere a uno degli interrogativi sopra, la battaglia dei libri centrali imperversa ininterrottamente per due giorni: data la latitudine del luogo, la notte chiara avrebbe permesso il protrarsi dei combattimenti fino al giorno seguente. A questo punto acquistano una certa consistenza alcuni parallelismi tra le usanze e le tecnologie di Achei e Vichinghi: le assemblee, i banchetti, le navi con la doppia prua e l’albero smontabile, ecc.