Il dilemma dei medici stranieri abilitati in Italia: manca la conversione dei requisiti professionali

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Carolina Casolo e Francesco Ferraro — 

Nel 2020, a seguito dell’emergenza Covid 19, l’allora governo Conte aveva deciso di richiamare medici, non solo già in pensione o specializzandi, ma anche esteri provenienti da paesi comunitari e non, così da poter far fronte alle grandi difficoltà che la situazione presentava e al sempre crescente numero di pazienti che gli ospedali si trovavano a prendere in cura ogni giorno.

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Il termine dello stato d’emergenza

Il consiglio dei ministri, tramite Decreto Legge n.24 del 24 Marzo aveva già disposto per il 31 Marzo 2022 il termine dello stato d’emergenza che serviva a contrastare la diffusione dell’epidemia da SARS-CoV-2. La normativa che però prevedeva la possibilità di assunzione / collaborazione in forma autonoma di medici stranieri (per la maggior parte titolari di partita IVA) è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023. Tutto ciò non ha mancato di sollevare dubbi e questioni di diversa natura, in primis relative alla copertura previdenziale e alla mancata possibilità di iscrizione all’albo dei medici italiano.

Carolina Casolo e Francesco Ferraro

Carolina Casolo, (nella foto) consulente fiscale e previdenziale specializzata in diritto tributario e inquadramenti fisco-previdenziali in team col giurista dott. Francesco Ferraro si sono occupati approfonditamente di seguire questa tematica.

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Il problema del riconoscimento del titolo/iscrizione alla cassa previdenziale

La situazione che si vuole sottolineare riguarda in special modo medici con abilitazione conseguita in un paese estero, il cui riconoscimento del titolo di studio risulta assolutamente non immediato e anzi sottoposto ad un iter che può durare dai 6 finanche ai 10 mesi nel caso di iscrizione retroattiva.
É facilmente intuibile come questa situazione, che si poneva in essere probabilmente già in tempi non sospetti, si sia progressivamente incancrenita durante la pandemia da Covid-19, soprattutto da un punto di vista burocratico, aspetto da cui il nostro paese sembra essere afflitto senza soluzione di
continuità.

Proprio in questo periodo le regioni hanno autorizzato che in maniera più agile, venisse rilasciato su richiesta del professionista un documento autorizzativo per l’esercizio temporaneo. Se però da un lato questo ha permesso di sopperire alla mancanza di personale durante la situazione
emergenziale, è anche vero che avrebbe portato all’insorgere di criticità di cui non si era ovviamente tenuto conto viste le difficoltà del momento.

Chi vogliamo aiutare?

È importante specificare che si sta parlando di medici chiaramente in possesso di tutti i requisiti per poter svolgere la loro professione in paese straniero, ma che per poter esercitare in italia e potersi iscrivere all’Albo, necessitano che i loro requisiti professionali vengano convertiti dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), incaricato di occuparsi di questa procedura che però presenta tempistiche ovviamente non immediate.
Varie regioni avevano già autorizzato questi medici ad esercitare la professione per tutta la durata della pandemia, anche in assenza di requisiti professionali riconosciuti in Italia.
Qui si pone quindi il problema: l’assenza dei requisiti riconosciuti in Italia per questi lavoratori autonomi che non possono dunque iscriversi all’albo dei medici italiano e a cui viene di conseguenza negata anche l’iscrizione alla cassa previdenziale ENPAM. L’ attività è dunque svolta in assenza di copertura assicurativa RC professionale.

Come agire in questa situazione?

Il quadro generale risulta intricato e la soluzione ha richiesto uno studio approfondito per punti, in cui si rivela chiaramente fondamentale rivolgersi ad un professionista di fiducia.
Il medico dovrà almeno aver iniziato la procedura di riconoscimento del titolo di studio presso il Ministero della Salute, importante per evitare di incorrere in ulteriori problemi è poi la data della domanda: è necessario infatti che l’iscrizione sia retroattiva.
Una volta richiesto ed ottenuto il documento della regione di residenza che certifica ed autorizza l’esercizio temporaneo, questo andrà inoltrato al proprio professionista di fiducia, che dovrebbe premurarsi di predisporre l’invio di una mail ad Enpam (preferibilmente sotto forma di PEC).
Questa dovrà riassumere la situazione e avere in allegato il documento autorizzativo regionale. Con il medico che sta perciò esercitando la propria professione in mancanza di una polizza assicurativa professionale, la soluzione temporanea è aprire la partita IVA e iscriversi alla Gestione Separata Inps, questo al fine di poter versare i contributi nel periodo di tempo che intercorre tra l’esercizio svolto in maniera “scoperta” e il momento in cui, una volta accettata la domanda di iscrizione all’albo, si sarà regolarmente iscritti alla cassa dei medici, smettendo di conseguenza di versare i contributi alla gestione separata INPS.

Il medico verrà quindi gestito come ordinario nel momento in cui verrà accertata l’iscrizione all’Albo, tramite cui dovrebbe avvenire in maniera automatica anche l’iscrizione alla cassa di pertinenza. In quel momento si potrà quindi procedere con la verifica di eventuali obblighi contributivi.

Il nodo copertura assicurativa RC

Il nodo riguardante l’assenza di copertura assicurativa di Responsabilità Civile (RC) professionale, elemento obbligatorio ed essenziale per gli operatori sanitari ormai già dal 15 Agosto 2014 a fini di tutela da eventuali e svariati rischi che l’attività porta con sé, andrebbe esaminato attentamente e sciolto nel minor tempo possibile. Infatti, spiega il giurista dott. Francesco Ferraro: “Non solo il medico si trova ad incappare in estenuanti tempi burocratici, ma anche nella totale assenza di compagnie assicurative disposte a stipulare un contratto di assicurazione con i professionisti in questione”.

I tempi della burocrazia

Risulta evidente come, nonostante la una volontà da parte degli operatori sanitari di essere perfettamente in regola con le norme poste in essere, questi si trovino spesso immersi negli impasse della burocrazia italiana. Ci si riferisce ad esempio al voler pagare i contributi alla cassa di competenza, fatto che non può realizzarsi in quanto le richieste non vengono accolte proprio perché manchevoli di iscrizione all’Albo dei medici, che richiede a sua volta come spiegato sopra la  conversione dei requisiti professionali da parte del MISE, che purtroppo presenta tempi biblici che possono minare nel mentre la sicurezza del medico che svolge la propria professione senza copertura assicurativa RC.

Insomma, è un cane che si morde la coda, con un padrone che non sembra essere interessato a trovare risposte concrete per venire in aiuto a questi professionisti, e che però ne ha sfruttato e continua a sfruttarne le competenze al bisogno.

I dubbi sul rinnovo del decreto legge fino a fine 2023

A tutto ciò si aggiungono i non pochi dubbi sul rinnovo, fino al 31 dicembre 2023 e nonostante il termine dello stato d’emergenza, dell’art. 13 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18: “Deroga alle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie e in materia di cittadinanza per l’assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione”. Articolo che si riferisce quindi all’esercizio temporaneo della professione di medico.
Lo scorso maggio infatti la norma è stata non solo prorogata, ma anche modificata nella sua intrinseca necessità, passando dalla funzione di fornire un aiuto durante l’emergenza Covid a quella di sopperire ad una potenziale carenza di medici nel nostro paese.
“Ci troviamo di fronte ad un espediente che alla lunga potrebbe generare gravi danni che si ripercuoterebbero a macchia d’olio su molti medici, che attualmente in partita iva sono costretti ad iscriversi alla gestione separata Inps, molto costosa e di difficile iter in vista di un ricongiungimento
previdenziale”, afferma l’esperta fiscale e previdenziale Carolina Casolo.