Pensioni integrative, le regole dei fondi

di Unipol - redazione@lamiafinanza.it -
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Aperti o chiusi, possono essere utilizzati dai lavoratori dipendenti o autonomi per garantirsi una rendita integrativa. Ecco come funzionano

La previdenza integrativa, in Italia, si fonda su tue tipi di strumenti: i Pip, o piani individuali previdenziali, e i fondi pensione. A loro volta i fondi pensione si distinguono in due tipologie: i fondi negoziali o “chiusi” e i fondi aperti.

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I primi sono istituiti in seguito ad accordi tra i datori di lavoro (o le loro associazioni) e i rappresentanti dei lavoratori, all’interno di settori industriali, di singole aziende, o di aree geografiche. Questi fondi vengono definiti chiusi perché l’adesione è riservata ai lavoratori interessati dagli accordi.

È invece libera per chiunque l’adesione ai fondi pensione aperti, istituiti da banche, società di assicurazioni, Sgr (società di gestione del risparmio) o Sim (società di intermediazione mobiliare).

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L’obiettivo, in ogni caso, è offrire, nel momento in cui i lavoratori iscritti andranno in pensione, una rendita integrativa, una rendita cioè che, mensilmente, si aggiunga a quella erogata dall’Inps o da un altro ente previdenziale obbligatorio.

Come si alimenta il fondo

Mentre i lavoratori autonomi e i liberi professionisti possono contare soltanto sui propri contributi per alimentare il fondo, i lavoratori dipendenti possono contare anche sul contributo del datore di lavoro e sul Tfr, il trattamento di fine rapporto.

Il Tfr è la tradizionale liquidazione: una somma che, al termine del rapporto di lavoro, viene pagata ai lavoratori dal datore di lavoro che, a questo scopo, ogni anno accantona una certa somma (il 6,91% della retribuzione).

Chi viene assunto per la prima volta in un’azienda privata può decidere se destinare il suo Tfr a una forma di previdenza integrativa o mantenerlo in azienda, con le modalità appena viste, e incassarlo alla fine del rapporto di lavoro. La scelta di destinare il Tfr a un fondo pensione può anche essere esercitata in un secondo momento, e varrà per il Tfr maturato da quel momento in poi.

In mancanza di una scelta esplicita, il Tfr viene automaticamente destinato al fondo pensione previsto dal contratto di lavoro o, in assenza di un fondo specifico, a Fondinps, che è il fondo pensione appositamente costituito dall’Inps.

I lavoratori pubblici possono destinare il loro Tfr alla previdenza complementare solo se esiste un fondo pensione di riferimento per la tua categoria.

L’entità dei contributi del datore di lavoro e di quelli dei lavoratori viene definita dall’accordo che istituisce il fondo negoziale.

Tutti i versamenti (contributi e Tfr per i dipendenti, contributi del lavoratore per gli altri) vengono accumulati nel tempo, e investiti in strumenti finanziari con l’obiettivo di ottenere una rivalutazione. Al termine del periodo di contribuzione, si sarà formato così un capitale, chiamato “montante individuale”: al momento del pensionamento, questo viene trasformato in una rendita, la pensione integrativa.

L’entità della rendita dipende dunque dai contributi complessivi – e quindi da quanto si versa ogni anno, e dalla durata del piano contributivo – e dai rendimenti ottenuti dal fondo pensione. In negativo incidono, invece, i costi: a parità di contributi versati, un fondo con un livello di costi più contenuto offrirà una pensione che potrà essere anche significativamente superiore a quella di un fondo più costoso. Per questo è importante verificare l’Isc del fondo, ovvero l’indicatore sintetico che, in percentuale, indica l’incidenza sul fondo di tutti gli oneri previsti a carico dei partecipanti, e che può essere verificato anche sul sito della Covip (l’autorità di vigilanza del settore).

    ATTENZIONE  
    È importante contribuire alla previdenza complementare fin dall’inizio della carriera. Questo consente di accumulare una quantità maggiore di contributi che, rivalutandosi anno dopo anno, offriranno una rendita tanto maggiore quanto più lunga sarà stata la permanenza nel fondo.
Inoltre, più si attende, più pesante sarà il sacrificio necessario per ottenere, in termini di rendita, lo stesso risultato.
 
 
 
         


La gestione degli investimenti

Nei fondi negoziali, la gestione degli investimenti è affidata a investitori professionali (banche, assicurazioni, Sgr, Sim). Nei fondi pensione, gli investimenti sono gestiti direttamente dalla società che ha istituito il fondo. Le risorse dei fondi pensione sono in ogni caso un patrimonio autonomo e separato rispetto a quello del gestore: anche nell’eventualità di un fallimento di quest’ultimo, il patrimonio dei fondi non viene in nessun modo intaccato.

I singoli aderenti ai fondi hanno diverse opzioni per quanto riguarda il tipo di investimento. I fondi offrono infatti la scelta tra diversi comparti, differenziati in base agli strumenti finanziari in cui investono e quindi al profilo di rischio e rendimento. In linea di massima ogni fondo presenta: una linea azionaria, con un profilo di rischio maggiore, ma anche, nel lungo termine, maggiori prospettive di rendimento; una obbligazionaria, che investe in titoli di Stato e obbligazioni, con un livello di rischio contenuto; una bilanciata, con caratteristiche intermedie fra le due; e una garantita, con una garanzia di rendimento minimo e/o di restituzione del capitale (che al momento del pensionamento non potrà dunque essere inferiore al totale dei contributi versati).

Lo scopo di questa diversificazione degli investimenti è offrire ai lavoratori più giovani di approfittare delle maggiori opportunità di rendimento che caratterizzano le linee azionarie, ma anche di mettere al riparo dai rischi il capitale accumulato se il momento della pensione è più vicino. Diversi gestori offrono per questo motivo il servizio life cycle che, a partire da un investimento prevalentemente azionario, quando l’iscritto è più giovane, con il passare degli anni sposta via via il capitale verso le linee più prudenti, in maniera programmata e automatica.

A causa delle loro finalità previdenziali, i fondi pensione sono tenuti a rispettare regole di prudenza particolarmente rigorose, evitando gli investimenti speculativi di breve periodo, diversificando adeguatamente il portafoglio e rispettando precisi limiti quantitativi per quanto riguarda gli impieghi più rischiosi.

 

 

    ATTENZIONE  
    Il rendimento dei fondi pensione viene generalmente confrontato con quello del Tfr perché, come abbiamo visto, per i lavoratori dipendenti si pone la scelta tra l’uno e l’altro impiego. Il rendimento dei fondi pensione è variabile, di anno in anno, in base all’andamento dei mercati finanziari.
Il Tfr, invece, si rivaluta ogni anno a un tasso pari all’1,5% fisso, più il 75% dell’inflazione.
 
 
 
         

La pensione complementare

Il diritto alla rendita, cioè alla pensione complementare, scatta nel momento in cui si raggiungono i requisiti previsti per la pensione obbligatoria, e con una partecipazione minima di cinque anni al fondo. La rendita può essere reversibile al coniuge o un’altra persona indicata dall’iscritto.

Al momento del pensionamento, è possibile chiedere la liquidazione di non oltre il 50% del montante individuale. La rendita da incassare sarà, ovviamente, ridotta in proporzione. 

Analogamente, la rendita finale può risultare ridotta se l’iscritto al fondo pensione, durante la fase di contribuzione, ha chiesto anticipazioni. Queste sono consentite solamente in relazione ad alcune tipologie di spese particolarmente importanti (legate alla salute o all’acquisto/ristrutturazione della prima casa, per sé o per i figli), regolate dalla legge.

Il fisco

I contributi versati ai fondi pensione possono essere dedotti dal reddito complessivo, fino al limite di 5.164,57 euro all’anno. Nell’importo sono compresi anche i contributi del datore di lavoro, ma non la quota di Tfr. La deducibilità si traduce in un risparmio dell’Irpef da pagare, variabile in base all’entità dei contributi e del reddito, come si può vedere dagli esempi riportati nella tabella qui sotto.

I rendimenti finanziari conseguiti dai fondi pensione sono tassati con un’aliquota del 20%, contro il 26% previsto per la maggior parte delle forme di risparmio finanziario. L’aliquota è ridotto tuttavia al 12,5% per quanto riguarda alcune categorie di investimenti dei fondi, in particolare i titoli di Stato.

La tassazione è infine particolarmente favorevole per quanto riguarda la rendita, soggetta a un’aliquota che si riduce al crescere degli anni di partecipazione alla previdenza complementare. Per i primi 15 anni l’aliquota è pari al 15%; dal 16° anno si riduce dello 0,30% per ogni anno di partecipazione, fino a un limite massimo del 6%: con almeno 35 anni di partecipazione, dunque, l’aliquota scende al 9%.

Non tutta la rendita inoltre viene tassata, ma soltanto la parte corrispondente ai contributi che sono stati dedotti dal reddito durante il periodo di contribuzione.