L’impoverimento del linguaggio diminuisce la capacità di formulare pensieri complessi
Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo nell’ultimo ventennio. Una delle cause è l’impoverimento del linguaggio.
Articolo di Christophe Clavé segnalato a LMF da Giovanni Bonomo —
L’avv. Giovanni Bonomo (foto a sinistra), già consulente di imprese editoriali e televisive, responsabile dell’Osservatorio sul diritto d’autore de Il Sole 24Ore, è esperto in diritto delle nuove tecnologie, titolare di vari blog e innovatore visionario.
Il linguaggio condiziona la nostra capacità di impegnarci in diverse attività intellettuali come la scienza o la filosofia, ma influenza anche l’arte e il nostro impegno civile (art. 4 c. 2 Cost.). Un vocabolario ricco e specifico può facilitare l’espressione di concetti complessi e sfaccettati. Non solo in campo giuridico, nella professione di avvocato, ma anche in ambito scientifico. Un linguaggio preciso è fondamentale per formulare teorie, ipotesi, scoperte, per comunicare risultati in modo chiaro e non ambiguo. Più ricco è il nostro vocabolario maggiore è la nostra capacità di ragionare, usare sfumature descrittive, nuances, metafore, sottigliezze argomentative. Esiste insomma una imprescindibile correlazione tra la possibilità di fare certi ragionamenti e il linguaggio da usare in uno specifico contesto o con una determinata persona. Così come non si può pretendere di spiegare a un idiota un concetto filosofico non possiamo essere nemmeno certi che certe nostre sottili ironie vengano comprese dai più. Sarà capitato a tutti, più o meno, di involontariamente offendere chi non ha compreso una nostra pungente ma amichevole battuta per stimolare la riflessione. Dobbiamo sempre valutare, prima di parlare e per decidere come farlo, il livello culturale e il Q.I. del nostro interlocutore. Specialmente in questa era di globalizzazione e sradicamento delle tradizioni culturali dei popoli e delle singole nazioni.
Christophe Clavé e la diminuzione della conoscenza lessicale
Diversi studi dimostrano la correlazione tra la diminuzione della conoscenza lessicale (e l’impoverimento della lingua) e la capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso. La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo.
Un altro esempio: eliminare la parola “signorina” (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all’estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l’idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole.
Il filosofo e saggista Umberto Galimberti
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare
La storia è ricca di esempi e molti libri (1984, di George Orwell; Fahrenheit 451, di Ray Bradbury) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole.
Facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegniamo e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c’è la libertà.
Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, sfrondare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana.
Non c’è libertà senza necessità. Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.
Christophe Clavé