Come la politica condiziona l’arte. 17 novembre: Paparoni presenta il libro a BookCity in conversazione con Armando Besio

Elio Cappuccio -
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Il titolo del libro di Demetrio Paparoni (nella foto)Come la politica condiziona l’arte (Ponte alle Grazie) – non lascia dubbi sul suo contenuto, un lungo excursus sul tema dei rapporti tra arte e politica che da Napoleone si spinge fino ai nostri giorni. Il 17 novembre, alle 18 e 30 Paparoni discuterà del libro con Armando Besio (già caposervizio del Venerdì di Repubblica, a lui si il festival “Il bello dell’Orrido. Spavento, stupore, meraviglia” a Bellano, sulla sponda lecchese del lago di Como) nell’ambito di BookCity. L’incontro si terrà nella Biblioteca d’arte di Castello Sforzesco.

Sempre a Milano Paparoni discuterà del libro il 2 dicembre con Elena Kostioukovitch e Davide Rampello alla Galleria Building, mentre il 25 novembre l’appuntamento e nel Salone degli Specchi di Villa Reale, a Monza, dove l’autore discuterà del libro con Elio De Capitani (in questi giorni in scena al Teatro dell’Elfo con una straordinaria rappresentazione del Re Lear di Shakespeare) e con Giuseppe Distefano il direttore generale del Consorzio di Villa Reale e Parco di Monza.  Saggista e curatore – in questo momento ci sono ben due mostre curate agli Uffizi insieme a Eike Schmidt, il direttore del museo – Paparoni è stato tradotto anche negli Usa dalla Columbia University Press e in Corea da Misulmunhwa. La sua notorietà nel mondo dell’arte si estende anche alla Cina e al Sudest asiatico.

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Un punto di vista liberale

Come la politica condiziona l’arte è in realtà la terza edizione di un precedente testo apparso in libreria dieci anni fa, ben accolto dalla stampa nazionale. L’attuale edizione è pubblicata con un nuovo titolo perché aggiornata in molte sue parti e arricchita di capitoli nuovi riferiti agli ultimi dieci anni. Ne condivido il punto di vista liberale, che non risparmia critiche alla destra e alla sinistra, sostenendo che il lavoro creativo, quando viene messo al servizio di una causa, si sottrae alla sua natura, che risiede nella sua assoluta gratuità.

Tema centrale del libro sono i condizionamenti che l’arte ha subito  dalla politica nel corso del XX secolo, in particolar modo nei sistemi totalitari, che ebbero un ruolo fondamentale nel piegare la cultura e tutte le espressioni artistiche alle esigenze della propaganda. Anche dopo la sconfitta del nazifascismo si assistette però, in forme diverse, ad uno sconfinamento della politica in ambito culturale. L’argomento è sviscerato dall’autore, che nella sua analisi si spinge fino ai nostri giorni.

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Coltivare la propria libertà espressiva

Paparoni mette in luce come nell’Italia fascista, nella Germania di Hitler, nella Russia sovietica fosse rischioso coltivare la propria libertà espressiva, e come tanti intellettuali si prestarono a un ruolo subalterno ai regimi. Non manca però di sottolineare come i Paesi che esercitano una forte egemonia sul piano internazionale abbiano sempre l’esigenza di affermare il proprio primato anche sul piano intellettuale. È avvenuto così, sottolinea, quando gli Stati Uniti hanno promosso la causa dell’espressionismo astratto nei confronti dell’arte europea e stiamo assistendo adesso al tentativo della Cina e delle “Tigri asiatiche” di affermarsi sul terreno culturale dopo aver dimostrato la loro forza in ambito politico, economico e militare.

Demetrio Paparoni (in primo piano) insieme a Joana Vasconcelos e Eike Schmidt, direttore degli Uffizi. Sala Bianca di Palazzo Pitti in occasione della presentazione alla stampa della mostra di Joana Vasconcelos. Foto Courtesy Gallerie degli Uffizi.

Il “politicamente corretto”

Siamo oggi ben lontani, nelle società occidentali, dalla censura oppressiva che grava invece in molti stati, dalla Russia alla Turchia, dalla Cina a molti Paesi islamici, ma non possiamo ignorare come una nuova forma di controllo sulla cultura venga esercitata, in modo subdolo, tanto negli Stati Uniti, quanto, in forma minore, in Europa. Si tratta, come evidenzia con molti esempi Paparoni, del “politicamente corretto”, che chiama in giudizio, secondo criteri che riflettono molti aspetti del sentire oggi diffuso, autori e opere del passato privilegiando un approccio al sapere più vicino a un procedimento giudiziario che a uno stile critico. Ne deriva uno snaturamento del messaggio che giunge a noi dal passato, di cui si condannano senza appello tutte quelle idee che configgono con la sensibilità contemporanea, senza spingersi oltre per comprendere gli insegnamenti che possiamo ancora trarne.

Questo libro è una sorta di Storia sociale dell’arte contemporanea che mette in discussione molti mostri sacri e fornisce elementi di riflessione che aiutano, tra l’altro, a mettere a fuoco la ricerca degli artisti dell’ultima generazione.

Elio Cappuccio è presidente del collegio di Filosofia siciliano. Insegna Filosofia moderna e contemporanea all’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Collabora con il quotidiano Domani e con il blog della Fondazione Luigi Einaudi.