Crisi aziendale, Italia tra le prime in Europa per numero di aziende in stress finanziario

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Le tensioni finanziarie aziendali in Europa sono cresciute del 20% rispetto al periodo pre-pandemico e quasi il 22% delle compagnie italiane del settore media e intrattenimento è in difficoltà. Questo è ciò che emerge dal nuovo report semestrale della società globale di servizi professionali Alvarez & Marsal (A&M), Distress Alert (ADA), che valuta la performance finanziaria e la solidità di bilancio di oltre 7.000 società europee.

Stress aziendale in Europa: 700 aziende a rischio ristrutturazione

L’Alert rileva che le difficoltà aziendali in Europa sono aumentate del 20% rispetto al periodo pre-pandemico, con quasi 700 società (688, secondo l’analisi ADA), l’8,4%, che si trovano in una situazione di stress, tale da richiedere probabilmente un’azione di ristrutturazione. Attualmente in Europa sono 2.000 le società con bilanci che presentano debolezze, il 27,7% di tutte le società valutate. Questo dato riflette le ingenti quantità di debito che le aziende hanno contratto durante un prolungato periodo di tassi d’interesse ultra-bassi e di prestiti garantiti post-pandemia, e che si ritrovano oggi con una limitata capacità di ripagare questi livelli di debito più elevati a causa dell’aumento del costo del debito. Sebbene la percentuale di aziende con performance deboli si sia leggermente ridotta nell’ultima analisi, passando dal 13,3% al 12,8%, questo dato nasconde le sfide all’orizzonte. La capacità delle aziende di trasferire i costi più elevati sui clienti finali sta diminuendo e si prevede che i margini si restringeranno nel corso dell’anno, con un corrispondente impatto sulla redditività.

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A&M: previsto aumento delle ristrutturazioni operative e finanziarie nel 2023/2024

Jacopo Barontini, responsabile dei servizi di Financial Restructuring in Italia per Alvarez & Marsal, ha dichiarato: “In questa fase del ciclo economico, la riserva di liquidità derivante dall’erogazione massiva di finanziamenti garantiti post-pandemia è stata in larga parte assorbita dagli incrementi delle materie prime, del caro energia e dall’inflazione, e il tema della carenza di cassa disponibile per le imprese sta cominciando a farsi sentire. Un numero crescente di imprese sta iniziando ad adottare contromisure finalizzate alla riduzione dell’onere del debito, soprattutto come traslazione delle scadenze delle quote capitale, al fine di scongiurare il default. Prevediamo quindi un cospicuo aumento delle ristrutturazioni operative e finanziarie a partire dall’autunno 2023, rese necessarie anche dalle attuali sfide macroeconomiche e da trend a lungo termine come la digitalizzazione, che determinano una necessità di ripensamento dei modelli di business che hanno funzionato fino ad ora”.

Italia: Media e Intrattenimento, Information Technology e Healthcare i settori più vulnerabili

L’Italia, insieme alla Germania e ai Paesi Nordici, è uno dei 3 Paesi europei che ha visto aumentare nel 2022 il numero di aziende in difficoltà rispetto al 2021, passando dal 5,7% al 6,9%. Tra i settori in maggiore difficoltà in termini di performance spicca il comparto Media & Entertainment con il 21,9% di imprese in stress. Seguono il comparto dell’Information Technology, 16% di aziende sotto stress, e quello dell’Healthcare con il 13,5%, fatta eccezione per il farmaceutico.

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Le imprese Media & Entertainment hanno risentito delle scarse performance di alcuni grandi operatori del settore, tra cui i fornitori di servizi di comunicazione e le grandi società sportive. Le società di calcio, ad esempio, hanno storicamente sempre avuto livelli di indebitamento elevati, mentre i fornitori di servizi di comunicazione, a causa degli scarsi investimenti effettuati nell’ultimo decennio, si sono trovati in una posizione di forte debolezza rispetto agli operatori emergenti specializzati in nuove tecnologie e piattaforme.

Lo scorso anno il settore dell’Information Technology italiano ha subito un forte rallentamento rispetto al resto d’Europa. Anche in questo caso, la causa è da rintracciarsi nella mancanza di investimenti da parte della maggioranza delle grandi multinazionali e nel divario tecnologico tra gli operatori più piccoli in Italia e i loro concorrenti internazionali.

Anche le aziende del settore Commodity, con un calo del 6,5% rispetto all’anno precedente, hanno registrato un aumento delle difficoltà. In particolare gli operatori del settore Oil & Gas hanno risentito dell’andamento dei prezzi delle materie prime e delle commodity registrato negli ultimi anni, mentre le imprese ad alta intensità energetica, come le fonderie e le aziende metallurgiche, sono state impattate soprattutto dall’aumento dei prezzi dell’energia.

“Il settore dell’Oil & Gas appare tra i più colpiti in Europa, proprio a causa delle restrizioni conseguenti al conflitto ucraino”, prosegue Barontini. “La pressione sulla marginalità legata all’aumento della concorrenza da una parte e le difficoltà di trasferimento degli incrementi di prezzo a valle della filiera dall’altra, hanno costituito un elemento di crisi in particolare per il sub-settore delle valvole per grandi impianti, con un numero senza precedenti di aziende in default. Infine, un settore non ancora catturato dalle statistiche ma che è atteso generare rischi di stress finanziario nel breve-medio termine è quello delle costruzioni, soprattutto per chi si è presentato a questo appuntamento con un elevato leverage e senza la capacità di assorbire i maggiori costi finanziari con un adeguato finanziamento del circolante operativo”.

Beni di largo consumo e imprese energivore: ecco i settori più a rischio in Europa

Il settore dei beni di largo consumo ha registrato un aumento significativo del 25,44% rispetto all’anno precedente, con il 12,3% delle aziende in difficoltà. Questo gruppo, che comprende negozi di moda, elettronica e arredamento, dipende in misura maggiore dalla spesa discrezionale, e l’aumento delle difficoltà riflette il peggioramento del quadro macroeconomico e la compressione dei bilanci delle famiglie.

Anche le vulnerabilità del settore automotive hanno subito un’accelerazione nel 2022, con il 10,5% di queste aziende in difficoltà, in aumento del 13% rispetto allo scorso anno. Ciò evidenzia le sfide a lungo termine che continuano a colpire la redditività delle aziende, tra cui il prezzo dell’energia, i problemi della catena di approvvigionamento e la carenza di manodopera, ma soprattutto la transizione verso le nuove tecnologie di alimentazione, come l’elettrico e l’idrogeno.

Le turbolenze del mercato energetico europeo hanno avuto un impatto sugli operatori, con 39 società di energia e servizi di pubblica utilità (pari all’11,1%) in difficoltà, con un aumento del 39%. In particolare, la percentuale di società di fornitura di gas in difficoltà è passata dal 6,5% del 2021 al 19,4% dello scorso anno, secondo il documento. L’aumento della volatilità dei prezzi ha messo molti fornitori di energia in difficoltà nel trasferire le tariffe più alte ai clienti, soprattutto quelli che avevano venduto ai clienti contratti a prezzo fisso.

Jacopo Barontini ha a questo proposito dichiarato: “I settori ad alta intensità energetica, come automotive e manifatturiero, stanno soffrendo, così come le stesse aziende energetiche, queste ultime per un assorbimento di capitale circolante di natura straordinaria. Anche i settori rivolti ai consumatori, come il retail, alcuni segmenti di hospitality e in generale tutti i beni non strettamente necessari, andranno incontro a pressioni competitive, mentre i costi aumentano e i consumatori vanno progressivamente a ridurre i loro budget per la spesa voluttuaria. Per queste aziende sarà fondamentale valutare le proprie esigenze finanziarie a breve termine, senza perdere di vista le opportunità di crescita e investimento a lungo termine per non perdere terreno competitivo”.