Deflazione in Cina, una preoccupazione globale

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Mentre le banche centrali di Stati Uniti, Europa, Canada e Regno Unito hanno aumentato i tassi quest’estate nella loro continua lotta contro l’inflazione, i policymaker di Pechino devono affrontare una sfida diversa: la deflazione.

La scorsa settimana, la Cina ha registrato un calo dello 0,3% su base annua del CPI headline a luglio, entrando in deflazione per la prima volta in due anni. La debolezza del dato principale è stata esacerbata da fattori temporanei, come il calo dei prezzi dell’energia e della carne di maiale. Tuttavia, anche l’inflazione core è stata frenata dal calo dei prezzi degli alloggi e delle categorie correlate (arredamento per la casa, attrezzature e manutenzione ordinaria), a causa della persistente difficoltà del settore immobiliare cinese.

Nonostante il cambiamento dei legami tra la Cina e l’economia globale, con il tentativo di Pechino di passare a un modello di crescita guidato dai consumi e le tensioni commerciali con l’Occidente che rimangono elevate, la Cina è ancora il produttore mondiale. Di conseguenza, è probabile che la debolezza economica cinese e il calo dei prezzi (soprattutto dei prezzi alla produzione cinesi) si ripercuotano sui mercati globali – una buona notizia a breve termine per la lotta delle banche centrali occidentali contro l’inflazione elevata.

Un settore manifatturiero efficiente attenua l’inflazione …

A differenza delle economie occidentali, che hanno sperimentato un’inflazione elevata quando sono riemerse dalla pandemia con un eccesso di domanda e una capacità limitata, l’economia cinese non ha affrontato un’inflazione elevata dopo la fine della sua rigorosa politica zero-COVID lo scorso gennaio. La posizione della Cina come hub manifatturiero mondiale, unita alla produzione altamente competitiva di beni di consumo finali, ha contribuito a mitigare le pressioni inflazionistiche, in quanto le strozzature produttive dovute alle politiche zero-COVID sono state risolte con la riapertura dell’economia e la ripresa dei consumi interni. L’efficiente incontro tra domanda e offerta attraverso le piattaforme online ha ulteriormente minimizzato le frizioni, mentre la moderazione dei prezzi delle materie prime a livello globale, grazie alla ricostituzione delle scorte energetiche invernali da parte dell’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha ulteriormente attenuato le pressioni inflazionistiche.

Ma i rischi di deflazione rimangono

Tuttavia, con la domanda interna cinese che vacilla e la domanda globale di prodotti cinesi che diminuisce, la Cina si ritrova con una capacità inutilizzata mentre i produttori si affannano a smaltire le elevate scorte.

Le pressioni disinflazionistiche sono derivate principalmente dalla riduzione della leva finanziaria nei settori immobiliare e dei finanziamenti alle amministrazioni locali, che ha inciso significativamente sugli investimenti interni e ha portato a un ampio eccesso di capacità produttiva. Tuttavia, anche il calo delle vendite all’esportazione ha contribuito, in quanto la domanda globale si è normalizzata verso i servizi e si è allontanata dal boom dei beni prodotti in Cina a causa della pandemia.

Inoltre, la reazione del governo a questo indebolimento dei fondamentali è stata tutt’altro che sufficiente. Infatti, la spinta del governo a stimolare e stabilizzare la crescita attraverso il credito agevolato, soprattutto alle imprese statali e per gli investimenti infrastrutturali, non è stata sufficiente a compensare il freno del mercato immobiliare, dato che il flusso di nuovo credito all’economia si è contratto nell’ultimo anno.

Effetto spillover

È importante notare che non pensiamo che le pressioni deflazionistiche riguardino solo la Cina. Se da un lato le perturbazioni e i cambiamenti nelle economie post-pandemia hanno sollevato dubbi sulla misura in cui l’economia cinese domina ancora il commercio globale e i cicli industriali, dall’altro vediamo diverse ragioni per aspettarci un’intensificazione delle ricadute sui mercati sviluppati.

In primo luogo, i prodotti cinesi dominano ancora i mercati dei beni di consumo, in particolare negli Stati Uniti (sebbene la quota delle importazioni di beni di consumo cinesi sia diminuita da quando l’amministrazione Trump ha iniziato a imporre dazi). L’inflazione dei prezzi al consumo dei beni di base negli Stati Uniti sembra seguire il tipico ritardo tra i recenti cali dell’indice dei prezzi di produzione (Producer Price Index, PPI) dei beni di consumo cinesi corretto per il tasso di cambio. Secondo i dati del Census Bureau degli Stati Uniti a giugno, i prezzi dei beni importati dalla Cina sono scesi in media del 3% rispetto all’anno scorso, mentre i prezzi alla produzione dei beni di consumo in Cina sono scesi del 5% in termini di dollari. È importante notare che questi cali si stanno ripercuotendo sui consumatori statunitensi; il mese di luglio ha segnato la prima volta dai primi giorni della pandemia che i prezzi al dettaglio dei beni di consumo statunitensi sono diminuiti su base trimestrale annualizzata. Le tendenze inflazionistiche degli Stati Uniti hanno guidato gli altri mercati sviluppati dopo la pandemia, il che suggerisce che la moderazione dei prezzi statunitensi finirà per manifestarsi anche nelle metriche dell’inflazione di altri mercati sviluppati.

In secondo luogo, se i rischi di ribasso della Cina dovessero materializzarsi, Pechino potrebbe stabilizzare la crescita interna con politiche che incentivino le esportazioni, spingendo i beni di consumo a basso costo nel mercato globale. Negli ultimi mesi le esportazioni si sono indebolite e si prevede un ulteriore calo nei prossimi mesi. Dopo la pandemia, il governo ha sostenuto l’offerta, ma ha fornito pochi sussidi ai consumatori. Di conseguenza, la Cina sembra avere un problema di eccesso di offerta interna – il rapporto scorte/vendite appare elevato. Data la debolezza della domanda interna, in presenza di un settore immobiliare in difficoltà e di un calo della fiducia dei consumatori, i policymaket cinesi potrebbero scegliere di stimolare la crescita incoraggiando le vendite di questi beni all’estero. Questo sembra già accadere in Germania, dove le esportazioni cinesi di veicoli elettrici a basso costo hanno recentemente registrato un’impennata, mentre i tagli ai prezzi interni potrebbero ripercuotersi su altri Paesi.

In terzo luogo, permane un fattore deflazionistico globale comune, ossia il calo dei prezzi delle materie prime, che ha contribuito a far scendere l’inflazione globale headline dal picco dell’8,2% di un anno fa al 4,4% di luglio. La domanda di materie prime (o la sua mancanza) in Cina rimane un fattore importante per i prezzi globali delle materie prime. La debolezza degli investimenti interni cinesi e l’ampio eccesso di capacità produttiva, nonché la debolezza delle vendite di nuove case e terreni, continueranno probabilmente a deprimere la domanda globale di materie prime.

Conclusioni

Il deterioramento dei fondamentali economici cinesi ha prodotto pressioni deflazionistiche che stanno già moderando l’inflazione sia in Cina che nei mercati globali serviti dalle merci cinesi. Dati i consueti ritardi, è probabile che le ricadute deflazionistiche abbiano appena iniziato ad avere un impatto sui mercati dei consumi globali.

Per la Cina, il rischio di una pressione deflazionistica più pronunciata dipende essenzialmente dalle politiche del governo nei prossimi mesi. Un adeguato stimolo fiscale per rilanciare la domanda interna potrebbe riaccelerare l’inflazione, mentre misure ritardate o inadeguate potrebbero portare a una spirale negativa. Una deflazione persistente in Cina si riverserebbe probabilmente sui mercati sviluppati, poiché uno yuan più debole e un elevato rapporto scorte/vendite abbasserebbero il costo dei beni cinesi all’estero – uno sviluppo che i banchieri centrali dei mercati sviluppati probabilmente accoglierebbero con favore.